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PADRE PIO DA PIETRELCINA

 

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LA STORIA IN BREVE:Padre Pio

Padre Pio é nato a Pietrelcina, piccolo paese a pochi chilometri da Benevento, il 25 maggio 1887. Il padre, Grazio Forgione, comunemente chiamato "Razio", o "zi' Razio", era un piccolo possidente che viveva del proprio. La madre, Giuseppa Di Nunzio, era una donna di grande pietà. Fu battezzato col nome di Francesco, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, l'antica parrocchia del paese, posta nel "Castello", cioè nella parte alta di Pietrelcina. Da piccolo aiutava i familiari nelle incombenze dei campi, ma soprattutto si occupava del pascolo di alcune pecore. Manifestatasi la sua vocazione per la vita religiosa cappuccina, il padre si sobbarcò volentieri alle spese necessarie per farlo studiare, emigrando in America. A quindici anni compiuti, fu accolto nel noviziato di Morcone, ove il 22 gennaio del 1903 vestì l'abito di san Francesco, prendendo il nome di fra' Pio. Terminato l'anno di noviziato, il 22 gennaio del 1904 emise i voti semplici e iniziò quindi, nei vari conventi della provincia monastica, gli studi per diventare sacerdote. Il 27gennaio del 1907 emise i voti solenni, legandosi così definitivamente all'Ordine. La salute non buona lo costringeva, però, ad alternare alla vita conventuale continue parentesi di convalescenza al suo paese. Attirato fin dall'infanzia dall'ideale religioso, Padre Pio - al secolo Francesco Forgione - appena adolescente decide di farsi frate. Ha le idee chiare: vuole farsi cappuccino, sicuramente affascinato dalla figura ieratica di fra' Camillo da S. Elia a Pianisi, un cappuccino che predica spesso al suo paese e che infiamma suo cuore di ragazzo generoso. La vita, però, per lui - figlio di modesti contadini - è stata sempre una strada in salita e Francesco ha dovuto tribolare non poco per poter entrare il 6 gennaio 1903 nel seminario di Morcone e iniziare il noviziato con nome di fra' Pio. Giù dall'esperienza del noviziato per fra' Pio si va delineando lo scenario della sua vita e della sua missione: un'esperienza spirituale intensissima con doni straordinari e l'assistenza continua del Signore per combattere strenuamente contro Satana. Non mancano i dubbi, le paure, i momenti di sconforto, ma la fede forte e genuina che lo anima insieme al conforto costante della presenza di Gesù, hanno la meglio. Fra' Pio pronuncia i voti solenni tra i francescani cappuccini il 27gennaio 1907. Gracile di salute, e affetto da vari malanni, Padre Pio ottenne il permesso di essere ordinato prima del tempo stabilito il 10 agosto 1910, con nove mesi di anticipo sull'età canonica viene ordinato sacerdote nel duomo di Benevento. Trascorre i primi anni di sacerdozio nel suo paese natio dove si trova in convalescenza e qui, a Piana Romana, nei pressi di una capanna appoggiata ad un olmo riceve le "stigmate invisibili", ferite dolorose, simili a quelle di Cristo sulla Croce, accolte come un dono e conservate come un segreto perché i tempi non erano ancora maturi. Al convento di S. Anna a Foggia Padre Pio sosterà per un breve periodo ma, nel disegnodella Provvidenza, questa sarà una tappa decisiva del suo avvicinamento a San Giovanni Rotondo. Padre Pio giunse a Foggia per una visita strappatagli da una donna, Raffaelina Cerase, che si era offerta vittima perché Padre Pio tornasse al monastero e che in quei giorni stava molto male. Egli pensava di rimanervi, ospite del convento, solo per poco tempo, ma a causa dell' afa soffocante di Foggia e dello stato cagionevole di salute in egli versava, si trasferì provvisoriamente al convento S. Maria delle Grazie che si trovava alle falde dei monti ed era più fresco. Il 20 settembre 1918 Padre Pio, mentre si trova nel coretto del