COME GLI AMERICANI HANNO SABOTATO LA MISSIONE DELL'OSCE

di Ulisse

Le strane vicende dei verificatori internazionali che avrebbero dovuto vegliare sull'aplicazione dell'accordo Holbrooke-Milosevic in Kosovo. Americani e britannici hanno usato l'Osce a sostegn dell'Uck, emarginando italiani, francesi e tedeschi.




Gli osservatori britannici in Kosovo sono rientrati a casa a fine marzo. ma la missione, guidata dall'ambasciatore americano William G. Walker e nata in seguito agli accordi Hoolbroke- Milosevic dell'ottobre scorso, fatica a dichiarare il proprio fallimento e a chiudere i battenti. Subito dopo l'inizio dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia, la Russia ha ritirato i suoi, un centinaio di persone, dalla missione. In Macedonia, sul lago di Ohrid, culla della cultura slava, si consuma l'agonia della Kosovo Verification Mission. Dei 1400 verificatori internazionali, affluiti tra la fine di novembre e la metà di marzo in Kosovo restano 250 persone. I militari, che hanno costituito più del 70% di una missione sedicente "civile", se vorranno, torneranno in uniforme come soldati della Nato. Gli italiani che restano sono una dozzina, tra questi due soli civili. Ciò per salvare le apparenze

Sarà difficile trovare nella storia delle missioni internazionali un'impresa altrettanto caotica e tragicamente ambigua. A sentire qualche verificatore rientrato, addirittura una vergogna. Sulla coscienza di tutti pesa il senso d'impotenza e di colpa per un'evacuazione in blocco, senza possibilità di scelte alternative volontarie, che ha lasciato strada libera ai bombardamenti e ancor peggio alle ritorsioni violente, ai regolamenti di conti tra bande. La rapidità con la quale, nel novembre scorso a Pristina, si è installata tecnicamente la missione in termini di attrezzature (un pò meno in termini di personale) e logistica è stata inversamente proporzionale alla lentezza con la quale si è voluto procedere rispetto agli arrivi dei verificatori, alla strategia da seguire - in termini politici e di immagine - e all'operatività dei dipartimenti. La mancanza di una immediata campagna di informazione su ragione ed obiettivi della missione ha contribuito a diffondere - forse volutamente - la convinzione tra la popolazione locale ( ci sono anche dei serbi in Kosovo per chi l'avesse arbitrariamente dimenticato, n. d. r. ) che la missione appoggiasse in particolare la componente kosovara albanese, fortissima anche all'interno del personale impiegato localmente. L'equazione Osce=USA, a scapito degli europei e in generale delle altre 53 nazioni che fanno parte dell'organizzazione, è stata facilitata dall'atteggiamento dell'ambasciatore Walker che per tutto il tempo si è ostinato a viaggiare su una vettura dell'Osce contrassegnata dalla bandiera americana.

Al vertice Walker è stato affiancato da sei vice, uno per paese del Gruppo di Contatto, più la Norvegia che ha la presidenza di turno dell'Osce e che ha generosamente finanziato la missione stessa: una ventina di miliardi usciti dalla porta principale e rientrati, in termini di contratti, dalla porta di servizio. A parte il rappresentante norvegese (il generale in pensione Bjorn Nygaard ) e quello russo (il diplomatico Vladimir Ivanoskij ), tutti gli altri hanno cognomi che depistano rispetto alla nazione di provenienza: il vice inglese, a capo delle operazioni, è Karol Drewienkiewicz, detto John; quello tedesco, a capo del settore democratizzazione, elezioni e diritti umani, è Bernd Borchardt, pronunciato alla francese; il vice diretto di Walker, e quello che gli darà più da penare, è il francese Gabriel Keller (già chargé d'affaires all'ambasciata di Belgrado). Il vicecapomissione italiano è Giovanni Kessler, magistrato altoatesino al quale si affida il dipartimento spettante all'Italia, ovvero polizia ed affari giudiziari. Kessler, dopo una breve apparizione a Pristina, prenderà servizio ufficialmente (ma con status italiano non chiarito) soltanto intorno alla metà di febbraio, con un ritardo di quattro mesi rispetto agli altri. In teoria, dovrebbe fungere da punto di riferimento soprattutto per quella dozzina di civili (il 10 % del contingente italiano) inviati quasi allo sbaraglio dal ministero degli esteri.

