1. C'è una storia della sovranità, e il suo punto di snodo è la Rivoluzione
francese, una delle sue figure Sade.
In una lezione del Collegio di Sociologia nel 1939 Pierre Klossowski mise
in luce come all'origine del deflagrare della Rivoluzione, vi fosse la
concorrenza di due gruppi sociali, di due diverse categorie di rivendicazioni.
Da una parte c'è la grande massa degli uomini che insorge contro il re
rivendicando i diritti del Quarto Stato: suo obiettivo è l'uguaglianza dello
stato di natura, il suo modello è l'uomo naturale, che poi altro non è se non
l'idealizzazione dell'uomo banale (laddove la categoria della banalità
corrisponde a quella della misura) - cosa peraltro comprensibilissima per chi
fino a quel momento aveva vissuto in condizioni al di sotto del livello
dell'uomo banale.
Dall'altra c'è quella parte di classe dirigente, di aristocrazia in
particolare, che, grazie al proprio status di privilegiati, hanno potuto
sviluppare un grado supremo di lucidità e si attendono dalla Rivoluzione una
rifusione totale della natura dell'uomo. Non l'uguaglianza, ma la differenza.
Non un ritorno a un immaginario stato di natura, ma l'approdo all'uomo
integrale "dalla sensibilità polimorfa", che rispecchiava la natura
problematica delle loro coscienze.
Qui si arriva ad una situazione apparentemente di stallo: i privilegiati,
i libertini che sognano l'uomo integrale, sintomi della disgregazione
dell'ancien regime, non sono in grado di integrarsi, e tantomeno di porsi alla
testa, del processo di ricomposizione della nuova società. "La posizione
moralmente avanzata che occupano - dice K. - sembreranno occuparla a scapito
della massa rivoluzionaria".
Sade era tra questi, e infatti lui si fece capro espiatorio dell'epoca,
assumendo su di sé - nella sua opera e nella sua vita - tutto il male che era
implicito nella Rivoluzione. Sade, in quanto personificazione del signore,
aveva messo in crisi l'edificio gerarchico dell'ancien regime nel momento
in cui aveva messo in dubbio l'esistenza di Dio togliendo così ogni motivo al
servo di continuare ad essere servo: adesso lui veniva ad addossarsi tutto ciò
che il suo atto deicida aveva scatenato.
Al contrario, Saint-Just e Bonaparte scaricarono sul popolo ciò che lo
spirito dell'epoca aveva accumulato in loro, e per questo furono seguiti dalle
masse: come scrive ancora K., "essi stessi sapevano che il miglior indizio di
salute di un uomo, le masse lo riconoscono dalla sua risoluzione a
sacrificarle".
Si noti come il medesimo discorso valga, e in maniera ancor più chiara,
per una figura come quella di Stalin (e tutto ciò non è casuale, ché nel
discorso di Bataille sulla sovranità Stalin assume un'assoluta rilevanza). La
figura di Stalin riuniva in sé le caratteristiche del capo infallibile e del
cittadino ordinario - al quale lo accomunava la sua grigia retorica, la sua
totale remissione alla Causa, il sacrificare ad essa tutto sé stesso (ciò che
gli dava, grazie alla suprema fiducia accordatagli, la legittimità di
sacrificare anche gli altri). Stalin era l'incarnazione assoluta dello spirito
di sacrificio, del dovere ascetico dello spirito rivoluzionario bolscevico:
paradigmatico il saluto che gli rivolse il Comitato Centrale del PCUS in
occasione del suo cinquantesimo compleanno: "Al nostro Stalin che sacrifica
tutte le sue energie e tutto il suo sapere alla causa della classe
lavoratrice" . Simbolo supremo del Sacrificio, e corrispettivo del Cristo,
come testimonia questo episodio raccontato da un operaio comunista negli anni
50: "...dopo che Stalin era morto io ho appeso vicino alla macchina il
ritrattino di Stalin e un'immagine di Cristo crocifisso. Viene un giorno
l'ingegnere, e mi dice: "Senta, R., levi quelle cose". Gli rispondo: "Guardi,
innanzi tutto sono morti tutti e due; poi sono morti per la liberazione
dell'operaio…" .