Convento di San Giovanni Rotondo, riceve le Stigmate visibili: cinque "dardi' che gli attraversano da parte a parte mani e costato. Nonostante tutti gli accorgimenti per nascondere alla folla i segni della passione impressi nella sua carne, la notizia diviene di dominio pubblico e il frate viene sottoposto a diversi controlli medici; Il dottor Giorgio Festa, inviato dal generale dei Cappuccini, osserva in più di una occasione le ferite sanguinanti e constata che hanno "un'origine che le nostre cognizioni sono ben lungi dallo spiegare". Il dottor Festa visiterà più di una volta Padre Pio e lo opererà anche ad un'ernia che conserverà come una reliquia. Tra lui e Padre Pio si stabilirà un rapporto di amicizia molto forte e il Padre si manterrà in stretto rapporto epistolare con lui. In qualità di medico, il dottor Festa ha avuto modo

Padre Pio celebra la S.Messa un particolare delle "Stimmate"

di analizzare molto da vicino le Stigmate di Padre Pio e nelle sue riflessioni personali ha potuto constatare molte analogie tra le ferite dell 'Uomo della Sindone di Torino e le ferite che ricoprono le mani, i piedi e il costato del Frate di San Giovanni Rotondo. La notizia che a San Giovanni Rotondo c'è un frate con le stigmate fa riversare nel piccolo paese del Gargano sino ad allora sconosciuto a tutti - una fiumana umana che cresce con il passare dei giorni fino al punto che Padre Pio deve essere scortato dai carabinieri per recarsi in chiesa. E' vero, ci sono tra la folla molti curiosi, ma le scene commoventi di persone che cercano a tutti i costi di toccarlo, di baciargli le mani sanguinanti, di sfiorare almeno il suo saio, richiamano molto da vicino le scene evangeliche degli ammalati che cercavano Gesù. E le notti trascorse a dormire all'addiaccio nelle campagne per potersi confessare al mattino rivelano più una fede semplice e tenace che fanatismo e superstizione. Nonostante le difficoltà che bisogna superare per poter incontrare il frate stigmatizzato, alcune persone riescono a stabilire con lui un rapporto spirituale continuativo. Sono le Figlie rituali con le quali Padre Pio intesse un colloquio speciale che continua nel rapporto epistolare. Queste anime particolarmente curate

Padre Pio Papa Woitila Il Saio camera di Padre Pio

sono come una sorta di ripetitore che rilanciano in tutti gli ambienti nei quali vivono quell'abbondante ricchezza ricevuta dall'incontro con il padre spirituale. Padre Pio ha avuto tantissimi "postini" che nei momenti di difficoltà si rendevano disponibili per far da tramite e fare attivare la sua parola là dove necessitava. Una figlia spirituale in particolare - Maria Basilio - è stata uno strumento di Dio offerto nelle mani di Padre Pio per realizzare molte delle opere che il Signore stesso gli ispirava. Messaggera della sua parola, Maria Basilio, è stata molto più di una "postina" nel senso letterale, è stata lo strumento eletto di Padre Pio nel compimento della sua lotta contro il male e le avversità di cui era circondato e per questo ha dovuto condividere molte delle sofferenze del suo padre spirituale. Molte persone hanno contribuito con piccole e grandi offerte alla realizzazione delle opere indicate da Padre Pio come forma concreta della carità che si incarna nella storia. Ognuno, toccato nel profondo, ha cercato di manifestare con una donazione spontanea la propria gratitudine per gli immensi e impagabili benefici ricevuti. Qualcuno, come Maria Basilio, una devota figlia spirituale, non ha esitato a vendere i propri beni e mettere il ricavato a disposizione di Padre Pio per la realizzazione di quelle Opere come la "Casa Sollievo della Sofferenza". Iniziata nel maggio del 1947, la grande opera di carità e misericordia voluta da Padre Pio - la "Casa Sollievo della Sofferenza" - viene inaugurata il 5 maggio del 1956 dal