Il carattere fondamentalmente militare dell'organizzazione si avvertirà nella stessa struttura gerarchica interna: tre su sei vicapomissione provengono dai ranghi militari, lo stesso vale per la maggioranza dei posti-chiave, come quelli di capo settore. Col procedere della missione, il conflitto di approccio, la spaccatura tra militari e civili si farà sempre più forte. Intanto il controllo sulle informazioni è da subito in mano agli anglo-americani, che si avvantaggiano della presenza dei rispettivi Kdom, le missioni nazionali di osservazione diplomatica inviate nell'agosto 1998 a seguito degli accordi Eltsin-Milosevic e così ripartiti: Usa a Kosovo Polje, vicino Pristina, Francia a Mitrovica, Canada a Pec, Gran Bretagna a Prizren, Russia a Gnjilane e Unione Europea tra Pristina e Pec. L'Italia, alla quale inizialmente sembrava dover essere destinato un Kdom a Pec, resta esclusa. L'attività di tali missioni diplomatiche, soprattutto di quelle americane e inglesi che coltivano rapporti privilegiati con le fazioni dell'Uck, è assai ambigua: anche dopo l'avvio della missione di verifica, queste continuano a portare avanti le cosidette shadow operations (in particolare gli inglesi), ovvero operazioni segrete di copertura della attività della guerriglia kosovara, raccogliendo rapporti e inviandone copie rigorosamente "epurate" alla missione di verifica dell'Osce. I russi vengono quasi subito esclusi dal settore d'intelligence del quartier generale e riescono a mantenere una sola presenza nel settore operazioni. La circolazione delle informazioni, anche quelle meno delicate, resta pessima e appare sempre più chiaramente la volontà di emarginare alcuni gruppi nazionali.

Ogni paese membro dell'organizzazione d'altronde, in barba ai princìpi degli organismi internazionali, sembra portare avanti un'agguerrita politica di interessi nazionali, perseguiti nella più completa mancanza di coordinamento. Si individua una netta contrapposizione tra la posizione anglo-americana e quella franco-tedesca, (i tedeschi arrivati su posizioni simili a quelle americane, cambiano idea non appena si rendono conto della situazione sul terreno) con l'Italia che tira un colpo al cerchio ed uno alla botte, ma si riconosce fondamentalmente nella posizione di Bonn e Parigi, e la Russia che prosegue sul suo solito binario politico (un binario morto)

L'ufficio diritti umani , al contrario di molti altri, riesce a diventare operativo in breve tempo e a raccogliere informazioni importanti. A detta di alcuni verificatori, si tratterà di un'operazione di intelligence camuffata e condotta perlopiù da verificatori con passato di poliziotti, che scalzeranno i civili. Alcuni verificatori italiani operanti nel settore, nel distruggere documenti importanti prima della fuga, sostengono di essersi imbattuti in rapporti redatti da funzionari americani e da personale locale albanese riguardanti perlopiù italiani, russi e olandesi, tacciati di filoserbismo per aver riportato casi di violazione dei diritti umani da parte di albanesi e membri dell'Uck. Questi stessi verificatori avrebbero ricevuto in seguito minacce di morte da un capo dell'Uck. Il che dimostra quanto fosse pilotata la divulgazione di notizie riservate.

