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The Camilleri's fans club

(Associazione culturale)



la Repubblica - Venerdì, 30 giugno 2000 - pagina 47
di SUSANNA NIRENSTEIN

CHI È CHE BUSSA AL MIO PORTALE

SCRITTORI ON LINE Da Stephen King a Grisham, i narratori investono nella rete E Mondadori oggi annuncia 20 nuovi siti

C' è un gruppo di fanatici di Jane Austen - i Janeites - che hanno fatto del web non solo il loro luogo di incontro per dirsi quanto e perché amino l' autrice di Orgoglio e Pregiudizio, o per comunicarsi di aver scoperto cose stranissime, come quella secondo cui il martedì rappresenterebbe un giorno cardine, in genere negativo, per i protagonisti di tutti suoi romanzi. Su Internet, i Janeites, sempre in astinenza perché la Austen ha scritto troppo poco, vogliono illudersi che il lavoro della scrittrice vada avanti: creano online centinaia di storie ispirate a quelle del loro idolo. Ci sono addirittura due scuole di questa web fan fiction: i racconti accolti dalla Republic of Pemberley (www.pemberley.com) mimano lo stile di Jane, con trame svolte nell' Inghilterra Regency che spaziano dalle "scene mancanti" ai punti di vista mai espressi dei personaggi preferiti o odiati. Www.austen.com si permette maggiori libertà: le storie mescolano i protagonisti dei romanzi, si spostano in vari periodi storici, aggiungono figure prese dalla narrativa contemporanea. Potere senza limiti del web. Non sappiamo se nei nuovi 20 siti d' autore online (www.scrittorincorso.net) e nella strategia per l' e-book che stamani Mondadori annuncerà a Milano in una misteriosa conferenza stampa nel suo neonato Multicenter di 4000 metri quadri in via Marghera 28, ci sarà qualcosa del genere. Improbabile. Siamo riusciti a sapere solo che l' entrata sul web degli autori Mondadori inizierà il primo luglio con Fosco Maraini, e che poi nel giro di due mesi troveremo, tra gli altri, Camilleri, Bocca, Citati, De Carlo, Pieraccioni, Augias, Giovanni Giudici, De Crescenzo. Come saranno? Quanta interattività, fantasia, estetica conterranno? Useranno anche l' audio, i filmati? Certo, ma nessuno ti vuol dire in che misura, per cosa. "Ognuno - rispondono laconici - ha creato, insieme a noi, un sito a sua immagine e somiglianza". Chissà se ci saranno le montagne del Tibet per Maraini, rock per De Carlo. Forse di più. O di meno. Noi, per farci un' idea di quel che gli editori fanno viaggiare in rete e gli autori mettono nelle loro "official-home-page" (quelle costruite in prima persona o con l' aiuto della casa editrice) abbiamo navigato. Innanzitutto due parole sull' universo e-book, continuamente scosso da nuove tendenze. Ora, ad esempio, sul web è appena nato il romanzo a puntate. Lo immetterà anche Stephen King, che già a marzo, seguendo la strada inventata da più oscuri scrittori rifiutati dall' editoria su carta, aveva scelto la rete per un nuovo racconto di circa 60 pagine: Riding the Bullet, leggibile e scaricabile per circa 3 dollari: "copie vendute", 500.000 in 48 ore. Ma King è andato avanti: all' inizio di giugno infatti ha chiesto ai navigatori se vogliono che mandi a puntate su Internet The Plant, inedito: 5000 parole a volta per un dollaro, precisando che se troppi hacker ruberanno la storia, smetterà di immetterla nel web. La risposta è stata entusiastica, per quanto non massiccia. E così a metà luglio, la prima puntata di The Plant sarà online. Ma non si creda che King sia l' unico coraggioso. Tra gli scrittori horror, un genere di successo nella generazione Internet, c' è Doug Clegg, nove titoli alle spalle. L' editore Cemetery Dance gli ha offerto migliaia di dollari per i diritti di pubblicazione su rete del suo nuovo libro: Doug Clegg spedisce i capitoli del libro con le mailing list, uno strumento per distribuire lo stesso messaggio di posta elettronica a tutto l' elenco: in questo caso a chi si è abbonato e paga. Rivoluzione dunque. Non si sa quanto fugace o in progresso, e quanto avvicinabile dagli editori italiani. Torniamo a visitare gli scrittori. Già altre case editrici italiane sono entrate nella rete per far posto ai propri autori. La Rizzoli per esempio, nel suo www.rcslibri.it: cliccando su alcuni "bottoni" troviamo foto, schede dei libri, biografie, forum, copertine, lettere per Oliverio, Cotroneo, Dacia Maraini, Baricco, collegamenti radio alla "voce" Mirko Romano, "mocumentary", ovvero i primi 15 minuti di un filmato, tratti da The Blair Witch Project... E poi ci sono i link (connessioni) che portanto alle "home-page" di Severgnini e Carmen Covito, che, oltre a biografie e bibliografie offrono estratti, recensioni, pensum, chiaccherate, altri link. I link portano anche sui siti ufficiali di certi autori stranieri: in quello di Richard Bach c' è il primo negozio online che incontriamo: una foto di un verde campo ventoso e silenzioso (dice Bach) dove lui è atterrato una volta ($ 175, con cornice), una sciarpa in seta bianca da pilota, autografata e fatta volare - su un aereo - nei luoghi descritti nei romanzi (sic!), $ 192. Sul sito di Paulo Coelho le offerte sono tante: biografia con foto a tutte le età, download (scaricamento) gratuito di Maktub, del prologo dell' Alchimista, del primo capitolo di Veronica.... C' è anche un pulsante "meditazione": con varie possibilità, riproduzioni di Madonne, foto di Bernadette, Mandala, benedizione ebraica, tutte da contemplare per 1 minuto, in silenzio. Così dice. Discorsivissima Erica Jong: il colloquio con le lettrici ha il primo posto ("Non credi che Henry Miller sia diverso da quel Don Giovanni che vuol sembrare?"), pensieri sulle donne, la poesia del giorno, una massima alla settimana dedicata agli scrittori, molto all' americana, come quella del 5 giugno: "arriva primavera. E' tempo di ricordare come e quando anima pelle e universo coincidono". E l' offerta dei libri autografati: per Inventing Memory ci vogliono $ 50. Montalban ha messo disegni divertenti. Tom Wolfe propone un sito elegante, ma non fantasioso. Chrichton completo (libri, tantissimo sui film, biografia con foto, le domande più frequenti - spesso sulle invenzioni scientifiche dei suoi plot -, chat...). Ian McEwan è all' insegna dell' understatement anglosassone: la sola mossa narcisistica che si concede è un brano dell' ultimo libro letto in prima persona. I siti "official" sono centinaia, migliaia forse. Ma sono gli scrittori di bestseller noir i più ricchi. I "bottoni" proposti da Michael Connelly sono intelligenti: dal suo primo lavoro di reporter, alle foto dei luoghi o dei quadri citati nei romanzi, un quiz, Trivia Contest, che dà in premio un libro autografato, due capitoli inediti di libri già pubblicati. Anche la Cornwell si è data da fare: ci sono intere inchieste fatte per scrivere i suoi thriller registrate e fotografate, collegamenti con il dipartimento Sanitario della Virginia (notizie su come donare il corpo alla scienza), una posta che le chiede perfino quali sono i suoi vini preferiti, appuntamenti, e poi lo shop: magliette e cappellini con un simbolo da lei disegnato, si va dai 15 dollari ai 45. Corman McCarthy ha un sito molto "dark" e complicato: sul nostro schermo si deve muovere dall' alto in basso e da sinistra a destra contemporaneamente, e soprattutto non si apre mai. Dal bollettino di Ken Follett sai anche in che giorno va a suonare in concerto. Dalla home page di John Grisham puoi ascoltare il primo capitolo di The Brethren e scaricarlo: comunque confessa di essere su Internet solo perché è in competizione con Stephen King. Stephen King: è lui il maestro; come si è detto propone il romanzo a puntate, a iniziare da luglio, oltre a una spropositata vetrina di libri e film (di Stud City, ci sono foto del set, degli attori); risponde a mille domande. E prega di non mandargli né manoscritti, né soggetti: il web, a volte, può diventare soffocante.



Intervista a Camilleri su Sciascia e Montalbano

 

……….Nel libro di Marcello Sorgi,”La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri Montalbano, «personaggio principe», è descritto nella sua condizione difficile di dramatis personae immobile.

 «Noi diciamo: festeggiamo i 70 anni di Topolino, ma quando lo vai a vedere rappresentato è sempre lo stesso». Montalbano, più che Maigret fissato nella potenza stilistica di Georges Simenon, é appunto il Topolino che nello scorrere del tempo si porta dentro le sue storie i cambiamenti del mondo esterno: i nuovi modelli di telefonino, i nuovi orari aerei di Punta Raisi, le nuove disposizioni dei ministero degli Interni. E’ un prodotto da pulp fictìon alle sarde.

Sorgi che ha una testa per farsi dire tante cose, a un certo punto chiede: «Secondo me Montalbano lo dobbiamo conoscere meglio. Tu una volta mi hai detto: dentro Montalbano c'è Leonardo Sciascia, com'era nella vita, come carattere. Confermi?». La risposta è definitiva. «Confermo in pieno. Quando io per esempio dico: ci pensò sopra tanticchia.  Tu in Leonardo, nei silenzi di un discorso di Leonardo, avevi visivamente - non è letteratura - sentivi come uno dotato di raggi X, vedevi gli ingranaggi del suo cervello in moto. Era un silenzio rumorosissimo quello di Leonardo Sciascia. C'erano questi ingranaggi che facevano rumore. Questo io ho tentato di descrivere, la durata di questi silenzi, del ragionar sopra, di queste pause, pause musicali,però,non pause di silenzio completo perché il discorso continuava in testa. Ecco, questo per esempio ho cercato di dare al mio personaggio,a Montalbano. E soprattutto certa ironia che aveva Leonardo .. ». Il personaggio vive nelle storie, ma queste sono le storie della consequenzialità in forma di tavola delle meraviglie. Camilleri, infatti, è l'unico vero cantastorie in questa impalpabile piazza multimediale del mercato dove film, sceneggiati, libri e fumetti accompagnano il passatempo del pubblico. Montalbano è lo sbirro della parlata sofistíca e sofisticata di Gorgia, Luigi Pirandello e Giovanni Gentile.E’ uno sbirro che camminá in quella terra dove un potente che sia potente, non mangia una mozzarella che sia vecchia più di quindici minuti. E’ lo sbirro senza tempo, senza fanum e dunque orbàto da tutti i pericolosi fanatismi dei prisintusi' Montalbano  a differenza di come possa pensarla il suo inventore - non potrebbe mai essere un obbediente alla religione delle Procure. Montalbano, infatti, ha addosso il  'senso dell'esistenza. Dove non può la prova può la parlata, la camminata, l'arraggiunata (il ragionamento) . In un altro romanzo, La mossa del cavallo Camilleri spiegò che tutto ciò che è ragionato, in Sicilia, è romanzesco. «Più che ragionato», si leggeva in un interrogatorio, «è romanzesco». Il romanzesco è godimento del passatempo, la piazza piena ad ascoltare il cantastorie girovago. Ed è una fortuna che ci siano i Camilleri in giro con i loro personaggi aggrappati alle storie perché - come disse Simenon - «me ne sono andato via per raccontare quei delitti che avrei commesso restando al mio paese». E il padre di Montálbano appunto, ha inventato questo suo mondo di verità per fare la parodia della fantasia, camminando nel largo mondo del consumo popolare.

(tratto da “Il Giornale” di venerdì 30 giugno 2000 Articolo di P. Buttafuoco)  


 
Giornale di Sicilia 06/2000

Personaggi. Dal libro alle strip.
Montalbano fumetto. Bandito un concorso.

Palermo. Il commissario Montalbano, creato dallo scrittore empedoclino Andrea Camilleri ed assurto non soltanto a personaggio cult della letteratura ma anche a popolarissimo "divo" della fiction TV, diventerà un fumetto. E’ infatti ispirato al poliziotto, che nella fortunata serie televisiva ha il volto di Luca Zingaretti, il concorso per disegnatori "Nuvole Nuove" bandito dalla Regione siciliana e dal comune di Palermo.

La manifestazione, intitolata alla memoria di Giovanbattista Carpi, ha lo scopo di promuovere gli autori siciliani e propone come tema obbligato la trasposizione a fumetti del racconto "L’avvertimento", tratto dalla raccolta "Un mese con Montalbano".

Una commissione formata dallo stesso "papà" del commissario, Andrea Camilleri, Josè Munoz, Cinzia Ghigliano, Bruno Carbone, Gianni Miriantini, selezionerà il miglior fumetto, il miglior disegnatore e il miglior sceneggiatore. I lavori dei tre premiati saranno pubblicati dall’editrice Hazard in novembre.

Termine per l’adesione, il 10 luglio, per la consegna dei fumetti il 15 settembre. Dettagli sul bando, nei siti internet della regione (www.regione.sicilia.it) e del Comune (www.comune.palermo.it).

I lavori saranno esposti in una mostra collettiva a Palermo, Teatro Santa Cecilia, dal 1° al 15 ottobre. La mostra, inserita nelle manifestazioni di Palermo di scena, verrà inaugurata il 1° ottobre alle 19.00 e avrà i seguenti orari: 10.00-13.00 / 17.00-20.00 (lunedi chiuso).
[N.d.P.]


 
Corriere della Sera 30.06.2000

Il libro del giorno.
Un serial killer per il Commissario Cataldo

Non è tutto oro quello che luccica sotto l’apparente effervescenza del giallo italiano. Non convince più Camilleri, che s’è adagiato in una sua piacevole ma ammiccante maniera narrativa. Non convince del tutto Ferrandino, tentato dagli eccessi di teatralità (e di staticità) della sceneggiata napoletana. Non persude il troppo prolifico Lucarelli, che non è Simenon o Ed McBain, i soli a potersi permettere l’iper-fecondità letteraria. E perciò, se dovessimo puntare, oggi, su un autore, guarderemmo piuttosto al defilato, defilatissimo ma talentoso Luigi Guicciardi. Modenese quarantaduenne, giunto al secondo romanzo. Nonostante il suo protagonista, Vanni Cataldo, sia un bel quarantenne siciliano trapiantato in Emeilia, adeguatosi rapidamente alla cultura dei tortellini, ma con qualche nostalgia per la sua terra e di una donna ex-amata, i romanzi di Guicciardi non hanno nulla di quell’"allegro" bonario che caratterizza la produzione di Camilleri. L’universo di Cataldo è il luogo di una solitudine drammatica e forzosa, affrontato (e sopportato, non senza qualche punta di umorismo) dal personaggio attraverso il ricorso a una travagliata, lapidaria sentenziosità che cerca invano un senso alla vita e alle sue storture. Come accade in questo nuovo libro: tre omicidi a Modena, di sera, per tre giorni consecutivi; tre messaggi incompleti e misteriosi accanto ai tre cadaveri. Forse, l’opera di un serial killer che può colpire ancora. O è piuttosto –si chiede Cataldo- una lontana vicenda a riaffiorare dal tempo? La violenza ai danni di una ragazza della Modena benestante, che Cataldo è deciso a riportare alla luce per raggiungere l’assassino. Di Guicciardi va apprezzata l’invenzione di situazioni ad alta tensione narrativa, ottenute col minimo impiego di effetti: uno stile per coordinate secco, una raffica di dialoghi senza sbavature. ma non va sottovalutata la costruzione di un mondo etico: baluardo non anacronistico di fronte al dilagare del male.

Giovanni Pacchiano

Luigi Guicciardi
Filastrocca di sangue per il commissario Cataldo
Piemme, pagine 227, Lire 28.000


 
L'Espresso 29.06.2000 

Ricci e sarde per Montalbano 
Il suo commissario Montalbano vive sul mare. «Anch'io», dice Andrea Camilleri, «sono siciliano di mare. Ma per Enna ho un'attrazione fatale: la torre ottagonale di Federico II è un luogo magico. Lì si riuniva con i suoi poeti». 

Quali altri luoghi di sicilianità consiglia al turista? 

