Più che l'89, caduta del Muro di Berlino, è il '99, vittoria nei Balcani, l'anno che sancisce l'avvento del nuovo ordine planetario. Con una sola potenza al timone. Ecco le regole del gioco per il Terzo millennio
Soldati del Cremlino che fronteggiano soldati della Nato in un'importante città dell'Europa centro-meridionale. Il presidente degli Stati Uniti che telefona ripetutamente al suo omologo a Mosca. È avvenuto recentemente mentre comincia- va la pace nel Kosovo. Qualcuno ha gridato alla nuova guerra fredda e ha rievocato le cupe atmosfere di Berlino fine anni 50 inizio 60. Molti, negli eventi attorno all'aeroporto di Pristina e nelle frenetiche conversazioni telefoniche fra Bill Clinton e Boris Eltsin hanno voluto vedere addirittura il fallimento dell'impresa balcanica della Nato. E soprattutto della politica degli Usa.
La verità è diversa. L'America ha vinto. Ma ci sono voluti dieci anni dal crollo del Muro di Berlino perché in Europa venisse instaurato l'ordine post-Yalta. Ricordiamoci, a Yalta, una località sulle rive del Mar Nero, nel 1945, mentre la seconda guerra mondiale volgeva alla fine, le potenze vincitrici si spartirono il continente: la parte occidentale zona d'influenza anglo-americana, la parte centro orientale nell'orbita sovietica. In Jugoslavia veniva invece instaurato un regime di condominio con i due soci di pari diritto.
Oggi, a meno di sei mesi dal 2000 non solo la Germania è riunificata da nove anni, e i tre paesi chiave dell'Europa centrale, ai quali Stalin non voleva rinunciare a nessun prezzo (Polonia, Ungheria e Repubblica ceca, allora unita alla Slovacchia), fanno parte dell'Alleanza atlantica, ma le truppe americane regnano sovrane nei Balcani. La Serbia, ultimo avamposto (al fianco della Bielorussia) del nazional-comunismo è ridotta ai minimi termini. In Macedonia e in Albania i soldati Usa sono di casa. Due paesi vicini, la Bulgaria e la Romania, farebbero carte false pur di poterli ospitare. E la guerra per il Kosovo, voluta dal Dipartimento di Stato e dalla Casa Bianca, pianificata male, combattuta in un modo paradossale che ha accelerato l'esodo dei kosovari albanesi (che ora stanno rientrando in massa), è finita con il trionfo sul campo degli Usa. E con una incontestata egemonia americana sul Vecchio continente.
La spinta verso la costruzione della supremazia globale americana risale a vent'anni fa, allorché a Teheran i diplomatici Usa vennero sequestrati dalle guardie della rivoluzione. L'allora presidente Jimmy Carter, tentò di liberarli con un blitz. Fallito. Quel fallimento portò al potere (1980) Ronald Reagan. Che ai suoi connazionali promise: mai più l'America avrebbe subito una simile umiliazione. Cominciò un confronto duro con l'Urss, venne lanciato il programma delle guerre stellari, un massiccio progetto di sviluppo di tecnologie militari. Altri soldi furono investiti nell'appoggio a Solidarnosc, il movimento che contestava il potere comunista in Polonia. I mujaheddin che in Afghanistan combattevano contro l'invasione sovietica potevano contare sul sostegno Usa. E il Muro (1989) crollò.
Ma gli americani non si fermarono. Quando, nel 1990, il dittatore iracheno Saddam Hussein invase il Kuwait e proclamò l'annessione del piccolo emirato al suo paese, decisero di reagire con estrema determinazione. Agli inizi del 1991 lanciarono una terribile offensiva contro Saddam. Finita con la liberazione del Kuwait e con l'annuncio, fatto dall'allora presidente George Bush, dell'avvento di «un nuovo ordine mondiale». Molti ne dubitavano. Specie perché il dittatore di Baghdad non era stato rimosso. E poi, perché nel frattempo alla Casa Bianca si era insediato Bill Clinton, che aveva sconfitto (1992) Bush. Ma intanto, con la guerra del Golfo veniva posta la parola fine a ogni velleità «anti-imperialista» dei regimi arabi, costretti ormai ad allinearsi agli Stati Uniti. Poi, sotto la spinta determinante della Casa Bianca, fu firmato l'accordo di pace tra israeliani e palestinesi (1993), mentre il Sudafrica, con l'elezione di Nelson Mandela (e cui aveva contribuito Jesse Jackson, inviato Usa nel paese) alla carica del presidente della Repubblica usciva definitivamente dall'apartheid. E perfino in Africa centrale c'è stato un tentativo di costruire un asse filo Usa (Ruanda, Uganda, Congo), a scapito degli interessi francesi. Washington non è riuscita a impedire il genocidio dei tutsi da parte degli hutu (1994), ma Clinton ha avuto il coraggio di chiedere scusa per l'omesso soccorso.
Con la nomina di Madeleine Albright alla carica del segretario di Stato (1996), la costruzione dell'ordine americano ha subito un'ulteriore accelerazione. Contro una riluttante Europa è stato imposto l'allargamento della Nato. Con la Polonia (alle porte della Russia) è stato instaurato addirittura un «rapporto speciale» che autorevoli esponenti del ministero della Difesa di Varsavia paragonano a quello tra Londra e Washington: c'è una collaborazione piena tra le intelligence dei due paesi. Infine, la coppia Clinton-Albright ha ottenuto il via all'intervento della Nato nel Kosovo. Un intervento che è stato possibile perché in Europa - incapace di essere vera alternativa agli Stati Uniti - è salita al potere una leadership di sinistra, quella di Schröder, Fischer, D'Alema, Jospin, ricettiva al richiamo dei valori che proclama Clinton (democrazia, diritti umani, ingerenza umanitaria).
Rimane il problema Russia (vedi scheda). Che da anni però tollera la presenza americana nell'ex Urss, ad esempio nell'Azerbaigian ricco di petrolio, nonché quella, perfino militare, della Polonia in Ucraina. E che anche ora ha preferito di buttarsi dalla parte degli Usa. Un po' per il bisogno che ha di crediti occidentali: 4,5 miliardi di dollari promessi dal Fondo monetario internazionale. Un po' perché Slobodan Milosevic è nemico personale di Eltsin. Un po' perché Eltsin è convinto dell'inevitabilità della vittoria americana. Tanto che il suo inviato Viktor Cernomyrdin, amico personale del vicepresidente Al Gore e garante degli interessi Usa in Russia, a Belgrado ha minacciato (3 giugno) di radere la capitale serba al suolo qualora Milosevic non avesse accettato l'ultimatum della Nato, fungendo così da portavoce dell'Alleanza.
Ora i russi chiedono solo che sia salvaguardata la loro dignità. Perché sanno di muoversi in un contesto post-Yalta. Del resto, in Bosnia, le loro truppe agiscono d'intesa con la Nato. E quelle che stanno entrando in Kosovo saranno pagate e mantenute dall'Alleanza. Guidata dagli Usa.