Per il resto si prende tempo. Il capomissione e i vertici non brillano per decisionismo. Tutta la macchina del personale resta piuttosto abbandonata a se stessa e la gestione del personale assume forme autarchiche. Rimpiazzi, spostamenti e promozioni vengono decisi in modo assolutamente indipendente dal quartiere generale dell'Osce a Vienna. Colpisce nella missione la carenza di leadership e di management. Il principio di selezione del personale resta un mistero: soffre di un forte nepotismo, di carattere privato e appartenenza nazionale. La moglie di un vicecapomissione, di professione biologa, viene inserita nel dipartimento della ricostruzione: forse perchè si dichiara "biologa dello sviluppo"...raramente il collocamento sul terreno di verificatori viene fatto in base alla loro professionalità e preparazione. Contano di più nazionalità ed agganci personali. Può accadere così che ai nuovi arrivati non venga dato alcun incarico preciso per settimane e che vaghino alla disperata ricerca di un ufficio, di una sedia o di un computer: secondo il principio (applicato solo per taluni) "chi ultimo arriva male alloggia". L'orario di lavoro, in barba a qualunque diritto sindacale, è di 54 ore settimanali. Il personale civile italiano è pagato dall'Osce 95 dollari al giorno e riceve dal ministero degli Esteri un'integrazione di circa 1000 dollari al mese. Un contratto in senso stretto non esiste, non è prevista neanche la copertura sanitaria, nè l'indennità di rischio. Nemmeno la posizione professionale all'interno delle missione è definita: dipende dal capomissione. Gli italiani si sentono emarginati e in un certo senso abbandonati. Il timore di apparire "troppo nazionalisti" (uno scrupolo tutto italico...) bloccherà al vertice, sul terreno e a Roma, qualunque tentativo di lobbying, creando infine divisione e malcontento tra il vicecapmissione italiano Kessler e la sua "truppa", come egli ama definirla.Qualcuno si sentirà addirittura rimproverare il fatto stesso di essere italiano.

La situazione sul terreno sembra critica da subito: non si capisce bene da dove si dovrebbe iniziare a lavorare. Quasi tutti i verificatori si avvantaggiano di uno strumento satellitare, il Geographic positioning system, che serve a fissare le cordinete geografiche della loro posizione sul terreno e quella di caserme, depositi di munizioni, stazioni di polizia, tutti possibili obiettivi. Un esperto rivelerà che neanche in Iraq, dove forse la necessità sarebbe stata maggiore, era stato fatto uso di simili strumenti. Con gli scontri di Natale nella zona di Podujevo, l 'Uck rompe la tregua che non ha mai firmato. La risposta serba è ferma, ma assai contenuta: essendo gli unici ad avere firmato un accordo, sono automaticamente indicati come gli unici a violarlo. La missione si ritrova con una programmazione cosidetta day by day per far fronte all'emergenza della situazione. E su questo principio di emergenza si andrà avanti fino all'evacuazione, con una sequela inenarrabile di gaffe diplomatiche e iniziative che, guardate in retrospettiva, sembrano volte tacitamente a cercare il casus belli. Ma andiamo per ordine.

A metà dicembre 36 guerriglieri albanesi, sopresi a introdurre illegalmente armi in Kosovo dall'Albania, vengono sorpresi e uccisi al confine. Nello stesso giorno, in un bar di Pec, sei ragazzi serbi, civili, muoiono uccisi in un attentato. L'opinione pubblica e le autorità serbe rimproverano a Walker e all'ambasciatore americano Holbrooke, in visita a Pristina, di aver fatto dichiarazioni che, pur esprimendo condanna, ponevano i due episodi sullo stesso piano.

In gennaio l'Uck lancia diverse offensive che gettano in crisi la difendibilità della linea filoalbanese degli angloamericani. Ciò avviene mentre il capomissione è a Washington, tra la fine dell'anno e la prima metà del mese. All'inizio del mese, l'Uck sequestra otto soldati dell'esercito serbo e chiede, in cambio della loro liberazione, il rilascio di combattenti kosovari catturati qualche settimana prima al confine albanese. Un atto eclatante che apre un caso politico: i vicecapomissione votano all'unanimità la diffusione di una dichiarazione di condanna dell'Uck in contrasto con la volontà di Walker. Si arriva dunque alla contrapposizione netta, mai così chiara, tra linea europea e linea americana. L'Agenzia Reuters riporta nello stesso giorno due dichiarazioni diametralmente opposte della stessa missione sullo stesso caso: una da Pristina a firma Keller che attribuisce ai combattenti albanesi la responsabilità dell'accaduto e dell'aumento degli scontri; l'altra da Washington a firma Walker che invece indica i serbi come principale causa della nuova tensione e della violazione della tregua. Dopo giorni di trattative tra serbi e albanesi e alcune immagini video che fanno il giro del mondo, il giorno del loro rilascio arriva. L'Uck invita la stampa ad assistere alla consegna degli ostaggi all'Osce, in località Gornje Obrinje, nel nuovo quartier generale del comandante Jakup Krasniqi. Il rilascio, previsto per la mattinata, si protrarrà fino al pomeriggio: i giornalisti serbi presenti temono per la loro incolumità quando qualche guerrigliero comincia a separarli dal gruppo e a chiedere loro la carta d'identità. Lasceranno la località per questioni di sicurezza personale, accompagnati dagli addetti stampa dell'Osce, proprio quando si era riusciti a negoziare positivamente la loro presenza. I giornalisti internazionali mostrano, meno gli italiani, notevole indifferenza: qualcuno accusa i giornalisti della Tanjug di essere spie e di raccontare fandonie. Di spie comunque in quel momento è pieno il Kosovo: non c'è da stupirsi. Il rilascio degli ostaggi non è incondizionato, come chiedono le autorità serbe e come aveva dichiarato ufficialmente l'ambasciatore Walker, ritornato da Washington soltanto il giorno prima. Sui termini dell'eventuale accordo, al di là del rilascio dei guerriglieri prigionieri che avverrà circa un mese dopo, resta un inquietante velo di mistero.

