Uhura-Files 1.0: Paolo "Crazy" Carnevale
Klaus Piger: Lettera aperta ad un collega/Uhura 4


Uhura Message 4

2000

 

Uhura-Files 1.0
Paolo "Crazy" Carnevale

Caro Paolo Quando Reinhold mi ha proposto di stendere un articolo in occasione dello speciale »PCC« fece questo in ricordo di una mia osservazione sul tuo lavoro e sul tuo personaggio. Avevo detto in una serata umida al pub di Laghetti che non ti mancava che l'autoironia per poter essere considerato un autore nella tradizione austroungarica a pieno titolo. Vedevo e vedo infatti dietro alle tue »americanate« una mano meticolosa («chi è curato nei minimi dettagli«) e un amore per i propri personaggi che per me sono tipici per quegli autori da Adalbert Stifter a Joseph Roth fino a Helmuth Qualtinger e altri che hanno segnato lo stile umano in contrapposizione allo stile umanistico tipo Thomas Mann e consorti fino ai nostri tempi. Sembra che ai giorni d'oggi lo stile umanistico l'abbia vinta nelle sue varie vesti e travestimenti però c'è ancora chi vive e lavora un altro materiale che le idee astratte e i concetti.
Ero convinto di impostare il presente su questo paradigma fino a quando ho letto la prefazione di Elmar Locher ai »15 racconti dall'Alto Adige« e mi sono accorto che volevo fare la stessa cosa di questo professore eloquente e onnipresente. Volevo parlare di una cosa che non c'era a scapito di quelle che ci sono.
Resto tuttora convinto che il discorso sull'autoironia meriterebbe un approfondimento di canto suo. Ma oggi voglio parlare di quello che c'è, voglio parlare dei tuoi racconti e di te.
L'editore di »Uhura« ha messo il tuo appellativo »Crazy« tra virgolette come ad indicare un'impressione controversa che si ha del tuo personaggio al primo impatto. Ammetto che i nostri primi incontri mi avevano lasciato nel dubbio sull' appropriazione da parte tua di questo appellativo provocante. Nonostante l'abbigliamento talora pittoresco e appariscente la prima impressione che si ha di te é di grande pacatezza e serietà in atteggiamenti e giudizi. Anche attraverso la lettura dei tuoi testi non sono riuscito a cogliere subito il punto di riferimento di quel »crazy« che d'altro canto si incontra spesso nei mass media e nello spettacolo come per es. »crazy cannucks« per gli spericolati discesisiti canadesi o »crazy racers« per uno snowboardclub, »crazy camera« per le videoregistrazioni di persone colte in situazioni spassose, »crazy doctors«, »crazy potatoes«, »hot pink and crazy« e altri ancora. Tuttora non conosco la vera origine della tua scelta, ma voglio azzardare un accostamento che voglio esemplificare in seguito attraverso i tuoi testi. Il »crazy« scelto da te mi ricorda una cosa che ho letto su Crazy Horse, il famoso capo indiano Lacota: vedeva il mondo dietro quel mondo che tutti pretendono di vedere, vedeva muoversi le cose ritenute immobili.

Ci sono anche altri che guardano »dietro le cose« e pretendono di vederci un mondo nascosto. Ma spesso ci descrivono questo mondo senza alcun nesso attivo con quel mondo con il quale ci dobbiamo confrontare ogni giorno per guadagnarci la pagnotta (e forse qualchecosina in più). O si celebra la famigerata »dietrologia«, in auge in questo momento nella vita politico/culturale tanto in Italia quanto in Austria.
Nei tuoi racconti invece vedo all'opera un mondo che nasce certamente dalla tua fantasia narrativa ma che ha tutti gli attributi di quella vita sotterranea che anima la vita di ogni giorno e solo rare volte riesce a prendere forma e vita nell'arte della parola: la vita interiore della gente comune, fatta di fantasia e di sentimenti. Vedo i tuoi personaggi animati da forze che non sempre riescono a venire alla luce del giorno ma che comunque sono il motore della nostra vita.
Questo si capisce quando ci sembra di riconoscere certi personaggi anche se sono protagonisti di ambienti e situazioni che noi di solito non frequentiamo.
Per me i tuoi personaggi, sia che si muovano entro i limiti della città di Tonopah sia che agiscano a Bozen Town e dintorni hanno sempre una caratteristica comune: sono sempre se stessi e non cercano di divincolarsi tra mille mosse psicologiche e scuse generalizzanti. Sono figure, che mirano al sodo, anche se a qualcheduna tra di esse le certezze agognate le si disfanno tra le mani. Operano tutti nella più ferma intenzione di restare sempre e comunque se stessi, fanno quello che devono fare in quei momenti cruciali della vita nei quali tanti altri scelgono di non essere più se stessi per non dover fare quello che devono fare.
Gli attori delle tue storie sono veramente gente comune, perché anche se si tratta di un mucchio molto variopinto, nessun personaggio ambisce a chissachecosa, ma ognuno da atto di pensare soprattutto alle cose semplici della vita, rese complicate chissaperché da chissachi o da chissachecosa.
Do ampiamente ragione a Marco Sivieri, quando nella sua prefazione concisa a »PCC scripsit« rileva come caratteristica comune dei tuoi personaggi una sorte di incuranza di fronte agli avvenimenti circostanti, talvolta cariche di tensione. Non sono d'accordo invece col suo resoconto.
La frase di Sivieri sulla vita consumata come un buon pasto o un nuovo amore apre il discorso su un tema tuttora non concluso: la vita e il consumo.
Siamo bravi a scegliere il miglior piatto del momento e il vino che si addice meglio allo stesso. La nostra marca di tabacco preferita contribuisce a contraddistinguerci davanti a noi stessi ed agli altri, siamo capaci di partecipare a degli »events« di vario genere e vario livello. Ma siamo altrettanto bravi a scegliere gli atti giusti e a decidere serenamente sulle nostre azioni di ogni giorno? Siamo sicuri che queste azioni ci porteranno laddove vogliamo arrivare veramente, e prima di tutto, siamo sicuri di sapere dove vogliamo arrivare?
Quando leggo i tuoi racconti incontro spesso il momento in cui avverto che ogni consumo non è mai concluso in se stesso ma solo un momento su una strada che arriva da ... e
porta a ...

