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Il sogno dell’impero eurasiatico – Ungern Khan
Roman Fëdorovich Ungern von Sternberg visto da Evgeni Vigiljanskij
Roman Fëdorovich Ungern von Sternberg in un ritratto d’epoca
Il
barone Ungern Sternberg è uno di quei personaggi storici i quali non alla
storiografia debbono la loro fama, quanto piuttosto
alla leggenda che intorno a loro si è venuta creando. Dal noto
libro di Ossendowski Bestie, uomini e dèi
(1)
alle biografie romanzate di Pozner (2)
e Krauthoff (3),
che attrassero rispettivamente l'attenzione di Guénon
(4) e di Evola (5);
dal film sovietico Ego zovut Suche Batur,
diretto nel 1942 da Aleksandr
Zarchi e Jo-sif Chejfiz (con Nikolaj Cerkasov nei panni dell'eroe negativo Un-gern)
ai fumetti di Hugo Pratt (6)
della serie Corto Maltese; dai romanzi di Jean Mabire (7)
e di Renato Monteleone (8)
fino alla pittura dell'artista siberiano
Evgenij Vigiljanskij, abbondano le testimonianze
del fascino esercitato dalla figura del "barone sangui- nario". Nella
Russia di oggi, dove Leonid Juzefovich (9)
ha pubblicato la più recente biografia del Barone, il mito di Ungern è particolarmente
vivo presso le correnti eurasiatiste e imperiali, che guardano a questo
personaggio come ad un loro precursore.
Il carattere più leggendario che storico di questa figura sembra
riflettersi nella stessa incertezza dei dati biografici. Secondo
la Grande Enciclopedia Sovietica, Roman Fëdorovich Ungern von Sternberg nacque il 10 (22) gennaio 1886 nell'isola di Dagö
(oggi Hiiumaa Saar, in Estonia) e morì il 15 settembre 1921 a
Novonikolaevsk (oggi Novosibirsk). Le fonti "occidentali" invece
lo fanno nascere il 29 dicembre 1885 in Austria, a Graz; per quanto riguarda la
morte, oscillano tra il 17 settembre e il 12 dicembre
del 1921 e propongono ora Novonikolaevsk ora Verkhne-Udinsk
(Ulan Ude, tra la riva sudorientale del Baikal e il confine mongolo).
La famiglia di Roman Fëdorovich (che tra l'altro era imparentata
con quella del conte Hermann Keyserling) nel corso dei secoli
aveva prodotto cavalieri teutonici, diplomatici, alchimisti e corsari;
rivendicava origini tedesche e ungheresi (addirittura unne!), ma si diceva anche
che discendesse da un nipote di Gengiz Khan che nel secolo XIII aveva cinto
d'assedio Buda. E appunto dal fondatore dell'impero mongolo Roman Fëdorovich
avrebbe ereditato l'anello di rubino con la svastica, mentre secondo un'altra
versione glielo avrebbe consegnato il Qutuqtu, il Buddha Vivente di Urga, terza
autorità nella gerarchia lamaista dopo il Dalai Lama di Lhasa e il Panc'en Lama
di Tashi-lhumpo.
Compiuti gli studi al Ginnasio di Reval, il Barone fre-quentò la scuola
dei cadetti di San Pietroburgo; nel 1909 tra-scorse un breve periodo con un
reggimento di cosacchi di stanza a Cita, in
Transbaikalia, poi si diresse verso la Mongolia. Qui, grazie all'affiliazione
buddhista che gli era stata trasmessa dall'avo paterno, Roman Fëdorovich
poté entrare in rapporto col Buddha Vivente.
Nel 1911, quando i Cinesi vengono cacciati dalla Mongolia e il Buddha
Vivente diventa Re del paese, il Barone riceve un posto di comando nella
cavalleria mongola. In quel periodo, un oracolo sciamanico gli rivela che in lui
si dovrà manifestare una divina potenza guerriera.
Nel 1912 Roman Fëdorovich è in Europa. Allo scoppio
del conflitto, abbandonando Parigi per accorrere sotto i vessilli dello Zar, il
Barone conduce con sé una fanciulla di nome Danielle,
la quale perirà in un naufragio sul Baltico. Nel 1915 combatte in
Galizia e in Volinia, riportando quattro ferite e guadagnando due altissime
onorificenze: la Croce di San Giorgio e la Spada
d'Onore. Nel 1916 è sul fronte armeno, dove ritrova l'Atamano Semënov,
che aveva conosciuto in Mongolia. Nell'agosto del 1917, dopo essere andato a
Reval per organizzarvi alcuni distaccamenti di Buriati da impiegare contro i
bolscevichi, Ungern raggiunge Semënov in Transbaikalia; qui diventa il capo di
Stato Maggiore del primo esercito "bianco" e organizza una Divisione
Asiatica di Cavalleria (Asiatskaja konaja
divisija) in cui confluiscono
mongoli, buriati, russi, cosacchi, caucasici, perfino tibetani,
coreani, giapponesi e cinesi. La Divisione Asiatica di Cavalleria opera
per tutto il 1918 nei territori orientali della Siberia, tra il Baikal e la
Manciuria.