Cardinale Giacomo Lercaro. Gli effetti benefici della presenza del Frate della stigmate non solo si possono constatare nelle numerose conversioni spirituali e innumerevoli guarigioni fisiche, ma anche in questa meravigliosa opera che porta nel titolo il senso profondo della sua missione. Per capire come realmente era Padre Pio presentiamo un breve tratto del libro "I Miracoli di Padre Pio" in cui a parlare è lo stesso autore, Renzo Allegri, e il cui libro è edito dalla Mondadori. ECCO IL VERO PADRE PIO I carismi mistici sono doni che Dio concede gratuitamente. Sono quindi un "qualche cosa" che viene dal di fuori, di cui il soggetto non ha merito. La Chiesa, grande maestra nel giudicare gli uomini, quando è chiamata a valutare, attraverso i processi di beatificazione, se uno è santo, non prende mai in considerazione i carismi mistici. Esamina soltanto il comportamento. Ciò che conta, sono le azioni dell'uomo. Scatti d'ira La grandezza di padre Pio e la sua santità non sono costituite dai miracoli, dalle guarigioni, dalle bilocazioni, dalla preveggenza o dalle altre facoltà mirabili che aveva ricevuto, ma dal suo povero vivere quotidiano, uguale a quello di tutti gli altri esseri umani, impastato di sofferenza, che egli ha "onorato" in ogni attimo con la dignità regale di un vero figlio di Dio. È la sofferenza che ha reso grande padre Pio e che ne ha fatto un santo. Una sofferenza, fisica e morale, grandissima. Da quando Cristo, il figlio di Dio, è morto sulla croce, la sofferenza è diventata la strada che porta il cristiano alla gloria "non peritura". E padre Pio ha corso quella strada come il più grande dei campioni. Nel suo vivere quotidiano, il Padre era una persona normale. Aveva pregi e difetti come tutti. Avvicinandolo, la prima impressione era quella di trovarsi di fronte a un granitico monaco di stampo medievale, dai modi bruschi e spicci. Un grande spirito solitario, lontano dal mondo. Conoscendolo meglio, il giudizio cambiava. Si scopriva un uomo estremamente buono, ricco di straripante umanità, che diventava subito simpatico e per il quale si provava un immediato sentimento d'affetto. Di temperamento, era sanguigno. Si infiammava per un niente. Era facile all'ira ma pronto al pentimento. Un tipo ricco di repentini cambiamenti d'umore. Il Padre poi fu sempre tormentato da tanti malanni fisici, da sofferenze atroci, da spasmi indicibili, capaci di far perdere la testa a chiunque. E questo stato di sofferenza, continuo, ininterrotto, implacabile per anni e anni, senza un attimo di tregua, ebbe una indubbia influenza sul suo carattere. Una persona attanagliata ininterrottamente da dolori può anche impazzire. Padre Pio invece riuscì a mantenere sempre la serenità anche se a volte i suoi scatti d'ira, subito dominati e repressi, erano proverbiali. "Basta", urlò Quando lo incontrai la prima volta, nel settembre 1967, il padre aveva ottant'anni, era quindi assai vecchio. Ero andato da lui mandato dal giornale per scrivere degli articoli. Lo conoscevo soltanto attraverso l'aneddotica che circolava. Non ero carico di entusiasmo. La mattina, dopo la Messa, lo raggiunsi in sacrestia, insieme a un gruppetto di privilegiati che volevano baciargli la mano. Approfittai per svolgere il mio lavoro. Con la macchina fotografica continuavo a bersagliare il Padre che si intratteneva ora con uno ora con l'altro. Non usavo il flash. L’unico rumore che avrebbe potuto arrecargli disturbo era il "clic" dello scatto. Un rumore quasi impercettibile. Ma padre Pio doveva avvertirlo molto bene. Dopo quattro, cinque scatti, si rivolse verso di me con una violenza da far gelare il sangue e fulminandomi con occhi terribili, mi urlò: "Basta". Rimasi allibito, ma non scandalizzato perché non ero un devoto di padre Pio. Tenni fissi i miei occhi nel suo sguardo e, sorridendo con calma, gli