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Ritagli 1999

Giovani, infedeli e griffati

Ragazzi attenti, adesso vincono i cattivi

Tra reale e «perturbante» il confine si assottiglia

 

da Avvenire - Mercoledi 27 Ottobre 99 

TENDENZE/1 

Comodità, effimero e oggetti di moda: gusti e identikit dei desideri nelle ultime generazioni. Parla Giancola
Giovani, infedeli e griffati
Hanno stili informali, sono individualisti, ma omologati e «coatti»

Rossana Sisti

Sportwear, ovvero informale da città, sportivo da tutti giorni ad alta tecnologia:materiali avveniristici, confort a 360 gradi, fogge a metà tra il mito cyber e il medioevo hi-tech. Gli Anni Novanta tramontano così, sotto il segno della funzionalità e della sofisticazione delle fibre, del comfort, delle performaces più disparate. Il profano può arrestarsi qui, perché il dedalo del lessico e le sfumature di un mondo multiforme come la moda, disarmano. Chiamatelo come vi pare, urbanwear o everdaywear, il must di fine secolo, quello su cui si stanno concentrando gli sforzi creativi e produttivi delle aziende, è una patente di cittadinanza urbana, di praticità e portabilità ai capi studiati per fare sport. Forse non possiamo immaginare come vestiremo nel Duemila prossimo venturo, certo l'innovazione galoppa e non sappiamo fin dove le tecnofibre e la creatività ci spingeranno. Ma molto dipenderà dai colossi della moda, da chi in questo mercato ridondante di idee e saturo di bisogni saprà essere dirompente e affermarsi anche con altro:per strategie vincenti di produzione, distribuzione e comunicazione, per esempio.
Che la moda di fine millennio, sempre meno catalogabile o riconducibile a pochi canoni, si giochi non solo dentro le maison degli stilisti più accreditati, ma tra i brain storming dei creativi della comunicazione e ancora a colpi di fusioni, acquisizioni e alleanze strategiche che generano holding inattaccabili e trainanti ill mercato appare ben chiaro a tu per tu con Alessandro Giancola, sociologo ed esperto di comunicazione e marketing della moda, che sui trend di fine millennio ha curato un volume a più voci appena edito da Franco Angeli e intitolato La moda nel consumo giovanile. Stategie &Immaginari di finer millennio ( pagine 232, lire 32.000). «E' questo un passaggio epocale - spiega - più complesso di quanto non si percepisca. Nel consumo della moda giovanile è in atto una mutazione che riguarda non sologli oggetti del desiderio, ma addirittura il concetto di gioventù. I confini anagrafici sono diventati labili e si sono dilatati». Proiettata nel terzo millennio c'è quella che Giancola chiama una "gioventù espansa", una tribù planetaria, sportiva, metropolitana, informale, senza frontiere e bandiere. Informale e trasformista. Trasversale nei consumi, individualista e infedele, ma anche omologata e coatta. E' comunque un supertarget, che assembla il quindicenne e il quarantacinquenne, padri e figli che riappacificati e lontani da ogni sfida generazionale, ora condividono stili di vita, mentalità, modi di essere, di pensare, di viaggiare e di vestire. Integrati e confusi, apparentemente uguali. Sono giovani dentro, se non proprio all'anagrafe. E' a loro, ragazzi senza età, lontani mille miglia da tutto quanto può sapere di vecchio, che guarda l'industria della moda griffata con l'intento di catturarli e fidelizzarli, come si dice tecnicamente, non solo con un buon prodotto, E' per loro che nasce l'informale e il polivalente, il leggero, stropicciabile capo da città. «Evidente nei tessuti, tagli, tecniche di lavorazione e finissaggi, spiega Giancola - l'informale si coniuga con la nuova dimensione della vita urbana, offrendo comfort in diversi momenti e occasioni della giornata, contaminando anche il tradizionale abito da ufficio. bene lo identifica il concetto di "amichevolezza" e cioè comodità, praticità e portabilità, multiprestazioni grazie alla forte innovazione dei tessuti tecnologici: mischie di fibre e filati naturali e sintetici, impregnazioni e spalmature, tecnologie tessili sofisticate che permettono effetti lucidi, bagnati, metallizzati, morbidi, lisci o stropicciati, danno vita a capi assolutamente funzionali, leggeri, duttili. Trasformabili, come gli spolverini che diventano tracolle o guanciali gonfiabili». Abiti innovativi ma che rischiano anche di confondorsi in un mercato che vede la competitività spostarsi sul piano delle logiche di marketing e comunicazione. Perché alla fine i sogni bisogna vendereli come si deve. «Nella moda la realtà di mercato - spiega Giancola - è questa: o si è grandi e si cresce in dimensioni di holding, con politiche di marketing aggressive, acquisizioni, diversificazioni e internazionalizzazioni, o si sopravvive in una dimensione di nicchia». Le storie dei grandi marchi, la nascita dei poli del lusso lo dimostrano. Prendete il «mondo di Extè», griffe d'avanguardia della moda giovanile, stile minimalista, suggestioni hi-tech, materiali altamente tecnologici e alte prestazioni, ricerca sperimentazione strettamente congiunte all'eleganza e all'attenzione ai particolari. E a sostegno di una immagine avveniristica, una comunicazione di grande impatto. È la prova che i miracoli di mercato nella moda sono figli di imprenditorialità spinte. Il segreto è sapersi vendere.
Nell'era dei non-bisogni e dell'omogeneizzazione sarà anche la scoperta dell'acqua calda, ma la colonizzazione del pubblico qualcuno sa farla meglio di altri. E' vero che il consumatore di fine secolo è "trasversale", capace di acquisti agli antipodi quanto a stili e prezzi, ma non è un caso o solo questione d'estetica se tutti ossessivamente, in ogni angolo del mondo, hanno ai piedi le stesse scarpe, indossano gli stessi jeans, sognano e desiderano gli stessi giubbotti o le medesime t-shirts. Prendete Nike, per esempio, ill colosso planetario nato con le scarpe a carrarmato e sconfinato con eccezionale successo nell'abbigliamento sportivo tout court per il tempo libero. Il segreto? Sapersi vendere. Con una strategia complessa e geniale che ridotta ai minimi termini punta insieme al prodotto tecnologicamente avanzato e soprattutto al valore aggiunto della fascinazione del marchio, la mitica virgola spinta nel mondo dai campioni più amati dai giovani. E se non basta prendete Diesel. Una storia dirompente. Il miracolo italiano della provincia vicentina che ha impersonato il sogno americano, ovvero il jeans che con ironia e irriverenza veste i giovani di cinque continenti e ha imposto nel giro di pochi anni un marchio visibile e riconoscibile simbolo di un provocatorio ma autentico modo di vivere e pensare. Il segreto? Prodotto e comunicazione.