Da una parte dunque il Redentore che sacrifica le masse in nome del Bene,
dell'uguaglianza, della soppressione delle differenze - e dunque della
sovranità; dall'altra il capro espiatorio che si addossa il Male, e che, pur
avendo contribuito alla disgregazione dell'antico stato di cose, viene
sacrificato - a causa della sua sovranità. (Su questo sfondo, si capisce meglio
come la figura del Cristo - che è per Nietzsche il simbolo più sublime,
nonché la figura più grande di capro espiatorio che l'umanità mai si sia data -
sia rappresentata da Buñuel, in coda al suo capolavoro L'âge d'or, tutt'una
con quella di Sade).
Dunque, l'uomo integrale è colui che non ammette sovrano sopra di sé, e
in questa costellazione rintracciamo quella figura in Sade, che non ha Santi
cui votarsi: il nemico principale è Dio, e per conseguenza il re, suo
rappresentante temporale. L'uomo integrale non può che essere un criminale,
colui che è marchiato dal crimine del regicidio. E' proprio sul regicidio che
si fonda la Repubblica, e questo crimine è Sade che lo espia.
2. Bataille parla del regicidio in un bellissimo testo del 1938, "L'obelisco" .
Scrive: "Dal patibolo di Luigi XVI all'obelisco, una composizione si forma
sulla PUBBLICA PIAZZA, cioè su quella delle diverse piazze pubbliche del
'mondo civile' che per fascino storico e aspetto monumentale prevale sulle
altre [Bataille si riferisce a Place de la Concorde, dove appunto si erge un
imperioso obelisco - "immagine egiziana dell'IMPERITURO", "raggio di sole
pietrificato" - e dove venne giustiziato Luigi XVI]. Perché non è in nessun
luogo, è LÀ che un uomo in qualche modo stregato, in qualche modo preso da
frenesia, si dà espressamente per il 'pazzo di Nietzsche', spiega con la sua
lanterna di sogno il mistero della MORTE DI DIO" .
Bataille si riferisce qui ad un brano della Gaia Scienza di Nietzsche,
laddove un folle, accesa una lanterna "alla chiara luce del mattino", corse al
mercato gridando "Cerco Dio!": e poi: "Anche gli dei si decompongono! Dio è
morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi,
gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro il mondo possedeva
fino a oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli: chi detergerà da noi
questo sangue? Con quale acqua potremo lavarci? Quali riti espiatori, quali
giochi sacri dovremo inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di
questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dei, per apparire almeno degni
di essa?" .
Si potrebbe dire che per Bataille - così come l'immanenza viene illuminata
dalla messa a morte della trascendenza - l'uomo sovrano è colui la cui figura
si staglia sullo sfondo vuoto dell'assenza del Dio morto. E' colui che ha il
sentimento tragico del sacro, che è il nucleo attorno al quale gravitano gli
individui, come granelli di polvere, in un movimento di attrazione e repulsione,
e quel nucleo è "orrore, violenza, odio, singhiozzo, crimine, disgusto, e riso
e amore tutto insieme" .
Bataille richiama i tempi tragici della Grecia antica - quella Grecia che
attirava Nietzsche -, e dice che essa fu generata dalla ferita e dal crimine:
la potenza di Cronos, il Tempo, era stata generata dalla mutilazione di suo
padre Urano, ovvero la sovranità divina del cielo; la venuta al mondo di
Dioniso ("tragico, disfatto dalla gioia", che aveva aperto "la fuga precipitosa
dei baccanali"), era dipesa dall'omicidio di sua madre da parte di suo padre.
E la tragedia stessa era una "specie di festa data al TEMPO che sparge l'orrore"
, raffigurando agli uomini, e sopra di loro, "i segni di delirio e di morte dai
quali avrebbero potuto riconoscere la loro natura vera".