dissi: "Padre, questo è il mio lavoro". Capì. I suoi occhi diventarono comprensivi, quasi dolci. Continuò a guardarmi ancora per alcuni secondi, ma in modo diverso, quasi paterno. Poi riprese a salutare le persone e io ripresi a fotografare. Non disse più niente. il padre guardiano, al quale mi ero rivolto per poter avvicinare padre Pio a quattr'occhi, mi suggerì di salire al primo piano del convento, dove c'erano le celle dei religiosi e di appostarmi vicino a quella contrassegnata dal numero 1. Per tanti anni era vissuto nella cella numero 5, ma da vecchio era passato in quella numero 1, perché un po' più grande. "È la cella di padre Pio" mi disse. "Quando il Padre arriva, può parlargli." Saliì e attesi. L'ambiente era suggestivo. Dai finestroni, al termine del lungo corridoio ad arco, entrava la luce fresca del mattino con i primi raggi di sole. Una luce soffusa, che si perdeva in quel luogo silenzioso e raccolto. Finalmente, lontano, in fondo al corridoio, vidi la figura di un frate. Era padre Pio. Era solo. Procedeva tenendo la mano destra appoggiata al muro. Faceva sei sette passi, poi si fermava per riprendere fiato. Quel suo procedere non era il camminare normale, sia pure di un vecchio con le gambe stanche e anchilosate dall'artrosi. Era una specie di saltellìo, un avanzare a piccoli balzi, come di uno storpio che non può far forza sui piedi. Era solo un povero vecchio. Era una cosa strana. Guardavo incuriosito e mi chiedevo il perché di quel saltellare. Poi mi vennero alla mente le piaghe dei suoi piedi. Da quasi cinquant'anni il Padre aveva le stigmate. I suoi piedi erano perforati da parte a parte. Piaghe vere, fori autentici, controllati dai medici. E camminare, facendo forza con tutto il peso del corpo su quelle piaghe vive e aperte, doveva veramente essere un tormento inaudito. Realizzai la cosa solo in quel momento, vedendo quel povero vecchio saltellare in quel modo assurdo e goffo. Pensai che forse saltellava in quella maniera da cinquant'anni e da cinquant'anni provava le sofferenze acute che io vedevo in lui in quell'istante. La macchina fotografica mi cadde dalle mani. Rimase appesa al collo come un oggetto inutile. Non mi interessava più fotografare. Ero frastornato, annientato da quello che vedevo. Il Padre intanto aveva ripreso a muoversi e con un altro sforzo grandissimo aveva fatto altri salti, avvicinandosi. Ora potevo osservarlo meglio. Non si era accorto della mia presenza. Era concentrato in ciò che faceva. Sembrava fosse talmente stremato da non riuscire a badare a ciò che lo circondava davanti. Il suo respiro era affannoso. ll corpo curvo. Ma si intuiva che la statura doveva essere rilevante: almeno un metro e ottanta. La tosse gli sconquassava il petto. Quando decise di fare un altro pezzetto di corridoio vidi il suo viso, piegato su' petto, contrarsi in una smorfia orribile. La mascella dura, i denti stretti, la mano che faceva pressione sul muro e via, saltellando, ma solo per qualche metro perché gli era impossibile continuare. Adesso era lì, vicino a me. Guardai i suoi piedi. Erano grossi, pesanti, gonfi come quelli di una persona malata di cuore. Erano coperti da calze rozze e infilati in pesanti sandali di cuoio deformati. Non aderivano al suolo. Sembrava fossero rattrappiti. Pareva che il Padre li tenesse sospesi, puntando le dita contro il pavimento, perché il poggiarli normalmente provocava spasmi insopportabili. Dopo aver calmato il respiro affannoso, il Padre si raddrizzò sul busto. Mi guardò. Ora il suo viso era davanti al mio. Era un viso tirato, teso, con le pieghe intorno alla bocca assai marcate. Non era il viso illuminato di un taumaturgo, di un asceta carismatico, come lo avevo immaginato; era il viso di un vecchio distrutto dalla sofferenza, allo stremo delle forze, che mi guardava smarrito, quasi a