«Soprattutto la Sicilia aspra, quella desertica. E dopo puntare verso il mare. Così si capisce l'anima di questa terra. Un posto per me irrinunciabile è la Scala dei Turchi, vicino a Porto Empedocle. È una montagna di marmo bianco che si butta nel mare. Tutte le volte che torno in Sicilia devo andarci». 

I sapori di Sicilia quali sono? 

«Il riccio di mare appena tolto dall'acqua, e la purtroppo ormai rara sarda cotta sul mattone. Poi ci sono due odori: quello dello zolfo e quello del sale. Del sale marino, intendo, come nelle saline di Trapani, o del salgemma, come nella miniera di Siculiana: un antro di immensa suggestione». 


 
Giornale "Le Soir" del mercoledì 28/06/2000. 
Supplemento settimanale "MAD" (Magazine des Arts et du Divertissement" 

La squisita saga di Vigàta 
Con Andrea Camilleri, un'altra Sicilia si svela e fa udire le sue multiple lingue 

Uno sbirro che insegue un ladro di merendine, mafiosi che rivelano senza saperlo la storia d'amanti dimenticati, un uomo il cui universo crolla perchè ha voluto ottenere un allacciamento telefonico, un prefetto che scatena passioni a causa di un'opera: questi sono alcuni abitanti di Vigàta, piccola città siciliana immaginaria, di cui Andrea Camilleri ci fa condividere l'esistenza da qualche anno. Ancora sconosciuto da noi due anni fa, Camilleri ha visto sette dei suoi libri tradotti in francese in breve tempo. Lo si paragona a Simenon, a Hammet, a Sciascia, a Vázquez Montalbán, a Le Carré... e niente di tutto ciò è falso. Ma Camilleri è innanzitutto se stesso, un autore siciliano che ha scritto il suo primo romanzo a 57 anni e non ha avuto successo, come autore, che una decina d'anni più tardi. Oggi, all'età di 75 anni, si trova in testa alle vendite in Italia e allarga la cerchia dei suoi fans, i suoi libri essendo ormai tradotti in quattordici lingue. Prima di tutto ciò, Andrea Camilleri non era tuttavia uno sconosciuto. Nato nel 1925 a Porto Empedocle in provincia d'Agrigento, figlio di una famiglia apparentata con Pirandello, compie gli studi a Palermo e si dà alla scrittura di novelle e di poesie. Nel 1947, vince d'altronde un premio di poesia davanti a un certo... Pasolini. Ma è il teatro che l'occupera` principalmente negli anni successivi. Dal 1953 ha realizzato ben 153 messe in scena per il teatro, 1300 radiodrammi e 80 messe in scena per la televisione. 

Una lingua squisita e liberata 
Malgrado questo impiego di tempo piuttosto carico, l'uomo non ha mai smesso di scrivere, confinandosi tuttavia alle novelle, per quanto il suo amico Leonardo Sciascia, altro natìo della provincia d'Agrigento, lo spingesse a lanciarsi nel romanzo. A quell'epoca, pensava di non avere niente da dire in quella lingua italiana alla quale non s'identifica totalmente. Nella prefazione a "La Forma dell'Acqua", il primo dei suoi lavori adattati in francese, il suo traduttore Serge Quadruppani racconta come si fece il "déclic": Andrea Camilleri racconta che il giorno in cui egli fu informato che suo padre sarebbe morto tra breve, ha giocato tutto il giorno al flipper in uno stato "secondo" e che fu in seguito che decise di scrivere nella lingua stessa del suo genitore, questa lingua che, spontaneamente, ritrovava quando parlava con lui. Questa lingua è quella della provincia d'Agrigento, un idioma molto ricco costituito attraverso i secoli dai siciliani colti, al punto di contatto tra il dialetto popolare dell'isola, la lingua delle altre regioni d'Italia (e più tardi, l'Italiano ufficiale, quello d'uno Stato centrale tardivo e lontano), e le lingue dei popoli che, da due millenni, sono, di volta in volta, sbarcati su questo triangolo fertile piantato tra l'Oriente e l'Occidente del Mediterraneo (...) Questa lingua è l'ingrediente di base di Camilleri. E` lei che sta alla base di tutti i suoi libri, che si tratti delle avventure del commissario Montalbano o delle tre altre opere apparse finora in francese. Camilleri vi pratica una miscela di lingue affascinante, vero rompicapo per i suoi traduttori. Da lui, tutte le parlate regionali s'incontrano secondo l'origine dei personaggi: genovese, fiorentino, veneziano, siciliano... Ma, dall'altra, gli abitanti di Vigàta usano questo strano miscuglio d'italiano e di siciliano che sono gli unici a capire. Se nessuna traduzione potrà mai rendere pienamente giustizia a questo fuoco d'artificio del linguaggio, Serge Quadruppani riesce ciononostante a restituire buona parte del sapore degli scritti di Camilleri creando a sua volta una lingua francese tanto malmenata quanto squisita. 

La Sicilia alla svolta del 900. 
Oltre alla lingua stessa, Camilleri non esita a giocare con tutte le possibilità della letteratura. In modo particolare nelle opere che non fanno capo al commissario Montalbano. Ne "Il Birraio di Preston" (tradotto in 'L'opera di Vigàta' NDT), scopriamo come la rappresentazione di un opera può accendere la polvere. Svolgendosi alla fine del 800, il libro mette in scena tutti i personaggi importanti o no della città, e le reti di potere che li collegano. Umorismo e senso acuto della narrazione sono onnipresenti. Per di più, Camilleri si diverte a scrivere ventiquattro capitoli che possono perfettamente essere invertiti secondo la fantasia del lettore, come ventiquattro novelle indipendenti e relative tutte ad un unico e stesso fatto. Strizzata d'occhio supplementare, ogni capitolo inizia con una frase ispirata ad un lavoro di un altro autore, da Malraux a Calvino passando da Marx e Snoopy. Per "La Concessione del Telefono", Camilleri esegue un altro esercizio: il romanzo epistolare. Questa storia, che si svolge tra 1891 e 1892, vede un giovane uomo ricco e intraprendente affondare poco a poco a partire dal momento in cui tenta senza successo di ottenere un allacciamento telefonico. La cosa appare sospetta all'epoca e il prefetto della regione ci vede i segni peggiori di sovversione. Tutto ci è raccontato attraverso le diverse lettere che si scambiano i vari protagonisti - e qualche discussione, trattate solamente attraverso il dialogo. Ne "La Mossa del Cavallo", le lettere sono altrettanto presenti e trattano questa volta dell'ispezione dei mulini a grano. Un giovane ispettore nato in Sicilia ma cresciuto a Genova è incaricato di questo compito dopo che i suoi due predecessori sono stati ammazzati. Scopre rapidamente un traffico perfettamente organizzato... e si ritrova in prigione al seguito di abili intrighi. Per uscirne, ritroverà il parlare siculo e il modo di pensare dell'isola. Come nei suoi altri racconti situati nel 800, Camilleri si basa su fatti reali per raccontare a modo suo la piccola e la grande storia della Sicilia, evidenziando i compromessi degli uni e degli altri e la resistenza al potere centrale. 

Da Pepe Carvalho a Salvo Montalbano 

L'eroe preferito dei lettori di Camilleri si chiama Montalbano... in omaggio a Manuel Vázquez Montalbán, creatore del detective Pepe Carvalho. Ne "La Forma dell'Acqua", facciamo conoscenza con Salvo Montalbano, commissario a Vigàta, brontolone impenitente e amante della buona cucina. Il corpo di un ingegnere morto trascinerà il nostro uomo in un'inchiesta complessa dove spesso è difficile sapere chi sta dalla parte della legge. In quest'occasione, facciamo anche conoscenza con l'ambiente di Montalbano: questore, vice e poliziotti di base, tra cui l'insopportabile telefonista, Catarella, che non capisce niente di niente e che si esprime in un linguaggio incomprensibile. Ne "Il Cane di Terracotta", è la morte di un importante mafioso che trascina il poliziotto in un nascondiglio di armi. Ma il rifugio in questione nasconde anche i corpi abbracciati da 50 anni di due amanti sui quali vigila un cane di terracotta... Ritrovando il piacere della novella, Camilleri propone in "Un mese con Montalbano" una trentina di racconti, uno più allegro dell'altro. Ne "Il Ladro di Merendine" (tradotto "Il ladro di merendina"), appena uscito da noi, Salvo Montalbano si ritrova subitaneamente davanti a se stesso. Tutto inizia comunque in modo classico: più brontolone che mai, Salvo Montalbano si ritrova con due inchieste differenti sulle braccia. Da una parte, la morte di un pescatore tunisino, mitragliato in alto mare, dall'altra, l'omicidio d'un tranquillo pensionato, accoltellato nel suo ascensore. Ma le apparenze spesso ingannano... Tutto dedito alle sue inchieste, Montalbano deve anche tentare di trovare una serata libera per cenare con il suo superiore gerarchico... ed ecco che inoltre Livia sbarca da Genova. Come il Pepe Carvalho di Vázquez Montalbán, Salvo ha infatti una compagna che vede ogni tanto, ma con la quale non ha mai avuto intenzione di "fare la sua vita". Ed eccola che capitombola, nel bel mezzo d'un inchiesta particolarmente complicata, che implica i servizi segreti e un adorabile bimbo la cui vita è forse in pericolo. In pochissimo tempo, il commissario brontolone si ritrova con una donna e un marmocchio tra le braccia. Coma fare per cavarsela? Bisogna, per saperlo, leggere questo formidabile "Ladro di merendina" dove Andrea Camilleri, lontano dalle trame facili di certi gialli, mette il suo eroe davanti a vere scelte di vita. Tanto più che allo stesso tempo viene informato che suo padre, con il quale non intrattiene più rapporti, è all'articolo della morte... Al di là dell'intrigo poliziesco, Camilleri ci fa toccare con mano l'eterna angoscia dell'uomo faccia a faccia con la morte, l'amore, la paternità. E questo "Ladro di merendina" oltre a rallegrarci, sorprenderci e appassionarci, riesce, senza preavviso, a commuoverci. 


 
Panorama 23.06.2000 

Camilleri, Sorgi e il terzo siciliano 
Il famoso «papà» di Montalbano si racconta al direttore della «Stampa». Fin da quando, nel 1942, prese un calcione dal ras Pavolini. 

Due siciliani l'uno di fronte all'altro, a traboccare di sicilianità. E un terzo siciliano che sta sullo sfondo, a fare da criterio di misura di ogni valutazione e di ogni linguaggio. I due siciliani sono Marcello Sorgi, direttore della Stampa, che interroga Andrea Camilleri per dar vita a un volumetto di Sellerio che si legge da cima a fondo come fosse un romanzo (La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri). Il terzo siciliano è Leonardo Sciascia, uno che fin dal 1980 credette nel talento di Camilleri, ai tempi di quel suo romanzo d'esordio edito da Garzanti che lessero in pochissimi (Un filo di fumo). Sarebbe stato ancora Sciascia a sollecitare Elvira Sellerio a ospitare uno dopo l'altro i romanzi di Camilleri, libri che in media vendevano attorno alle 5 mila copie. Fino all'esplosione editoriale di un paio d'anni fa e al punto che l'ultimo romanzo di Camilleri (La gita a Tindari) ha toccato le 300 mila copie vendute. 

Trattandosi di due siciliani che l'orgoglio d'esser tali se lo scodellano reciprocamente in faccia, Sciascia non poteva non fare da pietra di paragone e riferimento ultimo, lui che della malinconia e dell'orgoglio d'esser siciliani era la quintessenza. Camilleri ammette che il personaggio cardine di tanti suoi romanzi, l'ormai celeberrimo commissario Montalbano, è stato sagomato su Sciascia: sui suoi silenzi, su quel suo modo di dire con gli occhi o con un sorriso più che con le parole, su quel suo come stare indietro e celarsi. Anche se c'è un punto che sembra distanziare enormemente Camilleri da Sciascia: la sua ammirazione incondizionata per i magistrati d'accusa di Palermo, a cominciare da Gian Carlo Caselli. Di loro Camilleri dice «che sanno», a differenza dei magistrati siciliani di un tempo andato, che solo erano «presuntuosi», presumevano cioè di sapere. E certo questa sua apologia totale dei magistrati di Palermo suona stonata dopo le sentenze dei processi contro Giulio Andreotti e Corrado Carnevale che hanno attestato che i magistrati d'accusa di Palermo sapevano poco e male («Analfabeti», nel giudizio rabbioso di Carnevale, uno che era stato sospeso dallo stipendio e dalle sue funzioni). Sciascia avrebbe sorriso di questo giudizio di Camilleri: lui era indomito nel ritenere che una giustizia vale ed è autorevole solo se le accuse sono pienamente e compiutamente provate; e che per questo prese sberle in faccia da tanti «quaquaraquà», siciliani e non. Eppure, a leggere lo snodarsi delizioso dei racconti e delle memorie di Camilleri, ti accorgi che gli elementi di complicità tra i due scrittori sono infinitamente superiori agli eventuali elementi di divergenza. 

A fare da collante inesorabile c'è la sicilianità. Sciascia avrebbe applaudito al racconto che Camilleri fa di se stesso quando, nel 1942, a 17 anni, aveva vinto i prelittoriali della cultura e s'era ritrovato nel Teatro Comunale di Firenze gremito di giovani provenienti da tutta Europa. Ora succede che sul palcoscenico del Teatro campeggi una bandiera nazi e che il giovane Camilleri scatti in piedi a dire che eravamo in Italia e che la bandiera da esporre doveva essere quella italiana. Il che avvenne, il giorno dopo: la bandiera italiana accanto a quella tedesca. È il giorno in cui irrompe fra i convenuti Alessandro Pavolini a gridare «Camerati, saluto al Duce». Il coriaceo Camilleri si impenna e grida un «Saluto al Re». Pavolini gli si avvicina e gli fa cenno di seguirlo. Arrivati nella hall, il ras del fascismo toscano si volge e sferra all'irriguardoso diciassettenne un calcione nel basso ventre che per poco non ammazzava il futuro autore de Il birraio di Preston. Il quale non si dà per vinto e in ospedale fa di tutto per poter denunciare chi è stato a ridurlo in quelle condizioni, finché non lo convincono che è meglio lasciar perdere. Un tale orgoglio, un tale coraggio: che cosa di meglio a rappresentare in atto la sicilianità, questa passione e questa febbre? 