Poi, era avvenuta la scissione (introdotta da Socrate e perfezionata dal
cristianesimo) tra Dio e il Tempo, laddove il Bene era Dio e il Tempo era
consegnato al Male, e gli uomini al peccato. Mentre non vi sono bene e male,
ma solo, scrive Bataille in "Su Nietzsche", solo culmine e declino : laddove il
culmine corrisponde all'eccesso, all'esuberanza delle forze, porta al massimo
d'intensità tragica, è connesso al dispendio d'energia senza misura, alla
violazione dell'integrità degli esseri; e il declino corrisponde invece ai
momenti di sfinimento, di fatica, dà il massimo valore alla preoccupazione di
conservare e arricchire l'essere" (e per questo, in altra parte del libro, B.
scrive che ogni morale è nata il giorno dopo a una festa).
La morte di Dio riapre questi spazi tragici. Gli spazi dell'eccesso, gli
spazi della "sensazione del tempo", della sua "tagliente esplosione", quando la
morte si rivela con un sentimento di leggerezza vertiginosa. Gli spazi del
sacro, e della sovranità.
Ma la sovranità si scontra con la struttura del mondo contemporaneo, del
quale "la misura e la banalità si sono lentamente impadronite" . Alla morte di
Dio, e del re, infatti, succede il dominio delle cose - chiarissimo segno, la
Dichiarazione dei diritti del 1789, che definisce sacra e inviolabile la
proprietà, laddove prima sacra e inviolabile era la persona del re. E questo
ci permette di riprendere il filo della storia. La modernità sacralizza i
rapporti personali in nome del Denaro e del mercato, uccidendo in tal modo il
sacro. Un testimone diretto di questo passaggio storico è il grande visionario
William Blake, la cui costellazione di pensiero ha non poche affinità con
quella di Bataille - sino dal punto di vista terminologico. Se per Bataille
culmine e declino sostituiscono bene e male, Blake scrive il matrimonio del
Cielo e dell'Inferno, e crede che gli opposti bene e male siano frutto della
Caduta; Bataille scrive che il culmine corrisponde all'eccesso, all'esuberanza
delle forze, Blake scrive "Esuberanza è Bellezza"; Bataille parla di un mondo
misurato nella sua banalità dagli orologi, Blake scrive "Le ore della follia
sono misurate dall'orologio; ma quelle della saggezza nessun orologio le può
misurare". E' quest'ultima immagine assolutamente efficace che ci può mostrare
visivamente come il pensiero di Blake si situi proprio nel punto di snodo della
modernità: quando, come scrive lo storico inglese Thompson, gli orologi
cominciano a scandire, a disciplinare il tempo, in seguito alle esigenze
dell'industrializzazione, ed entrano di prepotenza nella vita quotidiana degli
individui - non a caso uno dei primi atti della folla parigina durante la
Rivoluzione di Luglio del 1830 sarà quello di sparare agli orologi . Questo
ruolo di Blake nel punto di snodo della modernità è stato messo in luce dallo
stesso Thompson in un libro a lui dedicato . Lui vive da contemporaneo la
Rivoluzione francese, e va in giro per Londra con il berretto frigio in testa.
Il suo radicale giacobinismo si congiunge alla tradizione del dissenso ereticale
cristiano inglese, che aveva continuato a vivere, in maniera più o meno
sotterranea, dai tempi della repressione cromwelliana. Quello di Blake è,
visto da un punto di vista storico, un rifiuto della Bestia dell'Apocalisse,
delle ragioni del mercato, anzi della ragione tout court identificata con il
serpente (nella misura in cui questa si fa discorso dominante e fondamento
della società moderna), e alla ragione, intesa come vincolo e legaccio della
mente, contrappone il cocchio fiammeggiante dell'amore. Schematicamente, si
potrebbe dire che all'avvento di una società irrigidita dalla ragione, dalla
legge morale, dal dominio delle cose, Blake contrappone l'amore, il sacro, la
poesia in quanto sovranità dell'immaginazione. Bataille avrebbe scritto un
bellissimo saggio sul Genio Poetico di Blake nella Letteratura e il Male ).