chiedere aiuto, pietà. Sentii un profondo senso di colpa. Mi vergognavo di essere li, a curiosare. Mi avvicinai, gli baciai la mano e gli offrii il mio appoggio per aiutarlo a raggiungere la porta della sua camera che distava pochi metri ma che, per lui, in quelle spaventose condizioni, sembrava irraggiungibile. Procedendo lentamente a fianco del Padre, scambiai con lui poche parole, ma credo che quello sia stato il discorso più lungo da me fatto con una persona, perché quel dialogo non si è mai più interrotto. "Mia figlia carissima" Fu quell'incontro che mi fece capire chi era il vero padre Pio, il santo che sarà ricordato nei secoli: un cumulo di sofferenze. In seguito, in occasione di alcuni altri incontri con il Padre e soprattutto parlando a lungo con le persone che lo conobbero molto bene, potei approfondire altri aspetti della sua personalità. Padre Pio era un burbero. Burbero per costituzione, ma insieme profondamente buono, incapace di fare il più piccolo dispiacere. Si affezionava immediatamente a tutti coloro che gli dimostravano un segno di simpatia. Amava teneramente gli amici. Gioiva nel vederli e si rattristava quando giungeva il momento del commiato. Lo stato religioso e l'esperienza mistica non avevano snaturato e neppure scalfito la sua grande istintiva affettività. A padre Pio piaceva scrivere lettere. Ne scrisse migliaia, che, dopo la sua morte, sono state raccolte e formano numerosi grossi volumi. Le scrisse soprattutto a donne, alcune anche molto giovani. Erano persone che si rivolgevano a lui per avere dei consigli e che egli chiamava "figlie spirituali". E interessantissimo vedere come quelle lettere siano piene di una affettività limpida, serena, grandissima. Una affettività che era certamente ricambiata da quelle donne ma che non aveva niente di meno limpido, di meno grande e intenso della vera amicizia. Le lettere iniziano sempre con l'espressione "Mia figlia carissima". Contengono raccomandazioni, indicazioni, consigli, dati con tono dolce e rispettoso. Spesso ripete: "Scrivimi ogni volta che il vuoi: troverai in me sempre un padre pronto a sovvenire ai tuoi bisogni". In una lettera a Maria Pyle, un'americana diventata sua figlia spirituale, si legge: "Tutto tuo nel dolce Signore". Anche nei confronti dei confratelli, degli amici che lo frequentavano, il Padre era affettuosissimo. Si accorgeva se uno dimenticava una ricorrenza, un anniversario. Quando incontrava un amico, lo abbracciava e baciava con trasporto e prima di lasciarlo andare continuava a lanciarli baci con la mano in segno di affetto. Pensando alla sua partenza1 si rattristava: "E resta un altro poco" ripeteva. "Statti un po' con me qualche giorno." Al distacco, svelava toni dolci, materni: "Ma come? Già parti? Già te ne vai?". Comunicare con gli altri era un bisogno per padre Pio. Già nel 1916, aveva scritto al suo confessore: "Che volete, al cuore non si comanda". Delle persone che lo circondavano aveva sempre un concetto positivo. Se i fatti gli facevano capire che il suo vicino era un farabutto e che tentava di imbrogliarlo, soffriva ma non esprimeva mai un giudizio. Se costretto a farlo, le sue parole erano di comprensione. Esultava per le piccole sorprese. Anche da vecchio, con la freschezza di un bambino. Era felice se qualcuno gli offriva una presa di tabacco, o se poteva bere qualche sorso di birra, che era la sua bevanda preferita soprattutto nelle giornate afose dell'estate. Di fronte agli ammalati, ai bambini sofferenti, i suoi occhi si riempivano di lacrime. Si capiva che, in quel momento, il suo cuore traboccava di tenerezza e avrebbe voluto fare qualunque cosa per lenire quei dolori. I miracoli, le guarigioni nascevano da questo suo struggimento. Implorava Dio con passione offrendo, in cambio della guarigione, le sue sofferenze, le sue notti di tormento.