Jean-Marie Wynants 


 
la Repubblica - Venerdì, 23 giugno 2000 - pagina 54
Le novità in classifica
CAMILLERI IN TRIONFO INSIEME AI POKÉMON

Il "San Camilleri" - come lo celebrano grati alla Sellerio - trionfa oggi nella vetrina dei primi dieci, affiancando a "La gita a Tindari" il superpocket mondadoriano "La mossa del cavallo". L' inarrestabile successo prosegue poi nella tabella settoriale, terzo nella narrativa con "Il cane di terracotta". La Sicilia è presente anche nei racconti di Stefano Malatesta, che con "Il cane che andava per mare" è quinto della narrativa. L' alchimia sempre imprevedibile dei bestseller mescola la strana lingua di Camilleri con un codice assai distante, quello dei Pokémon, che irrompone tra i top ten con due volumi di Tracey West. Successo garantito anche per il giallo archeologico di Christian Jacq e per quello terrifico di Thomas Harris, che ritorna in classifica con il supereconomico. Ricordiamo che la classifica è stata realizzata dall' Istituto Cirm. La settimana di rilevazioni va dal 14 al 20 giugno.


 
la Repubblica - Lunedì, 26 giugno 2000 - pagina 42
di BARBARA BRIGANTI

Al Castello di Belgioioso in mostra i piaceri della tavola. Le feste, i banchetti, la caccia dell' aristocrazia lombarda
VITA DI CAMPAGNA COSÌ LA PITTURA AMAVA RIPRENDERLA

Una società che è durata per secoli, oggi scomparsa, e di cui l' arte, anche minore, ha reso testimonianza

Pavia In questo inizio d' estate il castello di Belgioioso ritrova la sua vocazione e i fasti del proprio passato ospitando una mostra che gli è particolarmente consona. Fino al 16 luglio i saloni che videre le feste, le cacce, i banchetti che allietavano la "villeggiatura" dell' aristocrazia lombarda fanno da cornice a I piaceri della vita di Campagna (a cura di Franco Moro, catalogo De Agostini Rizzoli con un inedito autobiografico di Andrea Camilleri). Quadri ma non solo: anche oggetti, vestiti, armi, tutto quanto evoca quali fossero i passatempi e le occupazioni di tutta quella gente che, a periodi prefissati, e verosimilmente legati al calendario dei lavori dei campi, lasciava i palazzi di città per trasferirsi nei feudi, e di tutti coloro che, sia per gusto che per limitate disponibilità economiche, in campagna ci abitavano tutto l' anno. Tra le tante c' è una grande tela che rappresenta una tavola imbandita dove troneggia, ingioiellata e in abito di gala la padrona di casa. In lontananza è raffigurato il feudo, sotto un cielo minaccioso, d' altronde la stagione della caccia è l' autunno. Sulla tovaglia immacolata è in bella mostra una sorta di picnic con pasticci di carne e uova sode più che un vero pranzo. Il pane, forse per rispetto, è coperto da tovaglioli candidi. Le bottiglie di vino galleggiano in una tinozza di rame con pannocchie di granoturco a mo' di tappo; intorno si esibisce una folla di invitati, figli, famigli, cani e cacciatori. Potrebbero essere i vicini buoni dell' innominato manzoniano o una versione campestre della famiglia di don Ferrante. Quando non si cacciava, pescava o mangiava a quanto pare in campagna si faceva un gran ballare e ascoltar musica, si rievocavano i fasti e le grazie dell' età dell' oro, si osservava la natura ma anche la vita dei villani, in attesa che una nuova classe sociale scoprisse le gioie della rusticità dando vita a quella stagione dolce e decadente che vide sfiorire nelle "fughe delle stanze morte" la giovinezza delle varie signorine Felicite. L' Italia è stata una civiltà di contadini inurbati e la sensazione che emerge da questa visita è straordinariamente diversa da quella che si prova visitando le grandiose magioni inglesi o i chateaux Francesi. Qui la vita di campagna, anche in villa, è fittamente intrecciata con la vita vera di quella società scomparsa, e tutto sommato è curioso che di tanta parte della quotidianità di un mondo durato secoli sia rimasto così poco. In autunno la mostra si trasferirà ad Ariccia, in quella che fu la proprietà dei principi Chigi e che miracolosamente ci è giunta quasi intatta. Qui si veniva per sfuggire all' intollerabile calura di Roma, ma il gusto atavico per i passatempi, gli svaghi, i giochi era identico, come si può capire guardando i ritratti che il principe fece eseguire unendo nella stessa immagine i suoi beni più preziosi: i suoi cani da caccia e i feudi più importanti.


 
L'Espresso 22.06.2000 

INCONTRI / LIBRO-INTERVISTA CON ANDREA CAMILLERI Sì, Montalbano è un po' mascalzone 
Il successo inaspettato. Il rapporto con i lettori. Che non scrivono a lui, ma al commissario. Messaggi d'amore. Denunce anonime di Marcello Sorgi 

Per prima cosa, scambiamoci una raccomandazione: di non esagerare, da siciliani. Ma questa storia tua è diventata un caso: uno che, a una certa età, dopo una vita passata tra teatro, radio, televisione, diventa uno scrittore famoso: a te, abituato al palcoscenico, questo aspetto del pubblico di massa che effetto fa? 

«Io non ero abituato a questo genere di rapporto con colui che mi ascoltava. Anche se poi, complice la mia vita di regista e la mia familiarità con la televisione, c'è stato un momento in cui ho portato i miei libri in televisione, da Maurizio Costanzo e anche da Catherine Spaak. E ci andavo coscientemente, magari vergognandomi come un ladro. Il pubblico del teatro è anonimo. Nel momento in cui l'attore vede il pubblico può anche averne paura». 

E una cosa del genere, una forma di panico rispetto ai tuoi lettori è capitata anche a te? 

«Il lettore è diverso, il lettore vuole intrattenere un rapporto personale, ti guarda negli occhi, ti fa delle domande. Questo è stato inebriante, nei primi tempi. Ora comincia a diventare un po' agghiacciante. Ricevo decine, centinaia di lettere. Ricevo lettere anonime, spiego in che senso. A chi scrivono loro? Loro scrivono ad Andrea Camilleri presso Elvira Sellerio; Elvira piglia la busta chiusa, la mette in una busta più grande e me la spedisce. Bene, io apro una di queste buste e dentro c'è una cartolina postale; la cartolina rappresenta Boccadasse vista dal mare, bellissima. La cartolina è indirizzata al commissario Montalbano. Il tono di questa lettera è affettuoso o minaccioso, poco importa. Ma in ogni caso, il destinatario non sono io. Per esempio: "Comincio a stancarmi dei tuoi piccoli inganni, delle tue bugie, ti amo ancora ma non so fino a quando. Tua Livia". Io non so chi sia. Ma è vista dall'altra parte, cioè il commissario Montalbano che effettivamente è un po' mascalzone da questo punto di vista, visto dal côté femminile. Tempo fa, quando già si profilava questo successo, torno a casa dopo sei giorni di assenza e mia figlia mi fa: papà c'è un sacco di lettere. Io ero stanco: vado a letto, dico, me le leggo a letto. Apro la prima. Viene da Parma. Dice: dottor Andrea Camilleri, sono una giovane madre di 27 anni ammalata di cancro. Hanno dovuto far nascere il mio bambino con molto anticipo; ora è nell'incubatrice, non so se sopravviverà. Non voglio rattristarla, le scrivo questa lettera solo per ringraziarla: lei è stato capace di farmi sorridere nelle condizioni nelle quali mi trovo. Firma. Io mi sono sentito male, mi sono alzato, ho detto a mia figlia: fammi un caffè, non riuscivo più a stare a letto...». 

Cosa fai di queste lettere? Le conservi? Rispondi a tutte? 

«Io le raccolgo tutte. Per esempio, con quella signora malata, sono entrato in corrispondenza: il bambino è sopravvissuto, lei è sotto cura, speriamo le vada bene. Quando posso, rispondo a più gente possibile, soprattutto quando sono di questo tipo. Ho ricevuto un bigliettino di Catarella, una cosa straordinaria, indirizzato al dottor Andrea Camilleri... dentro c'è un messaggio di Catarella scritto con lo stile, con la lingua, con la cocciutaggine di Catarella. In commissariato, dice Catarella, è arrivata una lettera... Siccome però lei al vice non gli ha detto dove andava, a me m'è venuta l'idea che lei si trovasse a Boccadasse. Dentro questa lettera, c'è la lettera del questore, al computer, stampata. Che dice: Caro Montalbano, ho ricevuto una lettera anonima che di primo acchito ho gettato nel cestino. La lettera anonima in sostanza dice questo: il piccolo Francois ha avuto un lascito di 300 milioni dalla madre. Benissimo, il commissario Montalbano l'ha depositato presso il notaio. Come mai non si parla più di questa cosa nel momento in cui ne "La voce del violino" lui consegna il bambino agli altri? Non è che per caso... Indaghi, mi sa che Montalbano se l'è messi in tasca...». 

Solitamente il successo genera invidia. Siamo stati in qualche modo educati fin da piccoli a temere l'invidia: non ti colpisce? 

«Mi colpisce moltissimo, ma se esiste un Dio o chi ne fa le veci, devo dire che sono stato ripagato. Non mi pare di aver tolto nulla a nessuno. Io, lo devi credere dal profondo del cuore, non ho mai invidiato nessuno. Anzi, veramente ho gioito. Ti faccio un esempio: quando esplose il boom del "Nome della rosa" di Umberto Eco, cominciarono le traduzioni all'estero, non si parlava d'altro che di questo primo best-seller italiano. Io, che avevo lavorato come regista con Eco, ero felice per lui e anche per la nostra letteratura. Come uomo di teatro non ho mai provato invidia per Strehler o per Ronconi. Mai, in nessun momento della mia vita. Adesso sono ripagato». 


 
Auditorium di San Barnaba a Brescia 20.06.2000 
corso Magenta 44/A 
Montalbano & Montalbán 

Domanda : le piace la società attuale? 

C: Camilleri ha risposto che la ragione lo fa essere pessimista e quindi gli dice che la società attuale è quanto di peggio la sua generazione e le altre precedenti abbiano potuto "creare",ma il cuore lo spinge irreversibilmente verso l'ottimismo; la sua è una continua lotta per equilibrare le due forze in contrasto. 

M: no, ma anch'io sono o meglio voglio essere ottimista, speranzoso forse è la parola più giusta. 

Il giornalista prendendo spunto dalle esternazioni fatte dallo stesso Camilleri sul suo passato fascista gli ha chiesto se rinnega qualcosa del suo passato di fascista e se rinnega qualcosa del suo passato di comunista. E gli chiede "O dovrei dire presente da comunista?". 

C: Camilleri ha risposto che del suo passato non rinnega niente,e che, nonostante il crollo del comunismo lui crede ancora che l'ideologia se sarà in grado di fare un "enorme sforzo di modernizzazione" possa migliorare lo stato delle cose. Il giornalista gli ha quindi chiesto? "Utopicamente parlando?" E lui ha risposto "Ai posteri l'ardua sentenza" 

M: concordo con la versione di Andrea 

D: che letture sono state importante per lei durante il periodo fascista? 

C: "La condizione umana" che mi ha fatto venire la febbre e qui sono serio quando parlo. 

M: …………..(nebbia totale) 

D: cosa avrebbe voluto fare nella vita se non fosse diventato scrittore? 

M: l'avanticentro, corretto in 'centravanti' dal giornalista, del Barcellona. Non penso sia più possibile per me diventarlo. 

C: penso sarei stato un buon ammiraglio. 

D: lei pensa di intendersi di donne? Di capirle? 

C: penso che al mondo solo due o al massimo tre uomini possano dire di intendersi, nel senso di capire, le donne 

M: la mamma è la donna più importante 

D: la passione culinaria che vi accomuna: qual è il vostro piatto preferito? 

C: le sarde a beccafico. Non potendole più mangiare le faccio mangiare al mio Commissario Montalbano. 

M: xxxxxxx, piatto originario dei Paesi Baschi. 

D: c'è ancora un luogo in cui non siete mai stati e ci vorreste andare? 

M:Shangri-La 

C. dopo aver riflettuto un po' ha detto: anche per me. 

Dalla nostra inviata Gio' 


 
Repubblica 20.06.2000 

Camilleri il gusto del surreale 
Marcello Sorgi scrive una biografia confidenziale dialogando con lo scrittore nel segno della "sicilitudine 

"Io sono uno scrittore italiano nato in Sicilia", dichiara Camilleri. Il che sembra inconfutabile. Ma qui l'autore del Birraio di Preston si ferma per un istante. E, a smentire che tutto sia così semplice, subito aggiunge: "Mi accorgo che un giro di parole più siciliano di questo è difficile trovarlo". Sto citando dal volume di Marcello Sorgi intitolato, con una suggestiva espressione siciliana, La testa ci fa dire. E' un dialogo con Andrea Camilleri appena edito da Sellerio (pagg. 130, lire 15.000). I dialoganti sono conterranei di diversa generazione. Palermitano e quarantacinquenne il direttore della Stampa. Nativo di Porto Empedocle, a un passo da Agrigento, il romanziere, che ha trent' anni di più. Ma il solco dell'età non basta a dividerli. Anzi. Come in una pièce del teatro classico, ciò che conta è l'unità di luogo. Che qui si afferma rigorosa. E che rimanda a una realtà proverbiale, ricca di aneddoti e colpi di teatro, generosa di ammiccamenti e controversie sottili come una lama: la "sicilitudine". Per i coautori del libro l'essere nati in quell'isola non è né "sostanza", né "accidente", come avrebbe detto un personaggio di Manzoni. Non è neppure un semplice antefatto. E' tutto insieme: complicità, orgoglio, curiosità reciproca, divertimento. Si sarà capito che la Sicilia - "la sua e la mia", precisa Sorgi ad abundantiam - funge da motore immobile per ogni pensiero che s'affacci nelle pagine. I due si approvano e rimbeccano, si aiutano o confutano con l'effetto di completare ciascuno i ricordi dell' altro. Sanno che la "sicilitudine" è un'essenza volatile, infida. E nel riaffermarlo ad ogni riga provano qualcosa che somiglia a un amaro diletto. "E' una cosa complicata", interviene a volte il giornalista interrompendo qualche confidenza dell'amico scrittore. "Appunto", riconosce Camilleri, con una punta d' impazienza (o di autoironia?). Quasi a dire: se non lo sai già da te, in partenza, che noialtri siamo fatti così, complicati fino al virtuosismo, che siciliano sei? O altrove è lo stesso romanziere che, raccontando una trovata sua o d'un amico di gioventù, prorompe estatico: "Neppure uno psicoanalista avrebbe potuto pensarla così fine". E' una sorta di scommessa che la "sicilitudine" impone ai nativi di laggiù: un gioco intellettuale, si direbbe, fondato sul fattore- sorpresa. Parlando dei documenti storici che lo appassionano, da cui spesso ha tratto spunti romanzeschi, Camilleri dichiara che la loro lettura gli fa crescere la sua "voglia di sgorbio". Sgorbio? Suppongo si tratti d'uno scatto improvviso della fantasia (o della visionarietà, per usare un termine caro agli autori) che viene a contrastare l'esercizio della logica isolana. La quale è nota, ecco il paradosso, per essere implacabile. Il libro che Camilleri ha composto insieme al conterraneo Sorgi - e, si può supporre, su sua felice istigazione - può essere definito la biografia confidenziale d'un autore italiano di best-seller, senza dubbio il più "gettonato" di questi nostri anni. Si va dagli inizi difficili come allievo dell'Accademia d' Arte drammatica al debutto come aiuto-regista in teatro e poi al cinema, dalle prime regìe teatrali in proprio al ritorno nell'Accademia in veste di docente, dalla lunga attività nel settore spettacolo della radio e della tv pubbliche ai tentativi poetici e romanzeschi, dalla mancata assunzione - per motivi bellici - alla Nazione di Firenze all'esordio come giornalista in Vie nuove sotto un direttore che si chiamava Luigi Longo (cui Camilleri attribuisce a sorpresa una battuta di spirito fulminante). Fino al definitivo trionfo in quella narrativa da "intrattenimento alto" che è così rara in Italia e che l'autore della Concessione del telefono ha imposto sul mercato, sfatando la convenzione secondo la quale uno scrittore capace di sorridere non sarebbe uno scrittore vero. I lettori apprenderanno che il personaggio di Montalbano, commissario di polizia nell'inesistente ma popolarissima città di Vigata, non è poi così simpatico al suo creatore, benché riproduca certi tratti di carattere dell'amatissimo Leonardo Sciascia: soprattutto il disagio nel parlare in pubblico. Scopriranno che la ragazza svedese del Cane di terracotta riproduce le fattezze di un lontano flirt scandinavo dell' autore. Verranno messi al corrente del fatto che lo stesso Sciascia - catalogato nel libro come "siciliano di mare aperto", cioè cosmopolita, in contrapposizione ai "siciliani di scoglio", ossia provinciali - disapprovava il vezzo di Camilleri di scrivere in quel personalissimo semidialetto: "Ci metti certe parole!", esclamava scandalizzato. Scopriranno che la madre del futuro romanziere gli rimproverava fin da piccolo l' inclinazione al turpiloquio. Vedranno squadernate alcune indiscrezioni di mestiere: che Camilleri, ad esempio, non riesce ad inventare un personaggio di sana pianta, ma fa leva spesso su una notizia di cronaca (questo già lo sospettavamo); o che ha dovuto riscrivere da capo cinquanta pagine della Voce del violino dopo averle sottoposte al capo della Scientifica di Bologna che le trovò inverosimili. Gli si rivelerà che lo scrittore siciliano sa poco di mafia. Che ancora meno capisce le donne. Che è tiepido sul tema dell'impegno sociale in arte, fino a respingere con rispettoso fastidio le rampogne che in materia gli rivolge Vincenzo Consolo. E che, per finire, è approdato a uno sconsolato scetticismo politico, dopo essere stato fascista da giovane e poi, dall'immediato dopoguerra, comunista. Ma sempre "sicilianamente". Sulla scorta di un Dna che postula una certa dose di generosità o di esagerazione. Il libro si legge con gusto, come un viaggio sentimentale a due. Benché meno colmo di ricordi dell'attempato partner, per ascendenze familiari Sorgi viene anch'egli da lontano: suo padre Nino, avvocato dalla viva passione civile, è stato per lunghi anni prodigo di consigli non soltanto professionali a chi lavorava all'Espresso. Quanto a Camilleri, dà l'impressione di sentirsi provocato nel modo giusto. Sul tessuto della sua memoria fanno spicco gli "sgorbi". E' quando, fra le acque già problematiche della "sicilitudine", irrompe il surreale. S'incontra per esempio un nonno dello scrittore che dispone, in casa, d'un monumentale water di marmo: un trono prestigioso ma gelido al punto che l'anziano gentiluomo suole "farlo riscaldare, con una seduta preventiva, senza diritto di uso, da una vecchia e fedele cameriera, la sua Ciccina". E' lo stesso nonno, cui la moglie - "donna favolosa, serena, distaccata" - contesta certi modi troppo cerimoniosi. Quando i due vecchi sono soli, in campagna, seduti nel salotto d'una casa deserta, lui le fa: "Dì che qualcuno mi porti un po' di vino". Che in quelle stanze non ci sia nessun altro è lampante: ma lui non se la sente di dare un ordine esplicito alla sua signora. La scenetta è degna d'un Brancati. Quando meno te lo aspetti, la follia isolana trabocca di dolcezza. 

di NELLO AJELLO 


 
 
 
Corriere della Sera 20.06.2000 

Camilleri e Montalbán: le nostre letture proibite 
In un libro i due scrittori raccontano l’iniziazione alla letteratura durante fascismo e franchismo 

Oggi alle 18 Andrea Camilleri e Manuel Vázquez Montalbán si incontrano nell’auditorium di San Barnaba a Brescia (corso Magenta 44/A), nell’ambito dei «Martedì culturali». In autunno uscirà da Frassinelli un libro che raccoglie una loro lunga conversazione e che si intitolerà «Montalbano & Montalbán». Ne anticipiamo qui un brano. 