Il 15 gennaio scoppiano scontri pesantissimi tra polizia di sicurezza serba e Uck nella regione di Stimlje e a Decani. In quest'ultima località, un verificatore britannico ed il suo interprete locale vengono feriti entrambi: il colpo di uno sniper dell'Uck penetra il loro automezzo blindato, all'interno di un convoglio scortato dai Mup. La condanna da parte dell'Osce è durissima ed esce il giorno dopo, quando vengono scoperti, a Racak, i cadaveri di 45 albanesi uccisi. Un'ondata di sdegno percorre il mondo. La storia di questa violenza meriterebbe di essere trattata per esteso in altra sede. Chi scrive si limiterà a una breve ma eloquente cronaca degli eventi.

Il capomissione, il giorno stesso della scoperta, si reca sul posto e tiene al quartier generale una conferenza stampa alla quale arriva in ritardo, dopo essersi attardato al telefono con Il Dipartimento di Stato. Di fronte ai giornalisti non usa mezzi termini, definendo "un crimine contro l'umanità" l'accaduto e accusando le autorità serbe, esercito e polizia di sicurezza, di esssere gli autori del massacro. Un errore diplomatico grave, dovuto secondo alcuni a un eccesso di emotività; secondo altri attribuibile a una chiara volontà di provocazione per alzare il livello del conflitto e spingere verso un intervento. Due giorni dopo il governo serbo lo dichiara "persona non grata" e gli da 48 ore di tempo per lasciare il territorio jugoslavo. La missione è in allarme, iniziano i primi preparativi per l'evacuazione. Aleggiano nell'aria alcuni interrogativi: se andrà via, partirà tutta la missione? Verrà sostituito? da un americano o da un europeo? Grazie alla mediazione russa e francese e all'intervento del presidente di turno dell'Osce, dopo giorni di ansia, si giunge al congelamento dell'espulsione. L'équipe di medici finlandesi cui l'Unione Europea affiderà l'incarico di fare luce sulla dinamica e le responsabilità della morte dei 45 albanesi di Racak scriverà un rapporto segreto che consegnerà soltanto tre mesi dopo alla presidenza dell'Ue e del quale, in una conferenza stampa che precederà di pochi giorni i bombardamenti, verrà reso pubblico soltanto un sommario riadattato che lascerà senza risposte gran parte dei giornalisti convenuti, serbi ed albanesi, e irriterà non poco alcuni membri della missione Osce.

A febbraio, ferve la pianificazione del lavoro. Poi, con l'inizio del primo girone di colloqui a Rambouillet, torna la minaccia di evacuazione. Tra uno scontro e l'altro in campagna tra serbi ed albanesi e tra fazioni di albanesi (ma notizie tali girano poco), si acuisce il problema della sicurezza anche nella capitale, dove le bombe, finora gettate in qualche locale, perlopiù gestito da serbi, cominciano a fare i primi morti. Quanto si tratti di lotte tra bande mafiose e quanto invece di azioni politiche, non è dato sapere a causa dell'apparente mancanza di indagini o di scarsa circolazione dei risultati delle stesse. Il capo degli affari giudiziari e della polizia, il magistrato italiano, si insedia più o meno stabilmente il giorno in cui l'ennesima bomba uccide in un mercato di Pristina tre albanesi. Iniziano i pattugliamenti notturni da parte dei verificatori, la cui incolumità, essendo essi disarmati, viene messa a grave rischio in un crescendo di esposizione che sembra voler sperare nell'incidente.

