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Per un'etica della                                        Torna all'indice delle interviste

responsabilità individuale

 

 

Colloquio con la Docente di Filosofia Morale ed Etica Sociale

presso l'Università degli Studi di Cagliari,

la Prof.ssa Anna Maria Nieddu

 

Intervistatore: Ho tratto il titolo della nostra intervista dall’ultimo capitolo del saggio da Lei recentemente pubblicato su “la filosofia della morale” di Pietro Piovani: Normatività, soggettività, storicità. Saggio sulla filosofia della morale di Pietro Piovani. Ancor prima di affrontare le questioni centrali di un’etica della responsabilità individuale, vorrei soffermarmi con Lei sull’alta rilevanza del titolo del Suo lavoro. 

La prospettiva da Lei scelta per rileggere la riflessione di Pietro Piovani, individua nella normatività, nella soggettività e nella storicità tre direttrici fondamentali valide a mettere in luce l’unità interna della prospettiva etica piovaniana. Vorremmo chiederle a questo proposito di soffermarsi sulla delineazione di quello che Le sembra il contributo teorico più significativo che ciascuno di questi tre termini apporta alla costituzione di una “nuova antropologia” così come Piovani la intese.

 

Risposta: Nella prospettiva di Pietro Piovani, per il soggetto della modernità l’etica rappresenta un campo di “scelte critiche” e di “decisioni problematiche”. Dopo il venire meno delle sicurezze offerte dal riferimento a un cosmo rigidamente ordinato e costellato di valori universali e assoluti, ogni individuo è chiamato a costruire i propri valori “in forma agonistica” nell’azione responsabile personale, rinunciando implicitamente - in nome della conseguita emancipazione - alle tutele e alle connesse giustificazioni di ogni forma di “teodicea sociale”.

Nel libro propongo un’interpretazione di alcune problematiche centrali della filosofia della morale piovaniana. Tra queste emerge il ruolo della normatività, un ruolo che si mantiene  determinante, a mio giudizio, lungo l’intera opera del filosofo napoletano e non soltanto nella prima parte della sua riflessione, più direttamente connessa a problematiche filosofico giuridiche. E’ nel rapporto con la radicale esigenza umana di normatività - variamente espressa, e su molteplici piani - che il soggetto morale, ovvero “la personalità”, costruisce la propria storia individuale nel dinamismo che le è proprio. E questo sulla base di una prospettiva etica che riconosce il valore universalizzante dell’azione individuale, operando sia contro il razionalismo astratto sia contro il puro volontarismo e i connessi rischi di caduta nel nichilismo. Come ho espresso anche in altre occasioni di confronto con la riflessione piovaniana, ritengo che molte problematiche in discussione nel dibattito etico a noi contemporaneo possano ricavare nuove e importanti indicazioni da una riconsiderazione delle posizioni espresse da Piovani. Penso, per esempio, all’esigenza di ridefinire il valore dell’“autenticità” distintamente formulata in non poche posizioni critiche nei confronti dei teorici della “post-modernità”. Penso ancora, e soprattutto, alla possibilità di discutere e analizzare criticamente i modi di un’etica dell’individualità proprio a partire dall’idea di un “dover essere individuale” inteso quale forma cosciente e concreta di responsabilità.    

 

I: Ritiene che tali concetti di normatività, soggettività e storicità possano avere una valenza e una significanza morale anche al di fuori della riflessione piovaniana, per tanta parte, per esempio, di quella filosofia morale desiderosa di non abbandonare l’individualità? Parlerebbe a questo proposito di “esemplarità” piovaniana?

 

R: Non parlerei di “esemplarità” perché ritengo che ogni esperienza filosofica rappresenti un percorso irripetibile di cui va salvaguardata la specificità. Direi piuttosto che i rinnovati tentativi di proporre una riflessione critica sul tema della responsabilità possono trarre dalla filosofia della morale di Pietro Piovani suggestioni importanti sulle quali ci si dovrebbe confrontare più spesso di quanto non avvenga.