M ontalbán : Vorrei conoscere il perché della tua passione per il teatro, per la televisione. E poi anche: l’impegno. Dovremmo chiarire il senso che ha l’impegno nella nostra vita, i suoi modi certo diversi. Quando tu eri adolescente c’era il fascismo, io sono cresciuto sotto il franchismo. Sono entrambi in noi una memoria antica e la democrazia significherà la nuova vita, la realizzazione personale. Per me tutto questo significa anche la memoria, la memoria del fallimento della Guerra Civile. 
Camilleri : Io ho cominciato a scrivere, istintivamente, che avevo dieci, dodici anni. Naturalmente, che cosa scrivevo, scrivevo poesie, quelle che tutti scrivono, alla mamma, a Mussolini (allora), io sono del ’25, immagina no?, tutta l’aura fascista, l’Impero... Ero figlio unico e soffrivo frequentemente di malattie infantili, il morbillo, la scarlattina. Allora non c’era l’infelicità dei vaccini, e dico così perché i vaccini fanno l’infelicità dei ragazzi, li privano di leggere per i fatti loro a letto per quindici giorni. Allora, passati i primi dieci minuti di esplorazione del proprio corpo, che facevi? leggevi i fumetti, Gordon Flash e via dicendo. I libri di mio padre erano Conrad, Melville, con questi ho cominciato... Ebbi più tardi, al liceo, la fortuna di incontrare (una vera fortuna, come accade al lotto) una professoressa intelligente, Lia Giudice, che mi disse (intanto io avevo già scoperto D’Annunzio) ci sono delle letture da fare. E comiciò a farmi leggere Montale, Ungaretti, Saba, una vera scoperta. 
M. Ma nel momento in cui tu hai accesso a questa letteratura, come consideri quell’altra, quella ufficiale? Hai la sensazione che una sia vera e l’altra no? 
C. Si, assolutamente. Persino Manzoni non mi parve più vero. Poi, ormai trentenne, lo rilessi: e Manzoni era vero. 
M. Il mio incontro con «la letteratura vera» non avviene sino alla fine delle superiori, a quindici anni. Ho studiato come «fuori corso», eravamo troppo poveri e dovevo anche lavorare. P er entrare nell’università devo frequentare una scuola serale. Incontro un giovane laureato che in un anno mi fa leggere Sartre, Baroja, l’intera tradizione eterodossa e vietatissima in Spagna. La mia prima lettura di Moravia, La romana , fu del tutto clandestina. Il libro lo comprai nel retrobottega di una libreria, di simili librerie ci si passava in segreto la voce. È allora che comincio a cercare in modo ossessivo una letteratura ideologica, e mi ostino a trovare i filoni di una letteratura in grado di trasmettermi informazioni antifranchiste. È così che con la lettura non raggiungo allora un piacere strettamente letterario. E questi sono i miei inizi: un’avidità di lettura senza limiti, un piccolo successo raggiunto con un mio scritto che mi fece ottenere un premio provinciale. È allora che tutta la scuola, una scuola di quartiere in un quartiere vinto e miserabile, comincia a parlare di me come «dello scrittore». Sembra quindi che intorno a me si crei un’aspettativa di scrittura che a mio parere mi è servita un po’ da impulso originario. Ma gli autori di cui tu parlavi, Montale, Ungaretti, che circolazione avevano allora? Era consentita? 
C. Circolazione? Scarsa. Montale, Ungaretti, sono più che inconsentiti. Verso gli anni Quaranta, dopo l’esperienza con Elia Giudice, mi arriva un’altra mazzata, perché come tutte le dittature, anche il fascismo era stupido e lasciava passare libri che sinceramente non avrebbe dovuto lasciar passare, come per esempio La condizione umana di André Malraux. 
M. Mi stupisci. È stato pubblicato sotto il fascismo? 
C. Sì, da Bompiani. Pochi anni dopo sarebbero cominciati a uscire Vittorini con Conversazioni in Sicilia , Pavese con Paesi tuoi , insomma, qualcosa si muoveva. Intanto io continuavo sempre a scrivere; un pomeriggio presi in mano questa Condizione umana , cominciai a leggere e mi ritrovai il mattino dopo alle otto con il libro appena finito tra le mani. Mi girava la testa. Mi misi il termometro e avevo la febbre alta. Avevo scoperto innanzi tutto una cosa, che i comunisti erano esseri umani. 
M. Ma quanto pesavano su di te il fascino del proibito e il fascino della verità? 
C. Ah, il fascino del proibito non l’ho mai avuto nella mia vita personale. Cioè, non me ne frega niente del proibito. Già allora non mi andava di fare le cose di nascosto. Io ho fatto cose proibite, ma non per il loro particolare fascino, ma perché mi piaceva quella cosa proibita al di fuori di qualsiasi divieto. Tuttavia, sono cresciuto abituato, nonostante il padre fascista, a una grossa libertà, che certo mi ha aiutato. Quando io decisi per esempio di andare a Roma, di venire a Roma per frequentare una scuola di attori, di regia, ricordo mio zio fuori dalla grazia di Dio dire a mia madre, che mi appoggiava «Tu permetti che tuo figlio laureato vada a fare il saltimbanco». 
M. Questo ha fatto che in te il proibito non fosse morboso. Io ho dovuto crescere prima di capire di non saper distinguere tra il proibito e il morboso, e che era possibile non accettare una doppia condotta: quella dell’occultamento e della dissimulazione. La cultura del proibito è durata in Spagna troppo a lungo. Fa parte del suo patrimonio più profondo. Ricordo che da noi la nuova cultura italiana era quasi tutta proibita. Gli unici scrittori italiani approvati dal franchismo erano de Cespedes, Papini e Malaparte. E Malaparte solo fino al momento del suo impegno con il comunismo. Questo aveva portato a credere che Alba de Cespedes fosse gradita al fascismo.
C. No. Alba de Cespedes era gradita a Mondadori perché era bellissima. 

(a cura di Hado Lyria) 


 
Il prossimo libro a 4 mani con Montalban

Andrea Camilleri e Manuel Vazquez Montalban si incontreranno in pubblico giorno 20 giugno (ore 18.00) a Brescia nell'auditorium di San Barnaba. I due scrittori sono molto amici, al punto che Camilleri ha chiamato Salvo montalbano il protagonista dei suoi gialli. 

Una lunga conversazione tra Camilleri e Montalban, raccolta da Hado Lyria, sara' pubblicata tra poco da Frassinelli in un libro inttitolato Montalbano & Montalban


 
Il messaggero 18.06.2000 

E Montalbán incontra Montalbano 
Amici in giallo/Lo scrittore catalano, premiato dal ”Grinzane”, parla del libro a cui sta lavorando con Camilleri «Cosa abbiamo in comune? Coerenza e idee 

Torino 
Ecco i due supervincitori della XIX edizione del Premio Grinzane Cavour. Per la narrativa italiana, Filippo Tuena, Tutti i sognatori (Fazi editore), 131 voti; nella terna con Luca Doninelli, La nuova èra (Garzanti), 83 voti; e Laura Pariani, La signora dei porci (Rizzoli), 34 voti. Per la narrativa straniera, l'americano Michael Cunningham, Le ore (Bompiani), 101 voti; nella terna con Ursula Hegi, Come pietre nel fiume (Feltrinelli), 75 voti; e Tahar Ben Jelloun, L'albergo dei poveri (Einaudi), 72 voti. 
Prescelti da una ventina di giurie scolastiche (c'era anche il liceo scientifico "Pasteur" di Roma), si aggiudicano dieci milioni (otto per gli altri finalisti). Oltre al premio internazionale assegnato a Manuel Vázquez Montalbán, quello per la saggistica d'autore (anche questo di dieci milioni) è andato a Cesare Segre. Il premio Grinzane Cavour per l'autore esordiente e quello per la traduzione (entrambi di otto milioni) sono stati vinti, rispettivamente, dall'iracheno Younis Tawfik (per La straniera, Bompiani), e da Gian Piero Bona (ha tradotto soprattutto opere di autori francesi, tra gli altri Rimbaud e Feydeau). 
P. M. T. 


 
la Repubblica - Domenica, 18 giugno 2000 - pagina 1
di EUGENIO SCALFARI

IL GRANDE FRATELLO COLPISCE ANCORA

MI RENDO conto di quanto sia importante - dovete credermi, lo dico senza alcuna ironia - approvare una nuova legge elettorale che dia rappresentanza e stabilità politica; così pure continuare nella ricerca di colui o colei che guidi il centrosinistra alla riscossa, riformare il welfare, cioè lo Stato sociale che per mezzo secolo ha assicurato i lavoratori e i ceti a basso reddito contro i contraccolpi del ciclo economico; infine portare a termine la liberalizzazione dei mercati e imboccare la via maestra di un vero e solidale federalismo. Mi piacerebbe anche - lo confesso - che il Parlamento risolvesse una volta per tutte il famoso conflitto di interessi che sembra invece essere stato accantonato per sempre e di cui continuano a parlare con indomita quanto inascoltata tenacia su questo giornale Giovanni Valentini e Claudio Rinaldi, "voces clamantes in deserto". E tuttavia, nonostante la loro riconosciuta importanza, non sono questi secondo me gli argomenti più degni di meditazione. Almeno per me, per i miei gusti attuali, ce ne sono altri di maggiore momento. Per esempio la trasmissione in corso di allestimento su Canale 5 dal titolo "Il Grande Fratello". E la discussione, innescata da questa notizia, sul tema dei nuovi modelli della comunicazione che starebbero segnando la fine non solo del giornalismo (poco male diranno in molti) ma perfino del cinema, del teatro e se volete del romanzo. Infine questa "reductio ad unum" che la comunicazione-verità potrà produrre facendo piazza pulita di ogni genere di comunicazione informativa o artistica, non rischierà anche di seppellire la poesia, i poeti e con essi le persone che sono state aiutate dalla poesia a vivere quegli attimi di commozione e di partecipazione al creato che sono tra le pochissime cose che danno un senso alla vita? Vedete bene che questi sono temi con i quali non ci può essere gara, sicché immagino che sarò assolto perché è di essi che mi occuperò lasciando in mani più esperte delle mie le grandi questioni dello scontro politico, di quello sociale, delle evoluzioni acrobatiche di Clemente Mastella nonché della resurrezione di Nando Adornato dopo il fallimento di "Liberal" nell' inatteso ruolo di Perseo pubblicizzato sulle pagine redazionali del "Corriere della Sera". *** La trasmissione "Il Grande Fratello", per chi non lo sapesse, rappresenta l' evento più atteso della prossima stagione televisiva. Tutto lo staff di Canale 5 è all' opera per prepararla insieme a Canal Plus e ad alcuni tra i maggiori "web" che operano su Internet. Ne sarà responsabile quel Rondolino già collaboratore di D' Alema, poi scrittore "hard" come sostengono alcuni che hanno letto un suo libro ed ora approdato sulle sponde di Mediaset. "Omnia munda mundis", se è consentita la citazione. TRASMISSIONI analoghe sono già state sperimentate in Spagna, in Olanda, in Gran Bretagna e naturalmente in Usa. Anche Murdoch se ne interessa intensamente (e ti pareva!); ma il capostipite del genere fu l' anno scorso il film "Truman Show" diventato ben presto famoso, dove si raccontava la storia d' un giovanotto predestinato fin dall' infanzia a vivere in un finto villaggio, in una finta famiglia, con un finto lavoro e una finta moglie, ripreso in ogni momento della sua giornata da decine di telecamere opportunamente occultate ai suoi inconsapevoli occhi, per la delizia di milioni di spettatori che lo vedevano ritratto in ogni postura, dalla più ovvia alla più scabrosa, senza che il protagonista ne avesse il minimo sospetto. Alla fine il giovanotto si innamora, capisce che fin lì ha vissuto in un mondo di cartapesta, riesce ad evadere e rientra nell' anonimato di una vita normale. Sembra che tutte le trasmissioni ispirate al "Truman Show" abbiano avuto notevole successo anche se manca in esse il presupposto dell' innocenza. Il protagonista del film non sapeva - questa è la finzione che l' ha reso popolare - di vivere sotto osservazione; nelle trasmissioni intitolate "Il Grande Fratello" invece quel presupposto manca; è infatti pacifico che i protagonisti scelti per sottoporsi alle riprese dei cameramen sono sotto contratto, hanno superato un concorso di ammissione alquanto difficile e ovviamente ricevono un adeguato compenso per la loro prestazione. A dirla in soldoni queste trasmissioni non sono altro che uno spogliarello televisivo; spogliarello metaforico nel senso che esibiscono senza veli la loro (fittizia ma verosimile) quotidianità fatta di tutto e di niente, compresi i ruttini, le sedute sul "water", discussioni politiche, tifo per la squadra del cuore, liti in famiglia e via dicendo. Oltre allo spogliarello metaforico (e perfino metafisico se sarà il caso) non mancherà neppure lo spogliarello vero e proprio davanti alle telecamere e possibilmente anche la ripresa di accoppiamenti veritieri che anzi dovrebbero essere il "clou" della trasmissione. Ricordavo prima che "Il Grande Fratello" è già stato trionfalmente collaudato in altri paesi; il successo italiano - c' è da scommetterlo - non mancherà. Conoscendo l' indole dei nostri concittadini prevedo anzi che l' "audience" di Canale 5 batterà ogni record internazionale. In Spagna pare che la cifra media di ascolto sia stata di 17 milioni di persone ma noi, vedrete, la supereremo perché nel Bel Paese i "voyeur" sono popoli. *** Ci stiamo dunque incamminando verso una sorta di Tv- verità o se volete di "candid-camera" che però non è verità e non è candida perché tutti, a cominciare dai protagonisti, sanno perfettamente che si tratta di pura finzione così come è pura finzione (ottimamente riuscita) la storia televisiva a puntate su "Un medico in famiglia". Allora che cos' è che fa diverso "Il Grande Fratello"? Il marchingegno psicologico - se ho capito bene - è più complicato. Tutti sanno che va in scena una finzione sia pure con attori non professionali ma presi dalla strada come si diceva ai tempi del neorealismo. Tutti lo sanno ma tutti fanno finta che non sia così e che ciò che le telecamere trasmettono sia la pura registrazione in diretta di vite quotidiane in tutti i loro risvolti sorpresi da telecamere fintamente nascoste. Si tratta cioè di una doppia finzione che spaccia come vera una finta verità. Capisco bene che abbiano scelto Rondolino per guidare l' esperimento. L' attrazione per gli spettatori consiste nel guardare dal buco della serratura qualcuno che, sapendo di esser guardato, si comporta come se non lo fosse. E quelli che lo guardano sono felici: felici di vedere lui o lei che si infilano le dita nel naso, che si tolgono le mutande, che prendono a parolacce il coniuge o il fidanzato, che vanno al cesso e tirano la catena e chissà quali altre intimità ivi compresi - se si darà il caso - slanci di (finta) generosità, bontà, perdono, "mea culpa". Gesti di verità fiscale non sono previsti e tanto meno prevedibili, ma per il resto sarà il trionfo della sincerità piantata sul robusto tronco della più palese finzione. Non è questo il target? C' è solo un aspetto assolutamente vero e sta condensato nel titolo: "Il Grande Fratello". Lui, il Grande Fratello, c' è veramente e propala veramente le sue finzioni, detta veramente i comportamenti, i bisogni, le speranze, indica gli amici, mette sotto il tiro dell' antipatia e dello sberleffo i nemici, si ammanta di bonarietà, seduce col sorriso, diverte con la barzelletta, vi lava il cervello con la pubblicità. Il Grande Fratello c' è. Bisognerebbe appendere i cartelli come si fa con Dio. Dio c' è: l' altro giorno m' hanno spiegato che la scritta "Dio c' è" serve in molti casi a segnalare che lì presso c' è uno spacciatore di droga. Vallo a pensare. *** Quando la comunicazione arriva a queste raffinatezze in diretta, che te ne fai del giornalismo? E che te ne fai del romanzo? Tornassero Flaubert o Stendhal, Dostoevskij o Tolstoj, Faulkner o Virginia Woolf, venderebbero meno dell' ottimo Camilleri che per altro vende meno di quanto meriterebbe. "Era una gelida notte d' inverno": ma vuoi mettere con la visione di una bella giovane che si sveste nella sua camera da letto sotto gli occhi di alcuni milioni di guardoni? Però resta la poesia. Sembra che parecchi giovani siano sensibili alla poesia nonostante quello che gli accade intorno. Bene, sarà piccola ma è comunque una speranza. Forse bisognerebbe organizzare nelle case e magari nei teatri letture di poeti mentre la tivù trasmette "Il Grande Fratello": in epoca di non-violenza sarebbe un modo di fare resistenza. Brigate partigiane che leggono poesie. è un' idea, parliamone: da cosa nasce cosa.