3. Non è casuale questa profonda affinità tra questi due, vorrei dire, profeti,
questa radicale denuncia del mondo della "volgarità istruita", come scrive
Bataille (e anche a questo proposito vorrei ricordare la assoluta avversione
di Blake ad ogni sistema educativo). La modernità nasce in rivolta nei confronti
della sovranità, e alla sovranità impedisce di dispiegarsi.
Tutte le grandi rivoluzioni moderne, a cominciare da quelle inglese e
francese, si sono rivolte a un ordine feudale in decomposizione. "Non ci sono
mai state grandi rivoluzioni per abbattere un dominio borghese già affermato.
Tutte quelle che hanno rovesciato un regime sono partite da una rivolta
motivata dalla sovranità implicata nella società feudale" . Sovranità come
dispendio - depènse -, uso del prodotto in eccesso: si confronti Rabelais: il
capitan Merdaglia dice: "un veramente nobile principe non ha mai un soldo.
Tesorizzare è cosa da villano" .
Ora, ciò che il dominio borghese introduce nella storia, contro la
depènse sovrana e improduttiva, è proprio l'accumulazione. L'accumulazione,
ovvero la produzione dei mezzi di produzione, si oppone al godimento della
produzione così come ciò che è sovrano si oppone a ciò che è borghese e servile.
Anzi, ciò che è sovrano si oppone radicalmente al lavoro. Bataille nota come
il lavoro è per Hegel, in un aspetto della sua dottrina che ispirò quella di
Marx, legato all'uomo che preferì vivere da servo piuttosto che morire libero.
E scrive: "I nostri momenti sovrani, in cui niente conta salvo ciò che è lì,
ciò che è sensibile e seduce nel presente, sono opposti a quella presa in
considerazione dell'avvenire e a quei calcoli senza i quali non esisterebbe il
lavoro" .
La sovranità è ciò che è unico, è la differenza assoluta; il mondo
moderno è al contrario omogeneizzante, tende a livellare le differenze, e su
questo solco il suo compimento è stata la società comunista, che ha in questo
senso trovato il suo massimo rappresentante in Stalin, assoluto liquidatore
delle differenze, al quale Bataille dedica una parte rilevante del suo saggio
sulla Sovranità.
Altrove Bataille notava come le masse non si siano mai unite se non nel
segno dell'ostilità radicale contro il principio della sovranità. "La borghesia
le può deludere, però non distoglie a fini improduttivi una parte delle
risorse abbastanza grande da scatenare la convulsione generale" . Nella misura
in cui la società comunista destinava a fini improduttivi una parte ancor più
piccola, se non nulla, delle risorse, ecco che essa divenne il compimento
estremo della modernità, con la sottomissione assoluta al primato
dell'accumulazione in maniera rigorosamente razionale. Una razionalità che il
sistema capitalista non può vantare: Marx a questo proposito parlava di
"anarchia della produzione", nel momento in cui l'individualismo dei
produttori, che li lega alla ricerca personale del maggior profitto, impedisce
di assicurare la crescita economica con regolarità razionale. Qui però vorrei
richiamare Guy Debord, che nella Società dello Spettacolo, notava invece come
anche l'Unione Sovietica non fosse davvero razionale: poiché si era di fatto
liberata da ogni realtà storica, attraverso la manipolazione permanente del
passato, realizzando il progetto formulato da Napoleone di "dirigere
monarchicamente l'energia dei ricordi", in tal modo aveva perso anche quel
riferimento razionale che le era indispensabile, cosicchè "l'applicazione
scientifica dell'ideologia divenuta folle" produsse danni irreparabili
all'economia sovietica .
Il terreno comune delle due società, ad ogni modo, era la tecnica.