Dopo l'evacuazione giapponese della Transbaikalia, la successiva
occupazione cinese della Mongolia e l'instaurazione di un soviet
"mongolo" sotto la direzione dell'ebreo Scheinemann e del pope
rinnegato Parnikov, il generale Ungern si dirige verso la Mongolia alla testa
dei suoi cavalieri. Il 3 febbraio 1921 investe Urga, costringendo alla fuga la
guarnigione cinese, facendo a pezzi un rinforzo nemico di seimila uomini e
spazzando via il soviet locale. Il
Buddha Vivente Jebtsu Damba, liberato dalla prigionia e reintegrato nel suo
regno, conferisce a Ungern, che d'ora in poi
sarà Ungern Khan, il titolo di "Primo Signore della Mongolia e Rappresentante del Sacro Monarca". Il terzo
gerarca del Buddhismo lamaista riconosce in Ungern una cratofania
procedente dal suo medesimo principio spirituale.
Ungern aveva dichiarato fin dal 25 febbraio 1919, alla Conferenza
Panmongola di Cita, la propria intenzione di restaurare
la teocrazia lamaista, creando una Grande Mongolia dal Bai-kal al Tibet e
facendone la base di partenza per una grandiosa ca-valcata verso
occidente, sulle orme di Gengiz Khan. Il vero scopo di Ungern Khan non era
infatti una pura e semplice distruzione del potere sovietico, ma una lotta
generale contro il mondo nato dalla Rivoluzione Francese, fino all'instaurazione di un ordine
teocratico e tradizionale
in tutta l'Eurasia.
Ciò spiega da un lato la scarsa simpatia di cui Ungern godette presso
gli ambienti "bianchi", dall'altro, il vivo interesse che il suo
progetto suscitò anche al di fuori delle cerchie lamaiste, in particolare
presso gli ambienti musulmani dell'Asia centrale.
Rivestendo la tunica gialla sotto il mantello di ufficiale imperiale,
alla testa di un'armata a cavallo che innalza come propria
insegna il vessillo con lo zoccolo e la svastica, il 20 maggio del 1921
Ungern Khan lascia Urga e penetra in territorio sovietico
presso Troitskosavsk (Kiakhta), travolgendo le difese bolsceviche. Quindi
impartisce l'ordine apparentemente insensato di eseguire una conversione
verso occidente e poi verso sud, in direzione dell'Altai e della Zungaria. La
sua intenzione, secondo quanto lui stesso
dichiara al suo unico amico, il generale Boris Rje-susin, è di
attraversare il Hsin Kiang per raggiungere la fortezza spirituale tibetana.
"Egli – scrive Pio Filippani Ronconi – mosse solitario
verso una direzione che non aveva più rapporto con la realtà geografica
del luogo e militare della situazione, nel postremo tentativo, non di salvare la
vita, bensì di ricollegarsi, prima di morire, con il proprio principio
metafisico: il Re del Mondo" (10).
Il 21 agosto il predone calmucco Ja lama, dopo avere ospitato
Ungern nella propria yurta, lo consegna ai "partigiani dello Jenisej"
di P.E. Shcetinkin. Il generale Blücher, comandante dell'esercito
rivoluzionario del popolo della repubblica dell'Estremo Oriente e futuro Maresciallo dell'URSS, cerca invano di convincerlo ad
entrare nell'esercito sovietico. Il 15 settembre Ungern viene
processato a Novonikolaevsk dal tribunale straordinario della
Siberia. Riconosciuto colpevole di aver voluto creare uno Stato asiatico
vassallo dell'Impero nipponico e di aver preparato il rovesciamento del potere
sovietico per restaurare la monarchia dei Romanov, è condannato a morte per
fucilazione.
L'anello con la svastica sarebbe entrato in possesso di Blücher. Si dice
che, dopo la fucilazione di quest'ultimo, avvenuta nel
1936, esso sia passato nelle mani del Maresciallo Zhukov. Note
1.
F. Ossendowski, Bêtes, Hommes et Dieux,
Plon, Paris 1924. 2.
Vladimir Pozner, Le mors aux dents,
Denoël, Paris 1937. 3.
B. Krauthoff, Ich befehle. Kampf und Tragödie
des Barons Ungern-Sternberg,
Carl Schünemann Verlag, Bremen 1938. Questo
libro, come pure quello di Pozner,
rielabora i dati forniti da un testimone: Essaul Ma-kejev,
Bog voiny, Baron Ungern (Il dio della
guerra, il Barone Ungern), Shangai 1926. 4.
R. Guénon, Rec. in Le Théosophisme,
Éditions Traditionnelles, Paris 1978,
pp. 411-414. 5.
J. Evola, Rec. in Esplorazioni e disamine.
Gli scritti di "Bibliografia Fascista", vol. I, Edizioni
all'insegna del Veltro, Parma 1994, pp. 249-253. 6.
Il Barone Ungern è anche uno dei personaggi principali del romanzo
di Hugo Pratt Corto Maltese. Corte Sconta
detta Arcana, Einaudi, Torino 1996. 7.
J. Mabire, Ungern, le dieu de la guerre, Art et Histoire d'Europe, Paris
1987. 8.
R. Monteleone, Il quarantesimo orso,
Gribaudo, Torino 1995. 9.
L. Juzefovich, Samoderzhec pustyni
(L'autocrate del deserto), Ellis luck, Moskva 1993. Sul libro di Juzefovichsi
basa in gran parte Aldo Ferrari, La foresta e la steppa. Il mito dell’Eurasia
nella culura russa, Scheiwiller, Milano 2003, pp. 231-240. 10.
Pio Filippani Ronconi, Un tempo, un
destino, "Vie della Tradizione", n. 82, aprile-giugno 1991, p. 59.
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