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LAMERICA DI GIANNI AMELIO: UN CAPOLAVORO


Lamerica è stato definito il migliore film italiano che abbia raggiunto gli USA negli ultimi anni dal critico della rivista Newsweek David Ansen. Dopo la mia recente esperienza visiva in una delle sale cinematografiche di New York, debbo concordare con tale giudizio, aggiungendo che Lamerica è un film magnifico che riprende il discorso neorealistico nello spirito degli anni novanta. Questo lo fa senza cadere in falsi sentimentalismi, dipanando la trama con una lentezza iniziale forzatamente irritante che viene ben presto rimpiazzata da un ritmo frenetico inesorabile mozzafiato. É una tecnica reminescente dei film gialli o di quelli politici ad alta tensione, quali Missing o The Killing Fields. A differenza di questi, però, l’angoscia che pervade l’opera non è dovuta al terrore o al caos creato da una improvvisa orgia del potere, ma bensì dalla completa ed inequivocabile assenza di qualsiasi struttura, sociale economica o politica.

L’Albania che il giovane Gino, interpretato con maestria dall’attore Enrico Lo Verso, crede facile preda per i propri loschi affari, si rivela invece indomabile e primitiva. I piani di sfruttamento sfumano dopo pochi giorni, trascinando il protagonista in una lunga, angosciante odissea, alla fine della quale vi è l’agognato ritorno in Italia.

A differenza degli altri film italiani di questi ultimi anni che sono stati proiettati qui negli USA con molto successo, quali Mediterraneo o Il Postino, non vi sono immagini sfumate o situazioni romantiche. Il rapporto che si instaura fra Gino e l’ottantenne Spiro è inizialmente basato sul bisogno reciproco e sull’inganno, ma diventa poco a poco d’amicizia. L’ambiente nel quale questa amicizia trova le proprie radici è brutale e non perdona errori, quindi in un certo senso li forza a diventare commilitoni onde sopravvivere. Non bisogna con questo pensare che non vi siano momenti di tenerezza, ma nell’interpretazione dei due protagonisti non vi è alcunché di melenso o di retorico. La realtà, nuda e cruda, t’investe in tutto il film, lasciando poco spazio a divagazioni filosofiche.

Armato di tagli fotografici eccezionali, Amelio ritiene un tono poetico che lo riporta ad una visione Ungarettiana della vita. Le immagini, scarne vivide immediate, si distinguono da quelle di nostri altri grandi registi nel loro irrevocabile realismo, pur utilizzando come essi principalmente attori non professionisti. Non troviamo difatti personaggi contorti o messaggi tanto complessi da essere quasi indecifrabili, come nei film di Pasolini o situazioni ripetutamente personali come in quelli di Fellini, ma un chiaro messaggio che non ha interpretazioni recondite.

In una recente intervista pubblicata sulla rivista New York Italia (N.1, 1996), Gianni Amelio difatti dice: Mi aspetto dal pubblico in generale delle reazioni. Io il film l’ho fatto per gli italiani. Ritengo che oggi ci sia una memoria corta, una certa crisi della memoria. Penso che gli italiani d’America anche di seconda generazione, ricordini forse meglio da dove vengono... L’Italia ha dato agli albanesi, attraverso la televisione,, un’immagine di sé traditrice e maligna. I miei familiari mi dicevano di pensare all’America del nord come ad una madre che accogliendoti ti avrebbe ricompensato degli sforzi... L’America nel bene e nel male dà questo senso di libertà, è la terra dove tutti i miracoli sono possibili. Forse in nessun’altra parte del mondo ciò è possibile. Ho titolato il film Lamerica, riducendo tutto ad una parola sola che può essere: sogno, utopia, comunque speranza..

Un’opera d’arte, quindi, questo nuovo film di Amelio, che riesce a captare la completa dissoluzione della società albanese senza eccedere in riprese documentaristiche, costruendo su questo sfondo una storia credibile che non può non toccare le più intime note della nostra anima.

L'Idea: periodico
degli Italiani d'America.
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