Rimproveri e barzellette  .È stato spesso detto e scritto che padre Pio era intollerante e cattivo con chi andava a confessarsi. Ma è una leggenda. È vero che, a volte, cacciava via i peccatori. Ma lo faceva di proposito perché, in quel modo, suscitava una reazione, un tormento interiore. La persona si poneva dei problemi, si interrogava, e, tornando, era pronta a cambiare vita. Carlo Campanini, il comico che gli fu amico, portava spesso al Padre degli attori che volevano confessarsi e spesso padre Pio li cacciava via. Campanini ne restava male. Un giorno gli disse: "Padre, mi hanno detto che padre Leopoldo Mandic, un santo cappuccino che vive a Padova, confessa 18 ore al giorno e non manda mai via nessuno". Padre Pio lo guardò negli occhi e gli rispose: "Lo so. Ma i peccatori più ostinati li manda qui da me". Campanini aggiunse: "Ma lei si prende una bella responsabilità a mandar via un peccatore senza assolverlo. E se questi, appena uscito di chiesa, morisse?". il Padre, allargando le braccia e guardando verso il cielo disse: "Se ho sbagliato io, vuoi che sbagli anche Lui? Ci penserà Lui a mettere le cose a posto". Con i peccatori invece dimostrava grande comprensione. "Padre, io non credo in Dio" gli disse un uomo. E il Padre, sorridendogli: "Ma figlio mio, Iddio crede in te". Un tale gli si era prostrato ai piedi e tenendo il volto tra le mani continuava a ripetere: "Padre, ho troppo peccato". Padre Pio lo accarezzò sui capelli dicendogli: "Figlio mio... gli sei costato troppo perché egli ti abbandoni". Era anche un burlone. Amava fare scherzi agli amici e raccontare barzellette. Nelle ore in cui scendeva in giardino e si intratteneva con i confratelli e qualche amico, si abbandonava spesso alla sua vena di narratore di barzellette. Campanini, comico che per oltre sessant'anni ha fatto ridere l'Italia, era un professionista della barzelletta. Ebbene, più volte mi disse che, come narratore di barzellette, di fronte a padre Pio si sentiva un pivello. "Sarebbe stato un comico straordinario" ripeteva. E un giorno lo disse anche al Padre. "Figlio mio," rispose padre Pio "a questo mondo ognuno fa il buffone meglio che può nel posto nel quale l'ha messo il Signore." Ho parlato dei dolori fisici di padre Pio. Delle piaghe che attanagliavano le sue carni, delle malattie continue che terremotavano il suo fisico. Dolori certamente grandi, ma che sono un niente nei confronti dei dolori morali. Cominciò a essere giudicato un imbroglione fin dai suoi primi anni di vita religiosa. Le malattie che lo costringevano a cambiare continuamente convento e a restare lunghi periodi a casa erano ritenute una scusa per sfuggire la disciplina del convento. A un certo momento, il suo superiore provinciale scrisse al superiore generale chiedendo che padre Pio, già sacerdote, fosse cacciato dall'Ordine perché era indegno e dava scandalo con il suo comportamento. Giudizio pesantissimo che deve certamente aver sconvolto il povero fraticello. L'umiliazione più grande:

Dopo la comparsa delle stigmate, le umiliazioni e le offese morali aumentarono. Il Sant' Uffizio, il Tribunale supremo della Chiesa, per cinque volte intervenne dichiarando che quelle piaghe erano false e che era lo stesso padre Pio a procurarsele ingannando la gente. Il giudizio fu pubblicato dall' Osservatore Romano, organo d'informazione ufficiale della Santa Sede e ripreso dai giornali di tutto il mondo. E anche allora la sofferenza e l'umiliazione devono essere state indicibili. Ma padre Pio sopportava. Taceva. Era la sua croce. Una croce tremenda. Che cosa passava nel suo cuore? Che cosa provava incontrando amici, confratelli, parenti, sua madre? Sapeva che loro conoscevano i giudizi della Chiesa. Ci sono stati anche periodi di serenità nella vita del Padre. Periodi durante i quali le pene e le restrizioni imposte dal Sant' Uffizio erano state sospese. Ma non ci fu mai la ritrattazione delle condanne. Mai. Il Padre morì condannato dalla Chiesa. Nel 1960, quando aveva già 73 anni, era quindi un vecchio che si avviava al tramonto, il suo cuore fu dilaniato da un'ultima tremenda ondata di sofferenze e umiliazioni. Padre Pio venne accusato di colpe gravissime. Le accuse arrivarono fino al Papa, che era Giovanni XXIII, il quale dovette mandare un suo inviato a investigare, a interrogare, a compiere una inchiesta ufficiale. Quali erano le colpe? Padre Pio era accusato di essere un vecchio sporcaccione e laido. Di avere relazioni sessuali con donne due volte la settimana. Proprio così. E il vecchio sacerdote stigmatizzato. Con donne due volte la settimana. Proprio così. E il vecchio sacerdote stigmatizzato per giorni e giorni dovette sottoporsi a una lunga serie di domande su questo argomento, dovette rispondere, difendersi, sapendo che di quei sospetti erano al corrente non solo i suoi superiori ma lo stesso Papa e che erano sospetti gravi, tanto che il Papa aveva voluto quell'inchiesta. E l'inchiesta si concluse con sanzioni disciplinari, cioè con condanne, con l'avallo quindi delle terribili accuse. Il vecchio padre Pio piangeva per il dolore, ma sopportò tutto con fede, come aveva fatto Giobbe, l'uomo paziente della Bibbia, come avevano fatto i grandi santi. La verità più importante: Chi mi ama prenda la sua croce e mi segua; c'è scritto nel Vangelo. E padre Pio ha camminato sempre verso il Calvario. La sofferenza è uno scandalo. Ma dopo la morte di Cristo in croce, per il cristiano è un mistero di Redenzione. Un mistero grandissimo e importantissimo. Me lo fece capire il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova. Fu una delle pochissime autorità ecclesiastiche ad avere sempre stima di padre Pio. Dopo la morte del Padre, andai a trovarlo per chiedergli quale fosse il messaggio lasciato dal "frate con le stigmate" alla gente del secolo Ventesimo. Il cardinale mi fece un lungo discorso richiamandosi al corpo di Cristo e alle sofferenze di Cristo. Un discorso che illumina molto bene il mistero cristiano della sofferenza e offre quindi la chiave per capire la vera grandezza di padre Pio. Con le stigmate che ha portato per tutta la vita e con le altre sofferenze morali," mi disse il cardinale Siri "padre Pio richiama l'attenzione degli uomini sul corpo di Cristo come mezzo di salvezza. Cristo è morto in croce per gli uomini e su questa verità, una delle principali della Religione cristiana, poggia tutta la teologia della redenzione. E una verità talmente importante che quando gli uomini, lungo il corso della storia l'hanno dimenticata o hanno cercato di travisarla, Dio è sempre intervenuto con avvenimenti, fatti, miracoli. La storia della Chiesa è piena di questi interventi divini per richiamare l'attenzione sul corpo di Cristo. Per esempio, nel 1200, secolo delle grandi discussioni teologiche, delle prime università, quando i filosofi si interrogavano