Bataille scrive: "La cultura capace di gestire validamente l'omogeneità
fondamentale, e la comprensione reciproca di coloro che la incarnano ai diversi
livelli, è la cultura tecnica. L'operaio non possiede le conoscenze
dell'ingegnere, ma il valore di queste conoscenze non gli sfugge come invece
gli sfuggono gli interessi di uno scrittore surrealista. (…). A partire da ciò,
ogni uomo può vedere in se stesso l'umanità, in quel che lo rende uguale agli
altri proprio mentre fondavamo la nostra sui valori che ci distinguevano" .
Sul valore della tecnica, di come essa contraddistingua negativamente la
modernità, e di come avvicini società borghese e società comunista, vorrei
richiamare almeno tre autori. Ernst Junger scrisse nel suo diario che il
processo di ossificazione della società contemporanea era già descritto, nel
Vecchio testamento, nel simbolo del serpente di bronzo. "Ciò che oggi è la
tecnica, era allora la legge" (ciò che tra l'altro ci illumina ulteriormente
il nesso con Blake, laddove questi opponeva l'amore, il sacro, la poesia, ai
vincoli della ragione e della legge, proprio in continuità con le tradizioni
veterotestamentarie).
Un altro autore a lui affine, Celine, nel suo pamphlet "Mea culpa",
scritto di ritorno dalla Russia nel 1936, dov'era andato a riscuotere i
diritti d'autore del Viaggio al termine della notte, gridava con rabbia come
in quel paese l'uomo fosse asservito al lavoro, fosse diventato mera appendice
della macchina produttiva, né più né meno che in Occidente.
E poi, Henry Miller. Henry Miller, il cui fottere, passando per la
superfica verso la Terra del Fotti è sublime esempio di sovranità. Henry Miller,
che dice di amare ogni cosa,e a domanda specifica, "che cosa non ti piace?",
risponde "il lavoro", e poi "ah sì, un'altra cosa… le mosche". Henry Miller
che scrive: "Il lato buffo di tutti questi sistemi di governo utopistici è che
continuano a promettere di liberare l'uomo… ma anzitutto cercano di farlo
funzionare come un orologio caricato per otto giorni. Chiedono all'individuo di
diventare schiavo per rendere possibile la libertà del genere umano. E' una
strana logica. Non dico che il sistema attuale sia migliore; in realtà, sarebbe
difficile immaginare qualcosa di peggio di quel che abbiamo adesso. Ma so che
non si miglioreranno le cose rinunciando ai piccoli diritti di cui ancora
disponiamo" .
4. Rimane da vedere se sia possibile ricavare da Bataille qualche indicazione
positiva. Credo che due punti vadano sottolineati, e sono quelli dell'acefalità
e della festa, la festa nel suo aspetto sacrale.
Scrive nel saggio sulla Sovranità: "Il sovrano, riassumendo l'esistenza
del soggetto, è colui grazie al quale e per il quale l'istante, l'istante
miracoloso, è il mare in cui si perdono i ruscelli del lavoro. Il sovrano
spende nel corso della festa, per sé e per gli altri indifferentemente, ciò che
fu accumulato col lavoro di tutti" . La festa, nella misura in cui è
riconosciuta da tutti, è per Bataille la modalità più vicina alla sovranità.
Roger Caillois, sodale di Bataille nel Collegio di Sociologia, formulò
una Teoria della festa cui Bataille dovette molto. "Dai tempi antichi fino ad
oggi - scriveva Caillois - la festa si esprime sempre con la danza, il canto,
l'agitazione, le scorpacciate, le bevute. Bisogna darci dentro fino
all'esaurimento, fino a star male. E' questa la legge della festa". E poi:
"Nelle società dette primitive… la festa dura parecchie settimane, parecchi
mesi, intramezzati da periodi di riposo di quattro o cinque giorni. Spesso ci
vogliono anni per accumulare la quantità di viveri e di ricchezze destinate
non solo a essere consumate o prodigate con ostentazione, ma anche puramente e
semplicemente distrutte e sprecate, giacché spreco e distruzione, forme
dell'eccesso, rientrano di diritto nell'essenza della festa".
