La lettura di questo racconto, che, peraltro, ritengo assolutamente non
offensivo, è vivamente consigliata ad un utenza di soli adulti, e, tra di essi, di quei soli che non
si ritengano facilmente scandalizzabili, o impressionabili. Grazie
Avevo sedici anni quando iniziai a lavorare; o dovrei dire lavoricchiare, lavorettare, poiché non facevo in
effetti molto, e del resto guadagnavo pochissimo. All'epoca mi trovavo in un collegio sperduto in una
località amena dell'arco prealpino. Non andavo molto d'accordo con le mie compagne di scuola, e per questo decisi
che avrei impiegato le mie ore di libera uscita, due al giorno, lavorando in
qualche bottega del paese. Era un collegio dalla disciplina rigida, e dai ferrei principi morali.
Per quanto fosse una scuola mista, le ragazze avevano orari di uscita differenti da quelli
dei ragazzi. In tal modo non si incorreva nel rischio di praticare sconcezze di varia natura. Io però,
che già manifestavo una certa propensione al divertimento non ci
stavo molto a quelle ristrettezze. Avevo trovato impiego in un bar. Il gestore era un buon uomo,
Dopo quasi un mese di noia, cominciarono a frequentare
il locale alcuni ragazzi della mia età. Ero molto timida e impacciata. Penso che i ragazzi si
fossero resi conto di questa mia debolezza, perché mi prendevano a godere (ovvero mi canzonavano
allegramente) per tutto il tempo. Avevo i capelli tinti di un biondo platino irreale, acconciati
con caschetto e frangia.
Non usavo truccarmi molto, e vestivo delle gonne piuttosto lunghe. Normalmente non mi piaceva portare sotto della
biancheria intima, e, quando potevo, ne facevo volentieri a meno. La scoperta delle mie fantasie
erotiche avveniva in quel periodo dietro al bancone, quando alzavo la gonna e guardavo, non vista, la popolazione
del locale. Poi venne la videocassetta, che girammo tra ragazze, al collegio. Credevamo
di aver girato qualche cosa di assolutamente segreto, ma quella biondina che aveva la videocamera, volle
mostrare i suoi esiti da regista al proprio ragazzo, e gli lasciò la cassetta. Il primo esito
di quel gesto incosciente furono i ricatti di tutti coloro che videro le immagini.
Le forme in cui venivano avanzate le richieste erano svariate,
ma il tema era monotono, e per lo più suonava così:"se tu mi fai questo, io non mostro quello".
Ora, a parte la povertà espositiva della richiesta, il ricatto stesso
cominciava a non avere molto senso, dato che quasi tutti avevano visto il filmato. Oggi nessuna
di noi si vergognerebbe credo di quelle immagini, ma a quell'età si ha pure un'altra testa, e le barriere dei tabù
sono un po' più sollevate. Non si trattava di questa gran rovina, in fondo; tutte eravamo più
che caste, un po' nudette al massimo, e le ragazze più divertite dal gioco erano anche le più provocanti.
Quasi nessuna cedette ai ricatti. E invece alcune fecero
montare il caso a tal punto, credendo con ciò di far bene, che dopo un po' l'intero paese si immaginava che
al collegio capitassero chissà quali avventure. Io ne ero rimasta abbastanza fuori. Mi si potevano
appena sbirciare un po' le tette, perché nel video giocavo ad aprire e chiudere l'accappatoio. Non credevo
che la storia potesse avere un seguito, e nel frattempo continuavo a lavorare al bar. Accadde un Lunedì.
Ero appena tornata dalla settimanale visita alla famiglia, ed avevo attaccato a
lavorare da qualche minuto. Giunsero al bar i ragazzi di sempre, chiusi dentro i giacconi, perché
fuori cominciava ad andare sotto zero. Sfilandosi la giacca, mi fecero impallidire.
Continuavano ad aprire e chiudere i giacconi, in coro, di fronte a me,
simulando il gesto che io facevo con l'accappatoio. Seppi in quel modo che il filmato era uscito dal
collegio. E quello, non era ancora nulla. I ragazzi, quelli meno idioti intendo, perché
gli altri erano troppo presi dal loro giochino dell'apri e chiudi, mi confidarono che
il video era diventato ora un calendario, e che i nostri compagni lo stavano piazzando in paese, a quindicimila lire la copia.
Che potevo fare? Denunciare la cosa avrebbe messo nei guai i responsabili, che in ultima
analisi erano solo dei ragazzotti goliardici. Quindi, stetti zitta. Rinunciai poi al lavoro, per
paura che qualche paesano mi potesse riconoscere in qualche mese dell'anno in corso, e cercai di recuperare
quanto più materiale potessi. Non recuperai nulla; tutti giuravano di aver buttato le foto, di non
aver mai visto il video, e cose di questo genere.
Qualche ragazza cambiò poi collegio, e qualche altra rimase.
Morale della fiaba: non c'è una sola foto che descriva la persona che viene ritratta. Una foto è comunque un furto,
il soggetto non esiste. Esistono gli occhi di chi sta a guardare, nulla più. Di una cosa però
mi rammarico. Oggi mi piacerebbe rivedermi collegiale, nuda e biondissima, con la frangia in avanti
e le tette in su. Chissà su quel calendario, in che mese stavo?