 
Giornale di Sicilia 17.06.2000

Libri. Marcello Sorgi intervista lo scrittore
Camilleri: donne come i gatti, intelligenti ma imprevedibili

Botta e risposta, e quel che… "La testa ci fa dire" (Sellerio, 176 pagine, 15.000 lire) si predispone a ritmi squisitamente barrativi affidando alla carta l’intervista che Marcello sorgi, giornalista e direttore de "La Stampa", rivolge ad Andrea Camilleri. Metti un’afosa serata di luglio, l’ameno piacere delle quattro chiacchiere tra amici e, soprattutto, la verace logorrea di due siciliani d.o.c. ed ecco, fresco fresco di stampa, un libretto di confessioni che, del "fenomeno" letterario più discusso del momento, ci conferma un sospetto: Camilleri è personaggio di grande calibro umano, osservatore sagace della giostra di tipi che animano il mondo, paroliere ferrato alla "messa in scena" di storie.

Anche quando sceglie di raccontare se’ stesso; piccole restituzioni della memoria e del sentimento "impaginate" con il suo solito gusto del colore: il ricordo della nonna Elvira che gli recitava i brani di "Alice nel paese delle meraviglie" e che sognava di andare a Roma per vedere il Papa e la Villa di Adriano, li vide, e morì di tanta bellezza, troppo per lei che non era mai uscita dalla Sicilia; o di quei luoghi magici, come la Cappella dell’infanzia, dove si rifugiava e dove la passione per i paramenti sacri lo spingeva ad indossarli, di nascosto, e a sognarsi vescovo; o ancora di quell’esordio in teatro nel ’56 ad Assisi, quando lo scenografo rifiutò di fargli il "paradiso" perché non l’aveva mai visto e lui, Andrea, dovette scusarsi con Dio.

La "chiacchiera" tra Sorgi e Camilleri si spinge oltre: sfiora la retorica della "sicilitudine" (il vero limite di noi siciliani è di non riuscire, o riuscire raramente, a superare il nostro orizzonte), s’impantana in una diatriba sull’universo femminile (è come tentare di capire un gatto, sapendo che è molto intelligente, ma imprevedibile), satireggia su politica e politici (la rottura fascismo-antifascismo non può essere certo sanata con il "volemose bene" di Violante; oppure su Andreotti: si rischia di farne un santo o martire, senza poter discutere le sfumature di una storia politica piena di ombre e durata mezzo secolo; su Martinazzoli: liquidatore di una tradizione politica che era degenerata; su Bertinotti: perché non parla di politica con la stessa concretezza con cui parla di letteratura). Ed infine sul valore della scrittura (uno scrittore s’impegna all’atto della scrittura), per rispondere a Vincenzo Consolo per il quale il successo di Camilleri è dovuto alla leggerezza e al disimpegno della proposta narrativa, e per rispondere a tutti coloro, che senza aver mai letto i suoi libri, di tanto successo si stupiscono e scandalizzano. Solidali i fans, i lettori, che a lui indirizzano carteggi virtuali con Montalbano, Livia e Augello e che gli confermano come la lettura della vicende del picaresco commissario sappia strappare più che un sorriso: "Terribile, da una lato sei contento, dall’altro sei terrorizzato della responsabilità che in qualche modo ti viene data". Perché Andrea Camilleri, diciamolo pure, è come quegli altri grandi siciliani che "in un dato momento della storia corrono in soccorso di uno che sta perdendo o si rifiutano di salire sul carro del vincitore".

Micaela Sposito


 
la Repubblica - Venerdì, 16 giugno 2000 - pagina 54
Le novità in classifica
ARRIVANO I POKÉMON E GEORGES SIMENON

Ben tre novità, questa settimana. Se I Confratelli di John Grisham e La gita a Tindari di Andrea Camilleri si confermano nelle prime due posizioni, il resto della Top Ten è un susseguirsi di movimenti. Il registro di classe di Sandro Onofri sale al terzo posto, mentre scivola al quarto il nuovo romanzo di Sveva Casati Modignani Vaniglia e cioccolato. A seguire ancora due titoli in flessione: La recita di Bolzano di Sandor Marai (quinto) e Timeline-Ai confini del tempo di Michael Crichton (sesto). In settima posizione, sulla scia di cinema e consumi, incontriamo la prima nuova entrata della classifica Pokémon-Scelgo te! di Tracey West. All' ottavo e al nono posto ancora due new entry: il supertascabile di Diego Cugia Alcatraz e Gli intrusi di George Simenon. Decimo, il Manuale dell' imperfetto viaggiatore di Beppe Severgnini. La classifica è stata realizzata dall' Istituto Cirm.


 
La Stampa 16.06.2000 

Camilleri, la vita è teatro 
Esce in questi giorni da Sellerio La testa ci fa dire, un dialogo tra Marcello Sorgi, direttore della Stampa, e lo scrittore Andrea Camilleri, autore di amati bestseller. L'idea di partenza era quella di comprendere gli incomprensibili meccanismi del successo. Poi il discorso si è allargato alla vita dello scrittore e al rapporto tra la sua infanzia siciliana e le esperienze politiche e culturali sue e di tutta la sua generazione. Pubblichiamo l'introduzione di Sorgi e alcuni stralci del dialogo.

Tipica espressione siciliana (sul dizionario italiano Tommaseo-Bellini non c'è), «la testa ci fa dire», che dà il titolo a questo libro, ha un etimo curioso. La citano, alla voce «testa», i due grandi vocabolari siciliani, il Pasqualino (edizione 1785) e il Traina (1868), «diri la testa», «mi dici la testa e lu cori», «mi dici la testa ca». Vale come «presagire», «ho paura che», «un animo mi dice che». Presagio, presentimento, timore, tentazione, specie quando accompagnano il desiderio o il rifiuto di qualcosa, descrivono l'ambiguità di un certo animo siciliano, pur senza riuscire a coglierne, fino in fondo, l'essenza e gli aspetti positivi. Con Andrea Camilleri, non ci conoscevamo. Avevo letto una serie di suoi racconti molto spiritosi pubblicati sulla Stampa. E poi, di seguito, i suoi libri, a cominciare dal Birraio di Preston. Un giorno di due anni fa, per lavoro, combinammo di incontrarci. Roma, il cinema, la politica, giornali e televisione, la Sicilia (la sua e la mia), il teatrino delle nostre famiglie d'origine, e quindi le sue storie, i suoi personaggi, la sua scrittura: in un'afosa serata di luglio, parlammo fino a tardi di tutte queste cose. Fu proprio naturale, l'indomani, richiamarsi, scoprire di aver piacere di continuare la conversazione, decidere di registrarla, di trascriverla, forse di pubblicarla. La testa ci fece dire così. 

Camilleri l'arcitaliano 
INFORMATIVA di Fruttero e Lucentini 
Entrati in possesso di una conversazione registrata tra due siciliani, ci siamo ben presto imbattuti nella parola «sicilitudine», sulla quale i due indugiano a lungo. Per loro stessa ammissione è una parola assai discutibile, ideata forse da un terzo siciliano (Leonardo Sciascia?), che l’adattò dal francese «negritude». Non poteva andar bene «sicilianità» per indicare quel pur suggestivo genoma di tradizioni storiche, famigliari, culturali, linguistiche, temperamentali che costituirebbero il carattere specifico dei siciliani? Eh, no, ci voleva un neologismo più sfumato, più ambiguo, più isolano e misterioso, nonché orgogliosamente inapplicabile ad altre regioni d’Italia. Abruzzitudine, puglitudine, trentinitudine farebbero ridere, mentre «sicilitudine» ti mette subito in guardia, attenzione, qui è meglio andare coi piedi di piombo, questo testo può essere tutto il contrario di quel che sembra, una equivoca ragnatela di allusioni, sottintesi, messaggi in codice in cui la nostra laziopiemontesitudine rischia di restare beotamente impigliata. 


 
Il messaggero 16.06.2000 

Andrea Camilleri studente immorale 
Anticipazioni/Da un libro-intervista di Marcello Sorgi, pubblichiamo un brano sulle disavventure amorose dello scrittore ventenne. Espulso dall’Accademia d’arte drammatica per i suoi ”eccessi” 

di MARCELLO SORGI 
«HO fatto questo concorso (all’Accademia Nazionale dell’Arte Drammatica, n.d.r.), ma non per fare teatro, anche se l’avevo fatto con filodrammatiche, ma esclusivamente per venirmene a Roma ed entrare in contatto con l’ambiente letterario. E quindi io ogni giorno dalle 8 alle 12 stavo in un’aula grandissima, solo con Orazio Costa, uno dei più grandi registi italiani, un mastro di tanti di noi, registi e attori. Quando nel ’50, neppure dopo l’entrata in Accademia, venni costretto ad andare via per condotta disdicevole, fu lui che mi aiutò a restare a Roma e a campare». 

Cosa avevi combinato per farti cacciare dall’oggi al domani? 
«Vuoi proprio raccontarlo, questo episodio? Nell’estate del ’50 io con tutta l’Accademia, primo, secondo e terzo anno, più alcuni attori professionisti di grandissimo livello, che allora erano giovani giovani, Nino Manfredi, Rossella Falk, Tino Buazzelli, o che si erano diplomati due o tre anni prima del mio ingresso in Accademia, Paolo Panelli, Bice Valori, insomma tre quarti del teatro italiano dei successivi quarant’anni, partecipammo a questo enorme spettacolo di Orazio Costa. Io facevo anche l’aiuto, oltre a dire due battute. E poi c’era anche gente non dell’Accademia: Orazio aveva un fiuto straordinario, prese per esempio un giovane che si chiamava Enrico Maria Salerno. «Le prove di Orazio si svolgevano dalle 10 del mattino all’1, dalle 2 alle 8, dalle 9 a mezzanotte. Io avevo una ragazza, un’attrice, una futura attrice. Quando arrivammo, ci divisero, i ragazzi li misero nel convento dei francescani, le ragazze nel convento delle clarisse. Non potevamo più vederci. Eravamo in due in queste condizioni: io e il mio fraterno amico Luigi Vannucchi. Io ero piuttosto contrariato di questa separazione. Un giorno me ne lamentavo con un’attrice. E lei mi fa: "Che scemo. La chiave ce l’ho io, la sera accompagnaci tu nel convento delle clarisse, io per salutarti ti do la mano e te la passo di nascosto". Le cose cominciarono a cambiare. Le ragazze si organizzarono, cominciarono a dormire due, tre in una stanza in maniera che in una stanza ci fossi io con la mia ragazza e in un’altra stanza, in una cella, Gigi Vannucchi con la sua. Così andammo avanti per una quindicina di giorni con una conseguente, ma lieta, per noi ragazzi di quell’età, riduzione dei già ridotti tempi di dormita. Alle 4 del mattino io zompavo dalla finestra bassa e me ne tornavo nel convento dei francescani. Sebbene avessimo poco più di vent’anni, la stanchezza tuttavia cresceva. «Così una mattina non mi svegliai e la madre superiora mi scoprì a letto con la fidanzata. Ricordo benissimo: mi svegliò il tonfo di lei che, svegliata a sua volta dall’ingresso improvviso della suora, per lo spavento era caduta per terra. Io feci quel che potevo, raccolsi tutto impacciato le mie cose e mi gettai dalla finestra. Ma oramai ero stato identificato. «Fu uno scandalo mostruoso, mi venne comunicato il ritiro della borsa di studio: modo indiretto di cacciarmi dall’Accademia. E mi trovai d’improvviso in una situazione difficile, nel senso che non avevo più i soldi per mantenermi a Roma. Allora una gentile signora di Agrigento, il cui marito era un importante uomo politico della dc, che mi voleva un bene dell’anima, questa signora, saputa la storia, prese e scrisse una bellissima lettera a Giulio Andreotti, sottosegretario allora alla presidenza e quindi con competenza sullo spettacolo. Non passarono manco quindici giorni e Giulio Andreotti rispose con una lettera che conservo nella quale mi dice: "Caro Camilleri, certo che io l’aiuterò nel limite del possibile, ma sappia che lei fa il regista, che ogni regista ha il suo aiuto regista, ma insomma in qualche modo mi occuperò della sua faccenda". Infatti dopo circa una ventina di giorni mi telefonarono dalla Minerva Film che aveva due grandi produttori: Mosco e Potios. Erano due greci che garantivano i soldi che le banche davano loro con una collezione di pitture moderne italiane favolose: tu ti incantavi, Morandi, Carrà, De Chirico. Mi diedero da leggere le sceneggiature: "Quelle che ti interessano segnalacele". E mi pagarono con cinque stecche di sigarette di contrabbando alla settimana». 

Unica paga. 
«Unica paga, cinque stecche». 

Che tu rivendevi. 
«Che io rivendevo, che altro potevo fare? Fumarmele tutte? La cosa andò avanti per un po’ di tempo. Poi lo stesso Andreotti mi mandò un’altra lettera in cui diceva che dovevo andare da Turi Vasile, un altro produttore, che forse mi avrebbe preso nella produzione di un film. Andai, il film era "Processo alla città" di Zampa. Tutto il mio compito fu quello di andare a comprare le sigarette a Zampa». 

Ti eri in qualche modo specializzato in questa banca delle sigarette. Le vendevi e le compravi, le vendevi di contrabbando e le compravi al monopolio. 
«Sì, ma andavo avanti stentatamente. L’anno dopo, Sandro d’Amico, che si era ricordato di me, mi chiamò all’Enciclopedia dello Spettacolo perché nel frattempo ci eravamo conosciuti, aveva visto che io sapevo parecchie cose di teatro. Mi assunse come redattore dell’Enciclopedia e io nel giro di un anno diventai redattore stabile per il teatro francese e italiano contemporaneo. L’Enciclopedia mi ha consentito di sposarmi e di fare un sacco di altre cose». 