sugli "universali", la dottrina cristiana stava per essere inquinata da troppi sofismi e intellettualismi e la verità sul corpo di Cristo svuotata della sua concretezza. Ed ecco sorgere San Francesco che propone come ideale "vivere il Vangelo alla lettera"; e, ricevendo le stigmate richiama l'interesse sul corpo di Cristo. In quello stesso periodo, in Belgio, la beata Giuliana Cotillon, suora agostiniana, diventava promotrice di una festa per celebrare l'umanità di Cristo. E lo stesso Gesù che, in diverse apparizioni, la sollecitò a questo scopo. Suor Giuliana si diede da fare e nel 1247 riuscì a ottenere, per la diocesi di Liegi, l'istituzione del "Corpus Domini", una festa che celebra il corpo fisico di Cristo. Suo confessore era Jacques Pantaleon che nel 1261 fu eletto papa col nome di Urbano IV. Allora Giuliana lo sollecitò a far conoscere la festa del "Corpus Domini" a tutta la Chiesa, ma Urbano IV che non era completamente convinto, non si decideva. Ed ecco arrivare un altro grande segno da parte di Dio: il miracolo di Bolsena. Nell'agosto del 1263, un prete tedesco, mentre celebrava la Messa in una chiesetta sul lago di Bolsena, fu preso dal dubbio che in quell'ostia consacrata ci fosse realmente il Corpo di Cristo. Al momento della Consacrazione, mentre alzava l'ostia, da questa uscirono fiotti di sangue che andarono a inzuppare la tovaglia dell'altare. Il prodigio fece accorrere gente. Il luogo venne immediatamente recintato perché nessuno toccasse e si andò a chiamare papa Urbano IV, che era a Orvieto, a una trentina di chilometri da Bolsena. Il Papa corse, esaminò, interrogò i testimoni, si convinse dell'autenticità del fenomeno, lo collegò alle visioni avute dalla sua penitente, suor Giuliana, e capì che era un nuovo segno. L'anno successivo, con la bolla "Transiturus", estese la festa del "Corpus Domini" a tutta la Chiesa.

"Un grande segno del nostro tempo" Nella seconda metà del Seicento, in Francia, ma anche nel resto d'Europa, si era diffuso il giansenismo, che con la sua teoria intaccava il valore universale della redenzione di Cristo. Allora Gesù intervenne con diverse apparizioni alla mistica francese Margherita Maria Alacoque, alla quale chiese di diffondere la devozione al suo cuore. E un nuovo grande richiamo al Corpo di Cristo, nella sua parte più sensibile, il cuore, la sede degli affetti. Dopo molte lotte e peripezie, la Chiesa istituì la festa del Sacro Cuore. Nel nostro tempo la tentazione di dimenticare la realtà del corpo di Cristo è grandissima. Molti teologi moderni, soprattutto con mentalità hegeliana, sono stati promotori di teorie sbagliate e deleterie, e Dio è intervenuto e continua a intervenire con molti segni. Uno di questi, senz'altro il più evidente, è stato padre Pio che per oltre mezzo secolo ha portato nel suo corpo le stigmate di Cristo a significare che la sofferenza non è un qualcosa di sterile e assurdo, ma il mezzo per la redenzione".

Nel secolo del progresso scientifico e della conquista dello spazio, Padre Pio, con le sue prodigiose facoltà, con i suoi carismi mistici, offre una speranza a coloro che sentono ancora la vaga ma insopprimibile nostalgia dell'Eden, del "Paradiso perduto"; e con le sue sofferenze indica una strada a chi vuole incamminarsi verso il mistero della "casa del Padre". È la strada più ostica, più scoscesa, più dirupata che si possa immaginare, ma forse è quella che non tradisce.