A conclusione della prima fase dei negoziati di Rambouillet, preceduti da esercitazioni di evacuazione compiute di giorno e di notte con un certo allarme della popolazione locale, la preoccupazione del capomissione sembra quella di organizzare un'iniziativa di preparazione in vista della ripresa dei colloqui il 15 marzo. La proposta è quella, assai discutibile, di organizzare una manifestazione di piazza con gli albanesi per creare una forte spinta dalla base che convinca i rappresentanti dell'Uck (che farà fuori il suo rappresentante politico, Adem Demaqi) a firmare l'accordo di pace. L'idea viene accolta con scetticismo dagli altri vicecapomissione. Il rappresentante italiano tenta di deviare la proposta su un concerto per la pace, per il quale propone il nome di Anna Oxa. Ciò che segue è degno di una commedia grottesca. L'ambasciatore walker contatta un operatore culturale locale, noto er la sua inaffidabilità, che lo mette in contatto con il manager kosovaro della cantante, Selim Pacolli. Questi il fratello di un altro Pacolli, residente in Svizzera e compagno della cantante, un individuo dall'attività perlomeno ambigua, i cui traffici hanno già trovato ampio risalto nelle cronache nazionali. Un albanese kosovaro potentissimo, temuto e rispettato in tutta Pristina. Qualche collaboratore del magistrato trentino alla sua prima esperienza balcanica (nonchè internazionale di una certa durata) tenta l'avvertimento preventivo e profilattico, proponendo di affidare tutto nelle mani di un'agenzia musicale e di bilanciare il casting con altri artisti meno "schierati". ma la voglia di conoscere la Oxa è tale che l'intrepido capo del dipartimento Affari non resiste e , nel corso di uno dei suoi frequenti viaggi in patria, decide di andare a andare a conoscere personalmente il signor Pacolli: come se non bastasse, in barba all'esperienza di tre anni di Antimafia, si reca all'appuntamento con moglie e prole.

L'iniziativa fortunatamente si spegne lentamente per evidenti problemi organizzativi e di sicurezza. Intorno al 10 marzo, alcuni verificatori appena arrivati al Grand Hotel cominciano ad avvertire un clima di tensione e minaccia crescente, tanto da abbandonare lo stesso albergo, che ospita proprio in quei giorni la squadra di calcio dell'Obilic: ovvero gli uomini del famigerato Arkan. Ricevute le segnalazioni dovute al riguardo, la nostra sede diplomatica di Belgrado risponde minimizzando e sostentendo che tanto la squadra compie due volte l'anno i suoi ritiri a Pristina e che tali voci sono dovute a "forze internazionali che hanno interesse a diffonderle". Il 13 marzo l'ennesima emergenza distrae la missione dai suoi veri obiettivi a medio e lungo termine:a Mirtrovica e Podujevo scoppiano tre bombe che fanno strage di civili.

Una settimana dopo gli eventi precipitano e inizia l'esodo, vero stavolta, dei 1400 verificatori. L'evacuazione avviene, come previsto, in automobile verso Skopje. Ognuno porta con sè 15 chili di bagaglio e lascia fortune a Pristina, sperando invano di poterle poi recuperare. Al personale locale viene lasciata una settimana di paga e a mo' di saluto la frase: "Tanto torniamo tra dieci giorni". Nessuna possibilità di dissociazione o richiesta di volontari che rimangano. L'ordine di evacuazione giunge quando è ormai chiaro che la Nato bombarderà. Per molti è chiaro che non si tornerà e i più smaliziati s'ingegnano per portarsi dietr l'intero bagaglio. Il girno della partenza, ultima beffa, le vetture dell'Osce risulteranno semivuote.


A seguito della pubblicazione di tale articolo "anonimo" sul numero speciale "L'italia in guerra" la redazione di Limes è stata oggetto di una misteriosa incursione notturna durante la quale sono stati sottratti due hard disk...questi i fatti...a voi le conclusioni...


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