 
Corriere della sera 16.06.2000 

CAMILLERI La politica del mio Montalbano 
colloquio tra MARCELLO SORGI e ANDREA CAMILLERI

E' in uscita da Sellerio «La testa ci fa dire», dialogo del direttore della «Stampa» Marcello Sorgi con Andrea Camilleri (pagg. 159, lire 15.000). Ne anticipiamo un brano. C' è un aspetto che colpisce di alcuni tuoi personaggi che simboleggiano lo Stato. Quando sono buoni, validi intendo, lo sono personalmente. Quando la loro identificazione con lo Stato è più forte, in genere sono esempi negativi. È un aspetto più evidente nei tuoi romanzi storici, ambientati soprattutto nella Sicilia dei Viceré. Ma si percepisce anche in Montalbano . Già. Per esempio quando arriva il funzionario dei servizi segreti e dice a Montalbano: siamo tutti e due servitori dello Stato. Montalbano gli risponde: il fatto è che noi serviamo due Stati diversi. È così: vedi, tu hai citato De Roberto. Ed in effetti noi abbiamo sempre avuto dei Viceré: che fossero prefetti o questori, poco importa. Avevano sempre le funzioni di viceré. Ora, appunto, come ci è stato spiegato magistralmente da Sonnino e Franchetti nella loro inchiesta sul Mezzogiorno, la Sicilia è sempre stata un luogo di punizione. Quindi la gente che veniva mandata giù era gente punita, che veniva a scontare una sorta di esilio. Difficile che fossero puniti per fatti ideologici: in genere, se lo erano, erano gente che aveva abusato del proprio potere. Ora, dal momento che è difficile, se non impossibile, mandar via un funzionario corrotto, è naturale che un corrotto generi corruzione. E quando arriva in un territorio corrotto, diventa come il cacio sui maccheroni. Ma il territorio corrotto per definizione è la Sicilia? Guarda, se tu leggi le prime dieci pagine del taccuino di Franchetti, date le condizioni di partenza, vien fuori che noi siciliani avremmo dovuto essere tutti dei Totò Riina. Se non lo siamo diventati, è perché abbiamo radici di onestà molto forti. Così anch'io, quando mi trovo a raccontare uno scenario di grande corruzione, se vai a guardar bene, su cinque funzionari corrotti, ne inserisco due siciliani, uno milanese e due piemontesi. Nei romanzi storici, ho descritto alcuni aspetti del popolo dell'Unità d'Italia ricavati dallo studio dei documenti dell'epoca. E bada, non per ridiscutere un processo storico, che a mio giudizio era obbligato: semmai per metterne in luce le contraddizioni, o gli aspetti paradossali. C'è un libro fondamentale, scritto da Molfese e pubblicato da Laterza, sul brigantaggio al Sud, da cui emerge che i briganti censiti all'epoca dell'Unità ammontavano a quarantamila: è abbastanza chiaro che rispetto alla popolazione dell'epoca un dato come questo è enorme, sproporzionato, assurdo. Se erano quarantamila, non erano briganti, ma un'altra cosa. Qualcosa che assomiglia di più a una sollevazione popolare, che non a brigantaggio di massa. E questo ragionamento che hai fatto sul secolo scorso lo trasferiresti tale e quale ai giorni nostri, all'Italia e alla Sicilia di oggi, allo Stato e alla mafia di oggi? Capisco che la tua domanda è insidiosa, ma sono tentato di risponderti di sì. Sì, lo trasferirei tale e quale. Se devo risponderti ricavando la risposta dai miei libri, dai miei personaggi, da Montalbano, non posso che ripeterti: sì. Prendi il processo Andreotti. È chiaro che a un certo punto si è arrivati a un sistema di rapporti tra politica e mafia. C'erano già dal dopoguerra, tra il separatismo siciliano, verrebbe da dire la parte più ridicola del separatismo, e i mafiosi di allora. C'era perfino qualcuno che s'avventurava a valutare la forza elettorale della mafia: duecentoventimila voti, calcolati chissà come. Ma ammesso che il calcolo sia stato giusto, alla fine del separatismo, questi voti dove saranno andati a finire? Si può pensare che siano andati dispersi? Certamente no. E non è azzardato immaginare che si siano trasferiti, via via, sui rappresentanti locali dei partiti di governo, e principalmente sulla dc, come l'assassinio di Lima a un certo punto s'è incaricato di dimostrare. Ricavare da questo le accuse che sono state poste alla base del processo Andreotti, formulare l'ipotesi che tutta l'Italia fosse stata governata dal capo della mafia, m'è parso, fin dall'inizio, poco convincente. Ci ho trovato lo stesso limite del ragionamento storico sul brigantaggio. Con in più il rischio, poi naturalmente verificatosi, di fare di Andreotti, con la sentenza, un santo o un martire, senza poter più discutere neppure le sfumature di una storia politica piena di ombre e durata oltre mezzo secolo. Ma non c'è contraddizione tra l'ammirazione, che tu mi hai manifestato, per Caselli, e questo tuo scetticismo sul processo Andreotti e su quel modo di fare la lotta alla mafia? No, non c'è. Te lo spiego subito. Mi sarei aspettato che tu, sicilianamente, mi dicessi che non hai alcun timore a contraddirti. C'è anche questo. Ma vedi, io non ho alcun bisogno di credere che i giudici siano infallibili per stimarli. Non li demonizzo e cerco di non idolatrarli. Poi, basta guardare un po' Montalbano, per accorgersi che a me piace la vicenda singola, l'obiettivo limitato, il perimetro circoscritto. Di Caselli ho ammirato, l'ho detto subito, la sua decisione controcorrente di andare in Sicilia, a Palermo, in una procura molto esposta, dopo le stragi di Falcone e Borsellino. Ti immagini quanta gente si sarà chiesta: chi glielo fa fare a Caselli? Ecco, mentre tanti si chiedevano chi glielo faceva fare a Caselli, lui ha preso ed è andato in Sicilia. 

Lo scorso febbraio in un'intervista a Magazine Literaire, Andrea Camilleri lamentava che il pubblico non si interessa al discorso politico dei suoi libri pur divorandoli senza requie (due milioni e mezzo di copie in circa due anni). E faceva un esempio: La mossa del cavallo( Rizzoli, 1999), ambientato nell'Italia postunitaria, e' stato un tentativo di esplicitare le relazioni tra la politica, la mafia e i cittadini onesti. Ma i critici non avevano afferrato l'intenzione politica del romanzo pur apprezzandolo sul piano letterario. Ora Camilleri ritorna a citare La mossa del cavallo come intreccio tra mafia e politica nell'Ottocento, insieme a Il birraio di Preston e La concessione del telefono (Sellerio). Li definisce romanzi civili rispondendo a Marcello Sorgi, siciliano come lui, che dirige La stampa dal 1995 ad ha appena pubblicato da Sellerio un dialogo con Andrea Camilleri. Senza le costrizioni dell'intervista, il discorso spazia lungo la biografia e l'universo creativo dello scrittore, 75 anni, con le divagazioni proprie della conversazione, talora sfiorando la genesi dei personaggi, il rapporto mai del tutto risolto con la femmina, vizi e virtu' della sicilitudine. Ma Sorgi incalza Camilleri sul terreno politico-civile, ineludibile per un siciliano consapevole del contesto in cui si colloca le sue invenzioni: e quando Sorgi sposta il discorso sul terreno dell'impegno, tocca un nervo scoperto, Camilleri rifiuta la qualifica di giallista nell'accezione di Scalfari, che considera i gialli un gioco enigmistico: e reagisce a una certa idea dell'impegno come lo intendeva Sartre, l'impegno organico, lo srittore organico. Insomma uno scrittore, specialmente siciliano, si deve scontrare per forza con la relata'; e le trame poliziesche possono contribuire alla conoscenza di quella realta', dai recessi piu' ambigui ai nessi piu' oscuri. Altro che sciarade. Insomma fra le ombre sfuggenti e tragiche dell'isola, la scrittura leggera di Camilleri si muove piou' agilmente di chi guardi quella realta' fuorviato dal paraocchi ideologico. Camilleri, con una vecchia storia comunista ormai alle spalle (non si puo restare attaccati ad un'idea quando e' stata sconfitta), e' capace di grandi indignazioni ma e' piu' portato ai distinguo che agli anatemi. Per esempio nel brano riportato sopra affronta il caso Andreotti: lo scrottore giudica probabile che nel dopoguerra i voti della mafia si siano trasferti sulla Dc come dimostra il caso Lima, ma ricavare da questo le accuse che sono state poste alla base del processo Andreotti, formulare che tutta l'Italia fosse governata dal capo dalla Mafia, gli e' parso fin dall'inizio poco convencente (Montalbano predilige l'obbiettivo limitato, non i grandi teoremi); ma subito dopo, in tutta serenita', Camilleri elogia Caselli e il coraggio del pool di Palermo. L'antico militante dell'impegno sarebbe capace di questi distinguo>? 

Cesare Medail 


 
Giornale di Sicilia 12.06.2000 

Sito per i fans di Camilleri. 
Col ricettario di Montalbano 

In un momento in cui nella classifica dei libri piu' venduti nel nostro paese ce ne sono cinque su dieci di Andrea Camilleri, visitate il suo fan club e' un dovere piu' che un obbligo! 

Il sito e' assolutamente completo, Si va dalla sua biografia all'elenco completo dei romanzi, dai film in cui c'e' il suo zampino (non dimentichiamoci di Camilleri come splendido sceneggiatore del Maigret televisivo di Gino Cervi, e del tenente Sheridan con Ubaldo Lay), all'oroscopo completo con vari riferimenti al suo lavoro. Una divertente sezione e' dedicata al gioco: un trvial a risposte multiple vi consentira' di saggiare la vostra conoscenza del mondo di Camilleri. Ma se navigandop vi e' venuta fame allora non potete perdervi la succulenta sezione culinaria, che vi guidera' fra i segreti della cucina siciliana, con le citazioni, pagina per pagina, di tutti i piatti di cui Montalbano ha vantato la bonta' nei suoi racconti, e, soprattutto, con le ricette ottimamente descritte. Il fan club ha poi il suo statuto, visionabile, per chi voglia iscriversi, con una mailing-list per ricevere gli aggiornamenti sulle novita' librarie o su convegni e giornate di studio a tema. Chiude il sito un dizionario siciliano-italiano. 

Geraldina Piazza 


 
la Repubblica - Venerdì, 9 giugno 2000 - pagina 59
di SILVIA FUMAROLA

A Bologna Antonio Tibaldi gira il film dal giallo di Carlo Lucarelli, storia di un serial killer
QUEL LUPO MANNARO DALL' ARIA COSÌ PERBENE

Nel cast Bruno Armando, Gigio Alberti, Maya Sansa, Dionisi

BOLOGNA - Il lupo mannaro porta giacca e cravatta, è ancorato alla sua ventiquattrore di cuoio, circola su un auto blu. Un ingegnere potente e insospettabile, Velasco, con un' anima nera. Il commissario Romeo non ha dubbi: è un serial killer. Ma le sensazioni non valgono come prove e le poche prove vengono invalidate, l' indagine non viene autorizzata, e in questo giallo - in cui sappiamo dall' inizio chi è l' assassino - la partita a scacchi si gioca tra commissario e killer, un uomo abile, intelligente, pronto a spiazzare l' avversario. Nel cuore di Bologna, a Piazza Santo Stefano, il regista Antonio Tibaldi gira Lupo mannaro dal libro di Carlo Lucarelli, che firma la sceneggiatura con Laura Paolucci. A vederli vicini, il tenace commissario Romeo (Gigio Alberti) con gli occhi spiritati e il manager (Bruno Armando), che si libera dallo stress facendo fuori tossicodipendenti e prostitute, sembrano avere tutti e due qualche problema. "Devo ancora conoscere qualcuno che non ne abbia..." scherza Alberti "Il commissario mi è piaciuto perché non sta bene, si sente in disaccordo col mondo. E ha un problema enorme da risolvere: dimostrare che Velasco è colpevole". Ad aiutarlo nelle indagini, la giovane assistente Grazia Negro (Maya Sansa) vestita come Lara Croft, con mini militare, giubbotto e stivaletti, l' ispettore della scientifica Rago (Stefano Dionisi) e il criminologo Del Gatto (Francesco Carnelutti). "Girando il film" racconta la Sansa "mi sono fatta un' idea diversa sulla polizia. In effetti li ho sempre visti come una specie di sorveglianti, invece sono persone che fanno un grande lavoro. Grazia è sola, s' invaghisce di Romeo: mi piace perché è determinata". Bruno Armando è Velasco: "Mi muovo nella città come il padrone, so che la polizia sa, ma ho le conoscenze giuste: e so benissimo che - seguendo le regole - non potrò mai essere preso". "Il romanzo noir è sempre di critica sociale" spiega Carlo Lucarelli "cerca di mettere in evidenza quello che non va. In lupo mannaro, per esempio, c' è un poliziotto che non può arrestare un assassino. Rispetto al romanzo - del ' 93 - c' è una maggiore analisi psicologica dei personaggi, e se lo dovessi ripubblicare lo integrerei con quello che è stato aggiunto nella sceneggiatura". Il film, prodotto da Domenico Procacci (Radiofreccia, Come te nessuno mai, Le mani forti) per Mediatrade, potrebbe uscire nelle sale o andare in onda in tv. "Non lo sappiamo ancora" spiega Roberto Pace, direttore generale di Mediatrade "dipenderà dalla distribuzione. La nostra strategia fino al 2002 è di avere almeno dieci buone sceneggiature l' anno, poi decidere cosa fare. Se il cinema italiano non ci offre storie, le realizziamo: questo film segna l' inizio della collaborazione con Procacci". Il mondo di Lucarelli, 39 anni, che da ottobre tornerà su RaiTre con Blu notte, programma in cui ricostruisce con sapienza delitti efferati mettendo al centro del racconto la vittima, è fatto di orrore nascosto dietro l' apparente tranquillità. Lucarelli è nato a Parma, abita a Mordano, in provincia di Bologna - zona in cui ambienta i romanzi - il suo modello è Giorgio Scerbanenco. A differenza delle storie cupissime che scrive, è simpatico, coltiva l' ironia. E' figlio di un grande ematologo, primario a Pesaro (il cui reparto è al centro di un' inchiesta per un' epidemia letale di epatite), il fratello è biologo ed è a lui che si rivolge per avere conferme quando nei suoi libri decide di scrivere "di insetti che immagazzinano la luce e possono liberarla molte ore dopo", o di "gabbiani che uccidono di notte. Mi piaceva molto l' idea, ma mi è stato spiegato, i gabbiani di notte non volano". Ha una schiera di giovani lettori che amano le atmosfere estreme, lo stile pulp dei suoi libri: un caso letterario scoperto dal cinema. Alex Infascelli ha girato Almost blue, Antonio Aleotti sta scrivendo la sceneggiatura da L' isola dell' angelo caduto, e sono stati acquisiti anche i diritti del ciclo del commissario De Luca, con cui Lucarelli esordì all' inizio degli anni ' 90: Carta bianca, L' estate torbida e Via delle oche. "Il successo di Camilleri ha fatto da apripista per il giallo in Italia" dice lo scritttore, "e ora l' editoria punta su autori giovani sperando di trovare un nuovo Montalbano. Ma in fondo anche Camilleri è giovane, perchè è arrivato al successo tardi, come un qualsiasi esordiente. A me piace molto: in Internet si discute dell' interpretazione di Luca Zingaretti, perchè ognuno si è creato il proprio Montalbano... Ma l' unico che avrebbe potuto impersonarlo è proprio Camilleri". Racconta che da quando i gialli hanno trovato nuovi lettori, "tutti cercano di scrivere noir, ma è molto difficile: mi sono capitati manoscritti con storie d' amore, che dopo due anni venivano rispediti, identici, ma con un morto dentro. Esattamente quello che non si deve fare". Ora sta ultimando Un giorno dopo l' altro, in uscita a ottobre: "E' il seguito di Almost blue, con la stessa struttura, la caccia ad un killer che attrae le proprie vittime attraverso Internet. Il titolo è tratto da una canzone di Luigi Tenco, come l' altro lo era di Chet Baker, i brani più tristi che abbia mai sentito". Tra un killer e l' altro, confessa che gli piacerebbe scrivere "un romanzo d' amore e condurre in tv un programma dal titolo Matrimoni felici con un mucchio di figli. Ma mi sa che faccio prima a trovare delitti truculenti".