 

I: La responsabilità. Grande assente dal titolo del suo volume, ma tematica centrale, direi fondante – senza alcun intento fondativo – di un’etica della responsabilità individuale. Tanto centrale, all’interno del volume, da poter essere considerata, così mi sembra, una delle coordinate principali del percorso teorico da Lei seguito. E’ d’accordo?

 

R: Sono pienamente d’accordo e, poiché parliamo di assenze, sottolineo anche quella di un altro grande tema che costituisce lo sfondo del percorso teorico seguito; mi riferisco al tema della libertà. Una libertà, tuttavia, che, per poter essere “a dimensione umana”, non può venire pensata senza il necessario confronto con l’esigenza normativa che è intrinseca all’azione etica. Si può dire che nel libro, attraverso la considerazione della normatività come problema che percorre l’intero arco della riflessione piovaniana, il tema della responsabilità e quello della libertà vengono assunti problematicamente, “in negativo”, come oggetto di indagine. 

 

I: Quale responsabilità?  Quali i referenti filosofici più significativi?

 

R: L’atteggiamento responsabile di ogni individuo che derivi dall’assunzione consapevole della necessità - trasfigurata in impegno etico - del confronto con l’alterità, e cioè, con la norma, con l’altro uomo, ma anche con la propria “datità originaria” e, potremmo dire, con “gli altri se stesso”, ovvero con le tendenze disgregatrici della propria personalità, contro i continui rischi di caduta nel singolarismo. Un atteggiamento, quest’ultimo, che, nella prospettiva di Pietro Piovani, rappresenta l’espressione dell’autentico “male radicale”. Questo, in brevi cenni, il senso del mio riferirmi alla lezione piovaniana in polemica contro il generico e indefinito appello a “essere responsabili” che rappresenta una costante nel quadro etico della cosiddetta post-modernità dopo la messa in crisi di un approccio di tipo deontologico ai problemi della condotta morale dell’individuo.

 

I: Un nodo teoretico dal quale Lei non distoglie mai l’attenzione è quello del rapporto fra diritto e morale. Come “agisce” la responsabilità rispetto a questo rapporto? Ritiene che un io responsabile, possa rappresentare un punto di convergenza fra morale e diritto?

 

R: Momenti di cooperazione tra diritto e morale, così come tra morale, scienza e scienze umane in senso lato (senza dimenticare la letteratura e le altre forme artistiche), sono senz’altro da proporsi nell’ambito di quei riconosciuti punti di convergenza tra saperi diversi che, più o meno deliberatamente, assumono come comune termine di riferimento l’operare dell’uomo nei diversi ambiti delle sue produzioni. Si tratta, a mio giudizio, di una cooperazione che potrebbe e dovrebbe realizzarsi sempre e soltanto attraverso il mantenimento di un costante sforzo di riflessione autonoma e “pluralistica”; ovvero, nel rispetto di quella specificità di ambiti problematici, di linguaggi e di metodologie che rappresenta l’unica garanzia possibile contro la tendenza a prendere a prestito con troppa facilità assunti non opportunamente mediati. Nel vasto e complesso campo di dinamiche interattive operanti tra questi ambiti di pensiero credo che alla riflessione etica spetti il non facile compito di individuare e segnalare mediante una discussione critica rigorosa i possibili criteri atti a orientare le azioni degli individui in direzione di un progressivo processo di responsabilizzazione, quanto più ampio e comprensivo.

 

I: In un’etica della responsabilità individuale il dovere assume caratteri atipici. Come ri-valorizzare il dovere in un contesto di filosofia morale che mai perda di vista la dimensione dell’individualità? Quali le coordinate filosofiche a questo proposito secondo Lei più significative? Può mettere in evidenza i nessi che il dovere intrattiene con l’agire responsabile?

