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Mi chiamo A.F. ….

(ovvero il convitto visto dai ragazzi)

Mi chiamo A .F    e abito in un piccolo paesino vicino a Firenze. Dopo la scuola media sono stata iscritta all’Educandato Statale della Santissima Annunziata di Firenze come interna.Il primo impatto con il collegio non è stato molto positivo perché mi mancavano  moltissimo i miei genitori ma soprattutto gli amici e la libertà di gestire la mia vita come avevo fatto fino ad allora. Queste prime difficoltà le ho superate quasi subito grazie al mio spirito di adattamento  e ho cominciato a vivere la mia nuova vita da collegiale.Le ragazze che vivevano insieme a me provenivano da tutta l’Italia:Udine, Napoli, Cagliari, Catanzaro Palermo e  quando parlavamo insieme era divertente ascoltare una musicalità così diversa di dialetti. All’inizio ognuna di noi raccontava le esperienze più belle della propria vita ,ma con il passare del tempo, conoscendosi meglio,venivano fuori i problemi, le paure ,i sogni che un qualsiasi adolescente ha. Alcune volte ci sentivamo come prigioniere, incapaci di poter dare sfogo ai nostri desideri  e invidiavamo le esterne che, dopo l’orario scolastico, potevano tornarsene a casa. Personalmente, abitando vicino a Firenze, tutti i fine settimana i miei genitori mi portavano a casa e non so se questo mi faceva sentire meglio o peggio perché il lunedì, quando dovevo rientrare, ero tristissima e molte volte ho pianto dalla disperazione. Le giornate all’interno dell’Educandato erano scandite da orari ben precisi: 7.30 la sveglia ,8 colazione 8.30 entrata in classe, 13.45 pranzo, 14.30 i compiti e dalle 17 in poi ognuno poteva dedicarsi ai propri hobbies. Devo dire che il nostro tempo libero era ben organizzato  perché potevamo scegliere tra diverse attività ricreative come il tennis, la piscina, il corso di pianoforte, l’equitazione, la lettura oppure il “ dolce far niente”, generalmente preferito da chi si sentiva un po’ triste e solo.In questo momento della giornata mi sono ritrovata a parlare molto spesso con una delle due istitutrici che ci erano state assegnate, una certa   M. T , una donna veramente fantastica perché sapeva ascoltare ogni nostro problema anche il più insignificante, e ci dava dei consigli molto utili su come affrontare le piccole difficoltà della vita. La sentivamo quasi tutte come una sorella più grande (aveva quasi 50 anni) e mi sono chiesta spesso perché con le istitutrici più giovani   era  difficile aprirsi, raccontarsi senza vergognarsi di niente. Nei momenti di profonda solitudine, quando odiavo tutto e tutti , è stato importante avere vicino una persona come la signora M. T . perché mi ha dato un supporto psicologico non indifferente, mi ha aiutato a capire me stessa senza usare grandi paroloni ma parlando con il cuore.Gli anni dell’adolescenza sono anni in cui la personalità è in continua evoluzione, un giorno si è allegri il giorno seguente depressi ed è importante in un ambiente come il collegio, dove si hanno pochi contatti con la famiglia sentirsi amati e qualche volta compresi. Nelle ore serali non ci era permesso di guardare a lungo la t.v. perché alle 21.30 dovevamo trovarci nelle nostre camere e alle 22 in punto passavano le istitutrici a spengere le luci  .Quando il giro di controllo era terminato spesso ci mettevamo a parlare, sottovoce ovviamente, perché altrimenti le istitutrici tornavano e si arrabbiavano moltissimo.Una cosa che ho sempre detestato era la divisa che dovevamo indossare perché oltre ad essere di un colore un po’ spento, grigio, era anche poco femminile e i pochi ragazzi, che frequentavano come esterni l’Educandato, ci prendevano in giro. Quando, ad esempio, ci portavano al teatro la divisa era obbligatoria e le persone che ci vedevano arrivare ci guardavano con occhi abbastanza stupiti e ciò mi faceva sentire come una persona di un altro mondo. Anche quando  passeggiavamo per Firenze, sempre rigorosamente accompagnate dalle istitutrici, indossavamo la divisa  e non passavamo certo inosservate….che grande imbarazzo……!

Le cose sono cambiate in meglio dopo un paio di anni. All’età di 16 anni ho abbandonato, come tutte le altre mie amiche, la “camerata” e ho avuto la possibilità di avere una camera tutta per me, dove ho potuto mettere la t.v ., lo stereo, e tutto ciò che mi ricordava la mia casa. Per uscire non era più necessaria la presenza dell’istitutrice, certo era obbligatorio il permesso dei genitori, ma almeno ci sentivamo più libere, più simili alle ragazze che non vivevano in collegio. Adesso il convitto era meno sentito come “una prigione”potevamo gestire meglio la nostra vita privata, i nostri interessi .E’ stato comunque molto importante avere accanto delle istitutrici molto ben preparate che hanno saputo assumere vari ruoli a secondo delle necessità, a volte erano come “mamme” altre volte semplicemente amiche, altre ancora delle vere scocciatrici!!!! .Le esperienze che ho vissuto all’interno dell’Educandato, ricordo con tristezza il tentato suicidio di un’amica che aveva molti problemi con la famiglia e non riusciva a parlarne, oppure l’allontanamento dal collegio di una ragazza molto dolce che però faceva uso, così vociferavano, di sostanze stupefacenti, hanno segnato in qualche modo il mio carattere,  e mi hanno permesso di apprezzare cose e sentimenti che prima davo per scontati.

Il convitto penso sia un piccolo mondo dentro il mondo, quando vi si entra si è impauriti,si ha un senso di abbandono enorme ed è per questo che ci si affeziona tantissimo alle persone che sono disposte ad ascoltare, a capire, a sopportare, e con le quali si condividono molti sentimenti e situazioni. Non ho ricordi particolarmente brutti di questo periodo della mia vita, forse perché cerco di vedere gli aspetti positivi in tutto quello che mi accade, ma potessi tornare indietro al prestigio che un certo tipo di scuola può dare preferirei la selvaggia e libera vita della mia adorata campagna.