L'eccesso è costitutivo della festa in quanto trasgressione
dell'interdetto, oltrapassamento dei limiti, capovolgimento delle regole: in
questo senso, la festa è rito di rinnovamento, nella misura in cui si fa
riattualizzazione dei primi tempi dell'universo - l'Urzeit -, dell'era
originaria creatrice, del tempo mitico in cui lo straordinario era la regola.
Tramite la festa gli uomini ricreano il tempo - "il tempo che sfinisce e
logora" - ricominciandolo, e lo fanno rimettendo in discussione ogni cosa, lo
fanno attraverso il caos e la confusione ("veicolo dell'amore", scrive
Bataille), in un movimento di comunicazione assoluta, in cui ogni individuo si
mette in gioco, (è solo lacerandosi reciprocamente che si comunica, scrive
Bataille in una stupenda pagina di "Su Nietzsche"). La festa dunque, in quanto
momento supremo di comunicazione (laddove il sacro è "comunicazione tra esseri,
e con ciò formazione di esseri nuovi" ), è luogo privilegiato del sacro.
Bataille crede che una comunità non abbia davanti a sé, come suo compito,
che quello di riattivare i legami sacri che la sostengano, e per converso il
sacro lo si può riattivare solo nella comunità, nella quale si mettano in
comunicazione esseri messi in gioco, chini sul proprio abisso - è solo allora
che esiste comunicazione, e dunque il sacro. C'è una breve frase di Bataille -
in una lettera nella quale annunciava il suo progetto, mai realizzato, di
scrivere un piccolo libro in merito - che ci dice quale dovrebbe essere
secondo lui il cuore del movimento d'insieme della democrazia: "la mistica del
mondo democratico non può far altro che sviluppare gli elementi fondamentali
del carnevale (laddove in Francia la nascente democrazia fa il suo esordio
proprio vietando il carnevale, tra il 1790 e il 1798, con misura di polizia)" .
La democrazia comunitaria - o comuniale - dev'essere dionisismo
antimonarchico. Contro la monocefalità fascista, laddove il principio stesso
della testa è riduzione all'unità, riduzione del mondo a Dio, vige il principio
dell' acefalità, laddove la testa che deve cadere non è solo quella del
re-padre, ma anche e soprattutto la propria: il dissolvimento del soggetto è
allora l'alternativa, ma anche il portato estremo, della politica. Il soggetto
si dissolve e si confonde con gli altri, all'interno della comunità, che è
l'unica forma possibile di riattivazione del sacro nell'epoca della sua
tendenziale scomparsa. Alla base della comunità batagliana c'è l'uomo tragico,
che mette in comune ciò che non può essere messo in comune, ovvero la morte;
c'è, come scrive Esposito , la passione-patimento della tragedia che mette in
comune le esistenze a partire da ciò che continuamente le sottrae a se stesse.
Ciò che si condivide non è una presenza, ma un'assenza d'essere, nel senso che
la mia mancanza può essere potenziata solo da una mancanza dell'altro,
dall'altro come mancanza.
C'è un'esperienza storica che Bataille cita esplicitamente, ed è quella
di Numanzia, la città spagnola assediata da Scipione i cui abitanti preferirono
darsi reciprocamente la morte piuttosto che soccombere all'assediante.
Numanzia, scrive Bataille, è la "comunità di cuore" ideale: è "l'immagine di
tutto ciò che al mondo può esigere un amore totale". Si consideri come Bataille
scrisse questo articolo nel 1937, nel pieno della lotta antifascista, quando
proprio in Spagna sembravano decidersi le sorti della democrazia. Bataille
pensava che la lotta antifascista non era davvero sufficiente a prefigurare
positivamente un mondo nuovo: "il movimento antifascista, se paragonato a
Numanzia, appare come un disordine vuoto, come una vasta decomposizione
d'uomini che non sono legati che da rifiuti". La comunità di cuore - una
comunità tragica - è dunque per Bataille la sola via d'uscita
dall'unidimensionalità della modernità , la sola possibilità di esplicazione
dell'uomo integrale, sovrano, riattivazione del sacro.