 

R: Poiché discutiamo del mio libro su Piovani, desidero partire ancora una volta da una considerazione espressa dal nostro filosofo, secondo la quale una posizione critica nei confronti del deontologismo deve sempre necessariamente prendere le mosse da una preventiva presa d’atto dell’esigenzialismo che distingue la condizione umana “originaria”. In altre parole, il dovere prima di porsi nella forma etica dell’obbligazione, si pone come necessità sul piano esistenziale. In questo senso, e solo in questo senso, esso si pone anche come “un principio”; nel senso, appunto, dell’originarietà. Alla luce di queste indicazioni, in luogo della nota formula kantiana del “dovere per il dovere”, si potrebbe piuttosto usare quella del “dovere per la necessità di dovere”. Credo che questa prospettiva implicitamente assunta da Piovani fin dai suoi primi scritti contenga spunti teoretici determinanti per una svolta radicale nella considerazione critica delle etiche deontologiche “post-kantiane”, proprio con riferimento al problema dell’atteggiamento del soggetto morale nei confronti del dovere. Attraverso il riconoscimento della “originaria necessità del dovere”, in altre parole, l’individuo può giungere ad assumere, volontariamente e “responsabilmente”, una forma di dovere “soggettivato”, ovvero, coscientemente riconosciuto come proprio.  

 

I: Dovere… responsabilità individuale… libertà… Dove collocare l’altro?

 

R: L’altro è il costante e ineludibile punto di riferimento di ogni azione etica individuale. Se del problema dell’altro si parla prevalentemente in forma indiretta è perché il confronto con l’alterità è assunto come qualificante ogni relazione etica: è allo stesso tempo la premessa e la condizione dalle quali soltanto può scaturire l’agire responsabile dell’individuo, sia che questo si ponga nella forma “paritetica” della relazione tra agenti autonomi, sia che, invece, si ponga nella forma unilaterale del dono, oggi ampiamente discussa. 

 

I: Lei insegna Filosofia Morale e Etica Sociale. Quali, secondo Lei, alla luce delle prospettive aperte da un’etica della responsabilità individuale, le possibilità di un confronto problematico a questo riguardo fra filosofia morale e etica sociale? Quale, il vantaggio teorico di una angolatura di pensiero più aperta che porti all’instaurazione di fitte relazioni fra Filosofia morale, etica sociale e diritto?

 

R: Ne ho accennato precedentemente. Penso soprattutto ai vantaggi di una cooperazione tra aree tematiche molto prossime tra loro quali sono quelle indicate nella domanda, incentrate sulle complesse problematiche relative all’agire umano nella sua duplice dimensione, individuale e sociale. Personalmente, sia sul piano delle valutazioni di fatto che su quelle ideali, credo  nelle potenzialità di uno sforzo di riflessione comune quale si va realizzando oggi, con sempre maggiore intensità in quegli ambiti della ricerca filosofico-morale ed etico-sociale che, non trascurando la dimensione storicistica della ricerca etica, si concentrano soprattutto su un’indagine inerente alle strategie e ai criteri che possono informare la condotta individuale incanalandola, per così dire, verso atteggiamenti morali responsabili. La pressante richiesta di “etiche speciali”, chiamate a dare risposte certe, e possibilmente “definitive”, sul “da farsi” nelle diverse situazioni specifiche - personali o professionali - è sintomo, a mio giudizio, di un’esigenza prioritaria e preventiva che spesso rimane inespressa. Mi riferisco al problema circa quelle che potremmo definire le condizioni soggettive di possibilità di un operare responsabile da parte dell’individuo nelle diverse situazioni nelle quali egli si trova coinvolto in qualità di agente morale, non ultime quelle nelle quali occorre decidere anche per chi non è in grado di farlo.

 

I: Cara Professoressa la ringrazio per la disponibilità mostrata. Nel porgerLe sinceri auguri per il Suo lavoro e per le Sue ricerche future, La saluto, grazie e a presto. 

 

R: Grazie a voi e a presto.

 

Anna Maria Nieddu insegna         

Filosofia Morale ed Etica Sociale                        

all’Università degli Studi di Cagliari                                                  

 

A cura di Daniela Murgia

 

03/04/2003

 

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Last modified: 03/30/04