 Rossana Sisti

da Avvenire  - Mercoledi 27 Ottobre 99

TENDENZE/2 

Cresce notevolmente il tasso di violenza minorile e spopolano gli eroi negativi
Ragazzi attenti, adesso vincono i cattivi
Paolo Ricci

Circa trecento città americane hanno decretato il coprifuoco notturno per i giovani sotto i sedici anni: troppi i crimini commessi dagli adolescenti negli ultimi anni e soprattutto "insensati e imprevedibili". Altrettanto "imprevedibile", quanto diffusa, la recente esplosione di violenza minorile in Giappone (in questo senso si veda l'interessante reportage di David Esnault Gioventù violenta in Giappone in "Le Monde diplomatique", settembre 1999): atroci delitti commessi da tredicenni; cacce all'uomo contro anziani, barboni o ubriachi organizzate da ragazzini per passare la serata; prostituzione minorile sempre più diffusa, tramite il proliferare dei "club telefonici", tra le ragazze dei licei che la praticano solo per comprare abiti firmati, cosmetici, etc.; rapido incremento anche degli "incidenti" scolastici (studenti organizzati in gang che si approfittano dei compagni più deboli, ma che organizzano anche aggressioni verso i professori) con un progressivo aumento percentuale del 50% negli ultimi due anni; cresce in modo sproporzionato anche il numero dei ragazzi che - nell'intimità della casa - picchiano i genitori. Il problema, non nuovo, si sta trasformando in emergenza. Ne ritroviamo tutti i segnali anche sul piano culturale. Per esempio - sempre dai giovanissimi - il personaggio preferito della nuova trilogia di Star Wars, è Darth Maul, il "cattivo", che non solo incarna la forza del male, ma viene rappresentato secondo le più tradizionali caratterizzazioni del diavolo, di Satana in persona: incarnato rosso e nero, palchetto di corna sulla testa. Non con i "buoni" Jedi, quindi, ma con i malvagi Lord Sits si apre il nuovo millennio: sono loro i nuovi eroi, i miti degli adolescenti - "i veri coatti", dicono i ragazzi - in cui trovano molto più fascino e gioco di rispecchiamento.
È utile interrogarsi su che cosa sia questo fascino della violenza fine a se stessa, del male senza scopo. Perché l'attrazione del bene oggi sembra così debole? Perché il gesto disinteressato, libero da calcolo, deve essere visto, da milioni e milioni di ragazzini (in Giappone i manga, fumetti a contenuto violento ed erotico, hanno tirature che raggiungono le decine di milioni), come appannaggio delle forze del male?
Certamente è sempre la figura del ribelle che affascina la nostra società: due secoli di "metafisica della rivolta", si potrebbe dire parafrasando Camus, che non vogliono terminare, con l'eroe negativo che continua a esercitare un'intramontabile attrazione. Occorrerebbe rileggere I sotterranei del Vaticano di André Gide, non solo perché è stato il libro che più degli altri valse il premio Nobel allo scrittore francese, ma perché fu propriamente il manifesto teorico-poetico dell'"atto gratuito", della scelta di un distacco completo dell'uomo dalla dimensione morale che viene presentata dal protagonista, Lafcadio Wluiki, come un risibile condizionamento sociale e culturale a cui preferire una libertà non tanto istintiva e naturale, ma piuttosto di assoluto controllo dei propri impulsi e delle proprie emozioni.
Ma qual è il fascino che esercita sul lettore il giovanissimo Lafcadio (lui che decide di uccidere "gratuitamente" un buon uomo che viaggia sul treno Roma-Napoli solo per il fatto che gli appare come un essere triste e inutile) e che conquistò la generazione che aveva vent'anni durante la Prima guerra mondiale? E perché nel duello con i Jedi gli adolescenti di oggi fanno il tifo per il repellente Darth Maul anziché per il bell'Obi Wan Kenobi?
La società - poliziotti, educatori, avvocati e genitori - non sa cosa dire: un conto è giocare con delle armi, un altro è usarle per uccidere. Si invoca ovunque la revisione delle leggi sulla criminalità minorile e si opta per la "tolleranza zero", ma si sa anche che queste misure coercitive non riusciranno ad arginare l'ondata della violenza giovanile crescente. Anzi facilmente arriveranno a rinvigorirla.
D'altra parte, si sa che l'età tra i dodici e i diciassette anni è particolarmente difficile: il ragazzo è ancora immerso in una dimensione di gioco e nello stesso tempo comincia a volere, e dovere, verificare la propria identità: verifica che necessariamente significa contrapposizione all'adulto, ma che sempre più spesso si trasforma in sfida.
La rivolta violenta dei giovanissimi di oggi non propone una contrapposizione di valori (ma non era così neppure, a ben guardarci, dietro i facili ideologismi del '68), ma solo un godimento e un divertimento.E il bene? Quale idea di bene oggi può esercitare qualche fascino su giovanissimi inconsapevoli della loro disperazione? Forse quella di una morale laica tutta basata su calcoli e relazioni come oculati contratti? Se l'elemento che sconcerta di questa nuova criminalità è il "gratuito", non sarà forse il caso di ripartire di qui? C'è bisogno, nella psiche di un adolescente, di uno spazio vuoto di calcolo e di personale guadagno, disinteressato, appunto gratuito. Forse è proprio questa mancanza l'origine del male dilagante di oggi.