 
la Repubblica - Venerdì, 9 giugno 2000 - pagina 56
Le novità della classifica
GRISHAM IN VETTA ENTRA "VELA BIANCA"

Poche le novità di questa settimana. Con "I Confratelli", John Grisham rimane in vetta, dopo aver spodestato Andrea Camilleri. Lo scrittore siciliano è seguito da Sveva Casati Modignani ("Vaniglia e cioccolato"), Sandor Marai ("La recita di Bolzano") e Michael Crichton ("Timeline"). A seguire: il fortunato "Registro di classe" dello sfortunato Sandro Onofri e un classico per ragazzi, quel "Piccolo principe" di De Saint-Exupéry, un long seller sempre presente nelle sottoclassifiche. Per il resto, l' unica novità si rintraccia nell' ultima posizione: "Vela bianca" di Sergio Bambaren racconta l' avventura di una coppia nei mari del Sud. Ricordiamo che la classifica dei libri è stata realizzata dall' Istituto Cirm esplorando sessanta librerie a rotazione, tra cui alcune del Gruppo Librerie Informatizzate Libris. La settimana di rilevazione va 31 maggio al 6 giugno.


 
la Repubblica - Venerdì, 9 giugno 2000 - pagina 56
di MASSIMO NOVELLI

ON LINE I PRINCIPALI "EVENTI" DELLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO UN ARCHIVIO AUDIOVISIVO

Nasce l' archivio audiovisivo della Fiera del Libro di Torino. Grazie alle riprese in formato digitale effettuate dalle troupe di RaiSat all' ultima edizione della manifestazione del Lingotto, sono ora a disposizione su Internet i filmati dei principali eventi di Librolandia 2000, in particolare quelli dedicati ai temi del meticciato culturale e delle nuove tecnologie. Si tratta di oltre dodici ore di copertura in video per ciascuna delle cinque giornate. è un ricco cartellone che comprende, tra l' altro, la prolusione di George Steiner e gli incontri con Andrea Camilleri, Fred D' Aguiar, Luca Cavalli Sforza, Eric J. Hobsbawm, Derek Walcott, Ben Okri, Daniel Pennac, ma anche le interviste in esclusiva a scrittori come Miguel Barnet, Mayra Montero, Antonio Olinto, Daniel Picouly, dibattiti sulla letteratura e sul futuro dell' editoria (con il direttore generale della Mondadori, Gian Arturo Ferrari), fino al laboratorio di poesia di Ermanno Krumm e a quello sul fumetto. "è un servizio che nessun' altra manifestazione analoga in Europa può vantare, fiere di Francoforte e di Parigi comprese", spiegano alla Fondazione pubblica per il libro, la musica e le attività culturali. "è un' occasione per chi alla fiera c' è stato e vuole portarsi a casa un' emozione. Ed è un' opportunità, inoltre, per chi non c' è stato o non è riuscito a vedere tutto, e la fiera vuole vedersela comodamente dal proprio personal computer". I filmati si possono vedere accedendo al sito RaiSatZoom (www.raisatzoom.com) oppure alla homepage della fiera (www.fieralibro.it), che ha avuto finora 32 mila visitatori e circa 180 mila pagine sfogliate. "La fiera - concludono alla Fondazione - inaugura così un vero e proprio archivio multimediale di considerevole valore culturale, documentario e didattico, destinato ad accrescersi ad ogni edizione".


 
Nel quadro delle manifestazioni per i Campionati Europei di Calcio, giovedi' 15/06/2000 alle 17:45, ad Amsterdam, verra` presentata la traduzione in olandese del "Ladro di merendine". La presentazione si terra' alla Amstelkerk, Amstelveld nr 10. I relatori sono:
*Marc Leijendekker (corrispondentedel NCR Handelsblad in italia)
*Prof. Vincenzo Lo Cascio dell'universita' di Amsterdam 
*Prof. Costantino Maeder dell'universita' Cattolica di Lovanio 
*Patty Krone e Yond Boeke (traduttrici del libro) 


©diario della settimana

I compagni detective

Addio Holmes, Wolfe & C. Poliziotti e investigatori di carta sono oggi uomini di sinistra, più pronti al dialogo che all'azione. Disillusi e malinconici, con un passato di illusioni rivoluzionarie

di Sergio Pent






Si potrebbe cominciare valutando la direzione dei colpi esplosi verso il cattivo di turno: cuore, fronte, fegato, braccia e gambe. Un alternarsi di istintive rivendicazioni «sparate» in abiti legalmente riconosciuti, allo scopo di ripulire strade e quartieri dal virus della malavita. E poi, a missione compiuta, meglio un sano riposo familiare tuttocompreso  o una nottata di follie a letti alterni, con risveglio imbastardito dagli eccessi? E come la mettiamo con il relax – più o meno ansiogeno – del boccone tritato tra un indizio e l'altro? L'hamburger planetario è di sinistra o è un lento veleno creato in laboratorio dalla destra estremistica? Whisky e vodka ingollati a garganella hanno valenza politica simbolica o mirano a scalfire l'integrità di una destra fisicamente individuata nel fegato, salvo dilagare nell'intero arco parlamentare del corpo? E che direzione prenderanno letture, hobby, vacanze e quant'altro? 
Se Spillane galvanizza i suoi eroi nell'accoppiata alcol-donne, Camilleri cincischia con ruspanti trattorie e fedeltà pseudo-coniugali, ma resta il fatto che l'immagine popolare dell'investigatore – di ogni latitudine etnica o politica – è sempre di solitudine eremitica incomprensibile ai vicini di vita: affetti, dolore e morte accomunano i personaggi a un'unica scelta di rotta che non sembra contemplare deviazioni, né a destra né a sinistra. L'ago della bilancia – ideale punto di democratici incontri di gruppo – vorremmo fosse rappresentato dalla smorfia di solenne indifferenza di Philip Marlowe: chi più di lui raffigura l'indipendenza superiore – vagamente menefreghista – del cittadino estraneo a comizi, spettri del comunismo staliniano e proclami di purezza razziale delle destre naziste? L'eroe di Chandler cerca strade prive di compromessi, accontentandosi di una quotidiana offerta di sopravvivenza: se nella destra regge un cucchiaio colmo, dalla sinistra si levano le volute di fumo dell'immancabile droga di Stato. Arrivano dai due lati i compagni di viaggio di Marlowe: sanno che è un gioco e accettano di giocarlo. Magari con il rischio di venir equivocati per una frase sbagliata, un colpo di troppo o un letto clandestino, anche perché la carne è debole e non ha colori politici.
Una destra machista e formalmente deprivata da motivazioni intellettuali ha il suo rampollo più classico nel tostissimo Mike Hammer di Mickey Spillane. La sua integrità virile si coniuga perfettamente con i dettami di un'eventuale destra storica: nessuna pietà per chi sgarra, a costo di stragi – 38 morti per mano sua, se non ricordiamo male, nei primi sei romanzi da protagonista – una volontà totalitaria di imporre il proprio credo. Il tutto in nome dell'ordine costituito, ma con valenze integraliste piuttosto settarie: il male è un'entità confusa che va combattuta con ostinazione; niente dibattiti, l'unica parola lecita viene sputata dalle armi da fuoco. A poco giovano le licenze in rosa del personaggio: anche i nazisti godevano di sontuosi festini privati tra una pulizia della razza e l'altra.

LONTANO DAL MONDO. Se Hammer rappresenta la manovalanza «spazzina» di una destra – speriamo – ormai archiviata, non si può prescindere da prototipi classicissimi che del loro snobistico individualismo hanno fatto un'arma di difesa dal contatto col popolino, eleggendosi a sani conservatori di un destino elitario e anche un tantino razzista. Racchiusi nelle loro torri investigative – la casa d'arenaria di Nero Wolfe, le comodità borghesi di Sherlock Holmes, la grettezza un po' bigotta un po' fascista di Miss Marple – alcuni dei più famosi investigatori si muovono in ambienti privilegiati ed esclusivi, in cui tutto ciò che rientra nel loro raggio d'azione è rappresentato dal fondale dell'indagine, con relativi burattini da manovrare. Nella perfetta superiorità mentale di questi personaggi-simbolo della detection, possiamo ritrovare gli schemi assolutisti di una certa borghesia che non avrà mai nulla da spartire coi moti di piazza degli studenti o i cortei degli operai in mobilità. Se la body-guard Hammer allontanerebbe a suon di cazzotti le folle schiamazzanti dal suo datore di lavoro Gianfranco Fini, i borghesotti del trio Wolfe-Holmes-Marple potrebbero veleggiare quietamente rifocillati e a loro agio sulla nave elettorale di Berlusconi.
Questi vecchi eroi appartengono a un'epoca in cui la dimensione popolare li escludeva a priori da un imbarbarimento dei contatti sociali: una loro eventuale superiorità intellettuale gratifica le folle, ma in quella elitaria capacità di «servire il popolo» con l'arma dell'arguzia risiede tutta una linea di valori poco altruisti, come accade ora in politica, quando in nome di una fantomatica giustizia etica e sociale si pianificano i propri interessi. Se da quelle parti transitasse il buon Maigret si sentirebbe a disagio, lui abituato alla cucina semplice della moglie, alla passeggiata per le vie del quartiere, alla Parigi ordinata e sommessa delle sue indagini: ma forse è solo una dimensione meno eclatante della sua appartenenza politica. Una sorta di piccola odissea borghese in grigio, con scarse motivazioni libertarie o rivoluzionarie nonostante il quotidiano contatto con i malesseri sociali. Consapevole dei valori da difendere, Jules Maigret rimarrebbe perplesso di fronte ai cambiamenti epocali che portano in casa linguaggi multietnici, e opterebbe per una destra federalista, ma senza confessarlo neppure a se stesso.
L'arco parlamentare di destra è piuttosto affollato di eroi – perlopiù solitari e violenti, fuori dal sistema ma decisi a riportarlo nei ranghi della più ferrea legalità – per cui forse l'idea di un ordine costituito passa attraverso una presa di posizione conservatrice, se non sotterraneamente xenofoba. Anche al cinema, dal solitario giustiziere della notte di Charles Bronson al granitico Callaghan di Clint Eastwood, la violenza totalitaria assume connotazioni poco popolari, nonostante intenti di «bonifica» sociale dei personaggi in questione. Il luogo comune è quello di riconoscere in una simbolica destra senza partito tutto ciò che agisce come macchina bellica priva di connotazioni democratiche: l'ordine va riportato con la forza, non con il dialogo. Se a questi prototipi del noir più violento aggiungiamo la licenza di uccidere di James Bond ci ritroviamo nei paraggi dell'illegalità costituita pronta a salvaguardare le apparenze senza badare a forma e correttezza. L'idea popolare di giustizia ed eroismo si riconosce più in questi archetipi dell'invincibilità come salvaguardia da tutti i mali sociali: una specie di fai da te dell'ordine pubblico in mancanza di una legge dalla voce forte. Quasi sempre – soprattutto nei film – la polizia rimedia figure barbine nei confronti dell'eroe, messo comunque astutamente in buona luce dalla truculenta cattiveria dei malviventi di turno.

GROVIGLI DI MEMORIA. In questo le truppe di sinistra, nella loro spesso monotona vocazione introspettiva, dovrebbero rappresentare i peones dell'azione investigativa. Si muovono lenti, e della loro lentezza – unita a profonde considerazioni esistenzial-filosofiche – fanno un proclama assoluto: il mondo non cambia anche se si risolve con successo un'indagine difficile e pericolosa. Il valore intrinseco dell'esistenza si gioca sulle sensazioni minime di un'accomunante malinconia che cerca nella sostanza intima degli accadimenti le sue scarne certezze. Dal sole tiepido di Marsiglia dove tracannava pastis il defunto ex-commissario Fabio Montale del compianto Jean-Claude Izzo alla Barcellona aggrovigliata di memorie e di luci di Pepe Carvalho, fino ai tristi tropici guevaristi di Paco Taibo II, l'intellighenzia investigativa di sinistra si apre al confronto con le perenni ingiustizie perpetrate dall'apparato sociale e politico. Se la destra vigorosa degli Hammer e dei Tiger Man di Spillane combatte contro un sistema accomunabile a un fantasma politico mangiabambini ormai a dieta, la sinistra individualista degli eroi di questi autori si muove su fondali altalenanti tra pubblico e privato, mafia internazionale o caccia al serial killer di turno, memorie di un passato doloroso – spesso eversivo – che torna a galla e confronto con sempre nuove e inattaccabili leve del potere. Che rimane l'unico nemico comune tanto degli Hammer quanto dei Carvalho. Se i primi se ne vanno sbattendo la porta, i secondi tornano con la pazienza di Giobbe al loro salotto del pianto e divagano sul senso della vita, fino al prossimo caso.
Ovviamente i classici del genere rientrano in più precise catalogazioni omogenee: dal calderone latinoamericano è assai facile estrapolare rivoluzionari di passaggio che nella loro ricerca di giustizia infondono il carattere primario di un'appartenenza ideologica: Héctor Belascoarán, il detective di Taibo II nato dalla noia di una quotidianità lavorativa per salvare l'umanità inquinata di Città del Messico, è uno dei tanti prototipi di orfani d'un comunismo che della propria ideologia aveva fatto cibo per il futuro di non poche generazioni. Nella sua scanzonata rappresentazione di uno dei tanti reduci del Sessantotto – perché poi soprattutto da lì, o dall'inferno del Vietnam giungono molti archetipi di una possibile sinistra investigativa – Paco Taibo ha materializzato le vicissitudini politiche e intellettuali di quanti vanno trovando il senso d'appartenenza a un'ideologia in disarmo, che per anni era stato il solo simbolo di rinascita sociale. C'è chi continua a credere in un riscatto, ma dal proprio esilio alcolico o naturale, come il magnifico Montale di Izzo, che dai tavolini in ombra della solare Marsiglia recupera memorie e affetti scavando in un passato in cui libertà e rivoluzione erano termini intercambiabili, colorati di rosso acceso.