Il giudizio sulla vita come consumo inoltre non fa caso a un'entità fondamentale dell' insieme: l'autore stesso, un'entità formalmente sconosciuta al lettore, ma sostanzialmente esistente e sempre presente. L'autore fa sempre parte del suo mondo e per conferma si vada a chiedere a chiunque chi legge, nel nostro caso fa parte di questa »provincialissima Bozen-Town«: è quello che crea, quello che da vita ai suoi personaggi. Ce li fa osservare all'interno di un mondo a loro non sempre familiare, li segue con noi attraverso a dei »simple twist of fate« che talvolta non riescono a comprendere ma infine riescono a vivere, in un mondo che l'autore intanto ha giá cominciato a cambiare con in suoi racconti: prima non c'erano, adesso ci sono.

Mondo dei racconti e mondo reale si intercambiano: dal momento che la storia è creata, fa giá parte del mondo reale.
L'autore crea, non consuma. E anche il lettore crea di nuovo nel momento della lettura. Dall'insieme di parole che segue con gli occhi nasce un mondo proprio, suo, fatto di immagini, idee, sentimenti. La dinamica è messa in moto e chi vuole fermarla?

Caro Paolo, se un giorno il tuo talento e la tua ambizione ti dovessero portare lontano da questa città e da questa gente, resterai sempre uno di noi, uno di quest' insieme di uomini, cose, storie, che vuole vivere e farsi conoscere. Ti vedo all'opera per rendere note le figure variopinte del nostro sottobosco urbano, i caratteri difficili che sfuggono alla prosa tradizionale.
Vedo nei tuoi eroi esempi della nostra vita quotidiana, uomini e donne che troppo spesso riescono a vivere e a parlare solo in incognito, che sembrano di non fare testo nel discorso generale sulla vita comune perché fuoriescono dai canoni ufficiali come da quelli ufficiosi. Sono individui che fanno parte di quel materiale umano che viene cestinato nelle redazioni e spesso pure ignorato nell'incontro al bar se il bar è quello sbagliato (e di bar sbagliati da noi ce ne sono parecchi). Così magari uno apre il suo proprio bar e lì vive le sue ore a modo suo tra gente sua come in »Tema per un western immaginario«.
I personaggi che popolano i tuoi racconti ci fanno capire che per sentirsi speciali basta amare e se a nostra volta ci sentiamo amati e protetti (anche se a guardarci è magari un angelo distratto) riusciamo a far scorrere in noi rinnovate energie per rimetterci in rotta verso nuovi impegni e traguardi.
Caro Paolo, ho avuto occasione ad osservare come tu riesci a trasformarti in scena quando ti senti a tuo agio, in mezzo a gente tua.
Perciò permettimi di rivolgere per un attimo la parola ai tuoi lettori ed ancor più ai tuoi ascoltatori attuali e futuri: vi auguro di essere disposti a dare a Paolo un sostegno che aumenti in continuazione più di sostanza che di voce per poter vedere di che cosa sará ancora capace. Andate a leggere »È solo una storia di muffa« per farvi un'idea sulla ricchezza di inventivitá drammatica e sulle capacità di ritmo narrativo del nostro. Perdetevi con lui sotto il cielo infinito di una ristretta riserva indiana in »Niente è definitivo tranne la morte e il Texas« per gustare il momento unico e irripetibile di un nuovo inizio.
Si vada a leggere una scena come il finale di »Whalewatchin'«. Chi si sentirà toccato dal momento di quel meraviglioso quanto doloroso quanto significativo goodbye capirá quale forza risiede in questo gigante buono dai modi gentili.
C'è una serie di giganti storici della nostra terra, che tra l'altro hanno aiutato la gente a compiere diverse opere. Una di queste è la sopraffazione del drago.
Io vedo un drago dei nostri giorni che dorme in mezzo a noi. Ogni tanto ha una mossa irrequieta nel sonno, con un colpo di coda improvviso fa piccoli danni ancorché dormendo. Il drago in questione è la paura della diversità. Una paura fomentata e curata da parte interessata e che resta sempre pronta a divampare in un fuoco incontrollabile e a divorare tutto quanto è stato costruito di buono negli anni.
Paolo racconta le sue storie in modo tranquillo e paziente in mezzo a una vita che ognuno di noi conosce come frenetica e stressante. È un nuovo tipo di gigante: non ammazza il drago ma aiuta a trasformarlo in una forza governabile. Aiuta a conoscere il mondo.

Caro Paolo, ho stilato questa lettera aperta per rendere omaggio alla tua verve prosaistica e al tuo impegno costante attraverso gli anni. Ma mi permetto di aggiungere che quanto si augura a uno scrittore come te può e deve essere l'augurio per tutti quelli che scrivono o tentano di esprimersi in qualsiasi modo nei nostri paraggi come altrove: fatevi vivi, fatevi sentire e dateci tanti messaggi da ascoltare, in uno come Paolo avete un esempio e una garanzia da seguire.
E portategli rispetto perché anche se forse non lo sa ancora, egli è già un capo.

Klaus Piger [novembre '99]

  inizio pagina