Paolo Ricci

da Avvenire  - Mercoledi 27 Ottobre 99

PSICOLOGIA

Tra reale e «perturbante» il confine si assottiglia
Pierangela Rossi


Tutto ciò - tutte le sfumature - che il «perturbante» assume e ha assunto nella storia delle categorie psicoanalitiche si ritrova oggi nelle biotecnologie come possibile avvenimento reale: le peggiori - più inquietanti - fantasie possono diventare realtà: la confusione tra vita e morte, il sosia, fantasmi di onnipotenza e autorigenerazione, in genere il familiare che diventa estraneo, lo spaesamento rispetto alle origini e così via. Nello stesso tempo, la psicoanalisi è costretta a ripensare, in un certo senso, anche le geometrie mentali all'interno del dicorso psicoanalitico. Come possono gli esseri umani ragionare eticamente su fenomeni del tutto nuovi - tecnicamente possibili - che attengono alle più intime sfere della persona senza doverli vivere in assenza di ogni riflessione? «Pensare» ciò che sta accadendo nei laboratori e soprattutto alle persone è compito (anche) della psicoanalisi, in un fecondo confronto con la bioetica. Così Loredana Preta presenta «Nuove geometrie della mente. Psicoanalisi e bioetica» (Laterza, pagine 234, lire 35.000). Nel libro, vari psicoanalisti, ma anche (per il diritto) Stefano Rodotà e Sebastiano Maffettone (per la filosofia), discutono su scenari imprevisti che ora si profilano sempre più «vicini». A cominciare dai fantasmi distruttivi degli stessi ricercatori (Fausto Petrella) per continuare con i possibili usi perversi dell'autonomia del sapere scientifico-tecnologico, rispetto ai quali va elaborata una ricerca di senso che sia invece anche umana (Roberto Contardi). In assenza di una seria riflessione, dice Olga Pozzi, il luogo concreto della riproduzione e consumazione della bioetica sarà inevitabilmente solo quello industriale e commerciale.
Dalle protesi tecnologiche possono svilupparsi angosce catastrofiche: perché si oltrepassano limiti finora «delegati» al destino (Eugenio Gaburri). Vi sono conseguenze psichiche di «operazioni» sul corpo che possono presentare esiti mentali diversi dalle aspettative (Giuseppe Di Chiara). Anche Gariella Bonacchi vede attivarsi nuove angosce in relazione alle biotecnologie. Ma i contributi nel volume sono poi moltissimi e i più diversi, sempre su questioni di, frontiera.
Tra i tanti, fa riflettere lo scritto di Giorgio Bartolomei che mette in guardia sul rischio di una «deriva eugenetica» («Intorno a un'etica del limite nell'età della Tecnica»). Bartolomei richiama anche alcune considerazioni di Freud nel «Disagio della civiltà», là dove si dice che «le età future porteranno con sé nuovi e forse inimmaginabili passi avanti nel campo della scienza, accresceranno ancora la somiglianza dell'uomo con Dio. Ma non dimentichiamo che l'uomo d'oggi, nella sua somiglianza con Dio, non si sente felice».

Pierangela Rossi

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Aggiornato il: 21 luglio 2002