GENTE TORMENTATA. Senza giungere ad affermare che certe appartenenze di sinistra amano piangersi addosso, è indubbiamente più tormentato il rapporto esistenziale dei detective d'area ex comunista rispetto alla fredda – o solo logica – indifferenza con cui i loro colleghi di destra rimettono in ordine le pedine senza troppi rovelli. Lo stesso Salvo Montalbano, tormentato rampollo di un Sessantotto ancora da realizzare, nella sua comodosa e ben nutrita ricerca di colpe altrui guarderebbe di storto le barche dei D'Alema e le auto blu dei vari ministrucoli – un tempo di vedute extraparlamentari – ripulite dai pomodori da loro stessi lanciati. Ma forse è proprio cambiato il mondo, e in questa dimensione di valori e di aree politiche intercambiabili, trovare un cattivo come capro espiatorio può risultare soltanto un gioco dettato dall'occasione.
In quale orizzonte parlamentare potrebbero mai riconoscersi le schiere di ex illusi tornati a casa con fobie e rattoppi dalle guerre nelle risaie vietnamite, senza più trovare un concreto punto di riferimento? La sinistra è forse più che mai il partito della nostalgia, ma in un anelito di giustizia individuale si riconoscono ancora vecchie illusioni ideologiche, motivate ormai solo dalle spinte positive del cuore, perché credere, soffrire e – spesso – sacrificarsi per la «causa» è una parte essenziale e irrinunciabile della vita. Le schiere compatte degli Hieronymus Bosch – Connelly – degli Elvis Cole – Crais – dei Matt Scudder – Block – dei C.W. Sughrue – Crumley – dei Dave Robicheaux – Burke – dei Lew Archer – Mac Donald – agiscono in base a un riflusso che li identifica come eterni perdenti in una società indaffarata a crescere intorno a se stessa e ai propri affari. «Chi fa il mio mestiere ha bisogno di una saldezza morale che io non pretendo più di possedere...» confessa Sughrue dal basso delle sue disgrazie quotidiane. Ma in queste confessioni, e nel perenne bisogno di credere che ogni gesto del passato abbia avuto dignitosa ragion d'essere, si trova il fulcro di un'appartenenza ideologica che solo un sano anelito popolare può accettare nei suoi cortei di protesta. C'è anche chi di certa sinistra farebbe volentieri a meno, come l'ispettore Rostnikov di Stuart Kaminsky, o la Kamenskaja della Marinina, ma sono i casi limite di universi politici in disarmo o in ri-evoluzione, e forse non saprebbero da che parte schierarsi in un ideale parlamento di casa nostra: potrebbero cominciare con l'agitare un rametto d'ulivo in groppa a un quieto asinello, tanto per prendere le misure della nostra miscellanea politica. 
In tempi di ansiose vocazioni europeiste, i ruoli un po' si confondono, non c'è nostalgia che tenga – né a destra né a sinistra – anche se certe ambizioni tuttocompreso dei nostri governanti starebbero larghe addosso all'individualismo fuori campo di molti dei nostri più cari eroi. Esiste anche – e sempre più diffuso – il partito del non-voto: una forma di umana e civile protesta, o il senso di una mancata appartenenza, in attesa di tempi e climi più definiti. E qui ci stanno bene quasi tutti, Marlowe in testa, assai poco convinto dai profili titubanti dei politici di ogni repubblica seguito dai suoi numerosi nipotini elettivi: lo Spenser di Parker come il Senzanome di Pronzini, l'Aurelio Zen di Dibdin come il Déveure di Basset-Chercot, per non parlare degli «immigrati» di lusso come l'indiano Joe Leaphorne di Hillerman o il nero Easy Rawlins di Mosley, che un vero senso d'appartenenza lo trovano nella loro dimensione etica e/o etnica, senza troppi minimalismi partitici provinciali.
In questo senso il detective nostrano galleggia nell'inadeguatezza di tempi provvisori: spesso gioca ai margini, si autoesclude da facili teoremi d'appartenenza politica, riflette un'immagine che – nella sua incolore anatomia – lascia spazio soprattutto alla delusione delle promesse mancate. Creature di confine, dalle quali gli autori fanno partire possibili dibattiti di autoanalisi sociale, ma pur sempre mosche bianche – o pecore nere – nel sofferto rapporto con un contesto in cui la mediazione investigativa tra buoni e cattivi si gioca sul filo di un disagio difficile da catalogare in un'area politica. Gli estremi del discorso possono trovar spazio nei profili antitetici del Duca Lamberti di Scerbanenco o nel Marco Buratti – l'Alligatore – di Massimo Carlotto: un medico radiato dall'ordine per pratica d'eutanasia – e siamo negli anni Sessanta! – e un reduce metà ideologo metà canaglia come l'Alligatore, rappresentano un segno di protesta isolata nei confronti di ogni tipo d'istituzione. I mondi di Lamberti e di Buratti mostrano un panorama scuro e minaccioso: le ingiustizie non hanno colori definiti, e il male incombe sia dall'alto delle autorità politiche ed economiche che dai bassifondi delle nuove ondate malavitose d'importazione. Se la giustizia, a conti fatti, diventa un attimo di opinabili vendette private a cui tutti aderiscono come si può aderire al partito del male minore, allora diventa anche impossibile gestire tutti i cani sciolti della detection: in un mondo in cui un certo tipo di giustizia risulta comodo a tutti – dai milanesi che ammazzano il sabato ai massacratori di delinquenze mafiose o dell'est – la matrice politica vira comunque verso un isolamento sociale generalizzato, causa ed effetto di se stesso. Se poi vogliamo considerare l'ipotesi di partenza dei personaggi come una scelta di schieramento degli autori, allora è lecito definire le appartenenze in un'area di simboliche eversioni – da destra a sinistra, con numerosi punti di riconoscimento – in cui la legalità deve poter agire oltre l'ordine costituito per ritrovare una sua dimensione, forse caratterialmente «barbarica» ma disgiunta comunque dalle frequenti «amnesie» della giustizia burocratica che dimentica in carcere gli innocenti e rimette in libertà stragisti impuniti.
Gli stessi prototipi di una eventuale appartenenza politica dichiarata – i commissari De Vincenzi del lontano Augusto De Angelis e il De Luca del recentissimo Lucarelli – sono di per sé eroi solitari che agiscono di riflusso in un contesto al quale dovrebbero legalmente sottostare operando per una più o meno giusta causa comune. La superiore anarchia intellettuale di De Vincenzi e la dignitosa parabola di mestierante del caso di De Luca – simbolicamente riscattato dalle colpe fasciste nell'ultima sua avventura, Via delle oche – simboleggiano comunque una inadeguatezza di fondo del momento politico in cui agiscono. La legalità è pur sempre qualcosa di indefinito, che si muove sul confine di relazioni politiche più di convenienza che non di convinzione: e in questo possiamo ritrovare gran parte dei detective nostrani, dal remoto e «inquadrato» De Vincenzi, appunto, al ribelle per scelta – e per necessità legate anche alle mazzate politiche – dell'Alligatore, passando per la quieta provincialità ricca soprattutto di rimembranze libertarie e populistiche del solito Salvo Montalbano. Se più esplicite sono le matrici della sinistra più o meno riconosciuta – da Camilleri a Macchiavelli, da Carlotto a Santo Piazzese – occorre precisare che molti detective operanti in ambienti, epoche e situazioni di stampo più conservatore, quando non di destra, trovano una loro ragion d'essere nell'individualismo un po' esasperato che in parte li redime e in parte giustifica la loro adesione a un ordine costituito, a uno Stato che, comunque, chiude un occhio e riconosce in essi la divisa della legalità. Così per il De Luca di Lucarelli, quindi, ma anche per il Pietro Contini di Edoardo Angelino o il commissario Sartori di Franco Enna. 

CATALOGO DIFFICILE. Una chiara e riconoscibile posizione politica è dunque difficile da catalogare, anche riferendoci agli eroi in utilitaria di casa nostra. Siamo soprattutto debitori di prototipi e situazioni, e se anche l'ambiente e i personaggi offrono il fianco a seriose o satiriche prese di posizione, il modo di agire dei vari investigatori si rivela generalmente eversivo o anarchico nei confronti di ogni autorità costituita. Gli ideali, come quasi sempre accade nella vita, appartengono al tempo delle mele o dei primi ingenui cortei anti qualcosa. E comunque, questi difensori della giustizia dal passo strascicato o dal cazzotto facile, in tempi di pacificazione giubilare, potremmo raccoglierli tutti a capo chino in piazza San Pietro a recitare il mea culpa per le troppe vittime – più o meno lecite – delle loro faticose attività. Terreno neutrale di riconciliazione anche politica, colombe in volo: benedice Padre Brown.
 
 

 Veri resistenti
di Paco Ignacio Taibo II

Quando nel 1990 trovandomi con molti altri scrittori per la fondazione dell'Aiep, associazione che riunisce gli autori di polizieschi di tutto il mondo, mi ero divertito a fare un'inchiesta. Domandavo a tutti: «Dov'eri  e cosa facevi nel '68?». E così, citando alla rinfusa, mi ricordo che l'americano Roger Simon era nel Movimento dei diritti civili degli Stati Uniti, Jerome Charyn stava occupando l'università di Columbia a New York, il francese Jean-Patrick Manchette occupava invece la Sorbona, Manuel Vázquez Montalbán era chiuso nella chiesa di Montjuich protestando contro Franco, Juan Madrid nello sciopero dell'università  di Madrid, io nel movimento studentesco messicano. E potrei andare avanti a lungo. In pratica era riunita tutta una generazione di scrittori che usciti dalle esperienze dei movimenti degli anni Sessanta, quando decise di mettersi a scrivere, scelse il poliziesco perché era il prolungamento naturale di quella maniera di discutere, di raccontare un delitto che molto spesso era di Stato. In un certo senso era anche quello che Leonardo Sciascia faceva già da anni in Italia. E questa generazione ha rinnovato il poliziesco, il giallo che si scrive ancora adesso. Per fare altri nomi gli americani Martin Cruz-Smith, Ross Thomas, Andrew Bergman, Marc Behm, James Crumley, Kinky Friedman, lo scozzese William McIllvanney, il francese Jean-Claude Izzo, l'inglese Derek Raymond, il brasiliano Rubem Fonseca, lo spagnolo Andreu Martin, l'italiana Laura Grimaldi, l'uruguayano Daniel Chavarría, l'argentino Rolo Díez, e, per citare qualcuno più giovane, Carlo Lucarelli o lo scozzese Ian Rankin. E molti molti altri. Era logico che questa generazione producesse una letteratura ipercritica, sociologica, piena di humour nero, diagonale nel senso che tagliava la società dal castello ai quartieri più miserabili. Lo stesso fenomeno che stava accadendo nel fumetto e che si era prodotto nei decenni precedenti nella fantascienza americana che era stata la grande riserva di pensiero critico e di utopia. Perché una generazione di scrittori sensibili socialmente si era mossa verso questi sottogeneri? Credo soprattutto perché al tempo stesso in cui facevamo una proposta politica ne stavamo facendo anche una culturale: la ribellione superando le divisioni e le differenze dei sottogeneri. 
Da qui, dal superamento di questi confini nasce un detective di sinistra, più sensibile e contro il sistema. Un vero resistente.

 
 
da La Repubblica del 02.06.2000 

Film & Mafia 

Alberto Sironi a ottobre girera' l'episodio numero cinque del suo Commissario Montalbano: stavolta tocca alla storia tratta dall'ultimo giallo di Camilleri, La gita a Tindari



la Repubblica - Venerdì, 2 giugno 2000 - pagina 54
Le novità della classifica
JOHN GRISHAM SPODESTA CAMILLERI

Dopo quattordici settimane, John Grisham spodesta Andrea Camilleri. Lo scrittore siciliano perde il primato così a lungo conservato con La gita a Tindari (pur mantenendo innumerevoli titoli tra i primi dieci nella tabella della narrativa), mentre balza in vetta il nuovo romanzo dell' americano, I Confratelli. Altra novità rilevante, l' ingresso nella top ten di un classico per ragazzi, quel Piccolo principe di Antoine De Saint-Exupéry che per un lungo perido è rimasto nelle sottoclassifiche. Per il resto, non si registrano grandi scosoni. Scivola di un gradino il libretto di Sveva Casati Modigliani, mentre è in ascesa il nuovo romanzo di Marcella Serrano. Ricordiamo che la classifica dei libri è stata realizzata dall' Istituto Cirm esplorando sessanta librerie a rotazione, tra cui alcune del Gruppo Librerie Informatizzate Libris. La settimana di rilevazione va dal 24 al 30 maggio.



da Sette magazine del Corriere della Sera del 01.06.2000 

Camilleri disse: 
sei tu Montalbano? 

Occhi azzurri e penetranti, capelli moderatamente lunghi, baffi fluenti, eleganza naturale di modi e di abbigliamento: ecco il vero commissario Montalbano, cosi' come lo vede il suo creatore. E' Giuseppe Marci, 52 anni giovanile, cagliaritano, sposato, un figlio ordinario di Letteratura italiana nella facolta' di Lettere all'Universita' di Cagliari, Andrea Camilleri lo racconta spesso: il professore mi aveva invitato a partecipare a una seminario su "Letteratura italiana e apporti dialettali" ed era venuto ad accogliermi all'aeroporto portando con se', per farsi riconoscere, una copia del mio libro "Il birraio di Preston". Quando l'ho incontrato non ho avuto dubbi: quel signore affabile e simpatico corrispondeva perfettamente al mio personaggio. Giuseppe Marci lo sa e ci ride sopra. Camilleri e' una persona meravigliosa, con lui ho passato tre giornate indimenticabili, ricorda con piacere. Gli studenti sono rimasti affascinati. Il suo parlare e' delizioso e mai ripetitivo, il suo pensiero sempre lucido. Ideologicamente appartine a quella sinistra illuminata di un tempo, che credeva fermamente nei valori umani. Gentiluomo nell'animo. e' coltissimo ma non ne fa mai sfoggio. Per questo piace e piacciono i personaggi che crea. E cosi' da scrittore "di nicchia" qual era e' diventato il piu' letto fra i contemporanei. Studioso e scittore, il professore Marci ha invitato ai suoi seminari anche il cantautore Francesco Guccini e il poeta Franco Loi, per mettere in risalto le influenze sulla lingua italiana, oltre che del sicilinao, del padano e del lombardo. 

Gino Zasso 


 
da La Repubblica del 01.06.2000 

Zingaretti: il mio sogno? Lavorare con Scorsese 
  BELGRADO - Luca Zingaretti è il primo ad ammetterlo: "Dopo Montalbano la mia vita è cambiata, ha subìto un' accelerazione folle". Che è sucesso? "Mi offrono di tutto, e so che ora non devo sbagliare. Dopo questo film, mi aspetta Texas con Roy Scheider. Forse andremo in Ohio per le riprese".  Cosa le è piaciuto del personaggio del commissario del "Furto del tesoro"? "Il fatto che sia una persona perbene coinvolta in un caso più grande di lui, costretta a vivere una doppia vita. La vittima sacrificale perfetta. Il copione era bellissimo". Per Montalbano c'erano le pagine di Camilleri, quest' uomo invece è realmente vissuto. "Ho chiesto a Marotta di farmi vedere le foto del padre, ma non ho voluto sapere di più. Mi piace lavorare sui personaggi, costruire". Lei ha iniziato col teatro, l' ha scoperta il cinema, la consacrazione è arrivata con la tv. "Ho avuto una carriera strana è vero, mi sono iscritto all'Accedemia, sognavo il cinema. Poi hon continuato in teatro: io dico sempre che alla fine, chi è bravo viene fuori, riesce a dimostrarlo. Solo, ci mette più tempo. Sono arrivato al sucesso relativamente tardi, ma va bene così: vado sul set con la gioia di lavorare, questo mestiere non rovinerà i miei rapporti umani". Oggi che ha più potere contrattuale, cosa vorrebbe fare? "Una commedia. Credo di avere i tempi comici, in Montalbano l'ironia veniva fuori. Al cinema mi hanno sempre fatto fare il cattivo... Invece mi diverte far ridere. Il sogno della mia vita è lavorare con Martin Scorsese. Un genio: per lui farei qualsiasi ruolo". Che pensa quando si dice che "in Italia non ci sono attori"? "Che non è vero, basta cercarli. Io non so come lavorano all'estero, so che sui nostri set ci sono attori di talento, gli artigiani più bravi del mondo, ma guardiamo sempre quello che fanno gli altri". (s.f.) 



la Repubblica - Giovedì, 1 giugno 2000 - pagina 47
A BELGRADO SI GIRA LA FICTION PER RAIUNO CHE RIPROPONE INSIEME REGISTA E PROTAGONISTA DEL "COMMISSARIO MONTALBANO"

BELGRADO - E' la nuova coppia della fiction italiana, quella formata dal regista Alberto Sironi e da Luca Zingaretti. Un regista che ha lavorato al Piccolo Teatro, e ha firmato il Coppi televisivo, che si gode il successo a sessant' anni e un attore teatrale di talento, "cattivo" per il cinema, che è diventato popolarissimo con le avventure del commissario Montalbano. Insieme hanno vinto la scommessa: portare su RaiDue con successo i gialli di Andrea Camilleri. E continuano a lavorare insieme: a Belgrado stanno girando Il furto del tesoro di San Pietro, un giallo tratto da una storia vera, quella del padre dello sceneggiatore Franco Marotta - che con la moglie Laura Toscano firma la sceneggiatura -, Guglielmo, integerrimo commissario di polizia, antifascista, chiamato, nel 1925, nell' Anno Santo, da Forlì a Roma per risolvere un furto annunciato: quello ai danni del Vaticano. Un capro espiatorio perfetto: se riuscirà nell' impresa, saranno gli altri a prendersi il merito, se fallirà, sarà la vittima ideale a cui dare la colpa. Nuovi abiti, nuova vita, si infiltra tra i malviventi per passare da ricettatore. Zingaretti è vestito come un gentiluomo dell' epoca, pantaloni a vita alta pesanti con le bretelle, la camicia bianca con lo sparato. Sironi ha scelto i suoi attori a teatro: Francesco Cordella, Umberto Bellissimo, Gigio Morra, Giacinto Ferro, Domenico Gennaro. Le interpreti femminili sono la bruna Bianca Maria D' Amato nel ruolo di Maria, la moglie di Marotta, e Lulù (Meret Becker), la sua amante. Prodotto da Adriano Ariè, il film andrà in onda su RaiUno in autunno.


 
 

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