Il presente è un contributo del Prof. Giovanni Bosco Maria Cavalletti, storico di Montecalvo Irpino che gentilmente ha dato la sua disponibilità affinché il suo preziosissimo contributo venisse pubblicato. Si tratta, come potrete vedere, di un contributo di carattere storico, che vuole analizzare un aspetto importante per i Montecalvesi : la presenza di San Pompilio a Montecalvo Irpino, suo paese natio.


San Pompilio e Montecalvo

Materialmente S. Pompilio stette poco nella sua terra natale. Vi trascorse l'infanzia e la prima giovinezza ; poi, com'è noto, all'età di sedici anni lasciò il paese per Benevento ove fu accolto dai Padri Scolopi. Successivamente il suo ministero lo portò a girare l'Italia e le occasioni di ritorno furono rarissime. Ciò nonostante, egli non dimenticò mai di essere montecalvese. Quel bagaglio basilare di prinicipii, norme, devozioni, contatti umani con parenti, amici e vicini di casa, acquisito nei primi sedici anni di vita, e che la lontananza da Montecalvo gli faceva avvertire come un grande patrimonio d'affetto, quel bagaglio, lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita terrena. Montecalvesi di antica data erano sia la famiglia del padre, che quella della madre. I palazzi Pirrotti e Bozzuti, quest'ultimo era il cognome della mamma, erano nel cuore del centro storico montecalvese. Il primo era situato là dove oggi sorge la chiesa di San Pompilio, ed ancora si conservano di esso il portale in pietra che immette nel vecchio cortile, anch'esso originario, e le cantine ricavate dal grezzo tufo su cui poggiavano le fondamenta della casa. Sull'arco del portale, scolpito su pietra, è superstite lo stemma di famiglia. I Pirrotti dimoravano a Montecalvo già sul finire del Millequattrocento ed hanno sempre rappresentato una delle famiglie più autorevoli del paese. Lo stesso vale per i Bozzuti, anch'essi dimoranti a Montecalvo almeno dal Millequattrocento ed il cui palazzo era situato in fondo alla via Santa Maria. Di esso rimangono lo splendido portale in arenaria e lo stemma, in pietra bianca, della famiglia. Nella corrispondenza epistolare con i familiari è ricorrente, in San Pompilio, il richiamo agli Antenati di cui vuole rinnovare le virtù e gli onori. Honor Et Virtus in Domo Pirrotti Semper, recita uno dei motti araldici della famiglia, e per l'intera sua vita, questa massima, unita all'altra Nobiliora Altiora Petunt, ancora oggi visibili incisi sugli architravi delle porte interne al cortile dell'antica casa, rappresentarono un pungolo continuo per l'acquisizione di virtù e meriti che la sua vocazione alla santità trasportò, comunque, su un piano esclusivamente spirituale. Ecco in proposito cosa dice lo stesso San Pompilio nella lettera che scrisse al padre da Turi (Bari) il 13 marzo del 1733 : "... Io quotidianamente raccomando la casa tutta alle piaghe paterne del Crocifisso, alla Vergine Santissima, la quale si dimostra sempre protettrice singolarissima della Casa Pirrotti, e a tutti i santi miei avvocati, talmente però, che non mi dimentico mai dei nostri parenti defunti ; alli quali Iddio solo sa quanti suffragi quotidiani invio. Né certamente Vostra Signoria può dire essersi fratel Pompilio dimenticato della sua obbligazione verso la casa, e verso li parenti, imperocché Dio scrutatore dei cuori conosce quali siano i miei pensieri, qual sia il mio scopo, dopo lo scopo primario del guadagno della grazia di Dio . Iddio sì conosce che lo scopo mio santo e retto è di acquistare colle fatiche mie e vita onorata a me medesimo, e vantaggio santissimo della Casa, qualche antico onore. Ah ! Padre mio amatissimo, ben troppo distintamente tengo a memoria li suoi paterni avvisi, li quali insieme colle sue fatiche continue procurano ammaestrarmi per Dio. Ben tengo a memoria quel detto : Nobiliora Altiora petunt ; e quell'altro : Virtus et honor in domo Pirrotti semper ; Questi due detti sono due continui sproni, li quali sino all'ultimo fiato mi faranno anelare all'acquisto e di virtù e di onore...". Ed ancora, nella lettera che San Pompilio scrisse, pure al padre, da Francavilla il 13 giugno 1734 : "... chieggio a V. S. e alla Signora Madre, genuflesso ai loro piedi col cuore, quella Santa benedizione che mi renda vero religioso, vero figlio loro , vero discendente da tanti savi e santi antenati, le sembianze dei quali vive vive conservo nella memoria da quel quadro, che sta nello studio, come se tutti li tenessi davanti. E quelli versi scritti sovra le finestre dei magazeni , o come mi stimolano fortemente al bene operare, o come vantaggiosamente mi spronano a fuggire i Vizi e ad amare le Virtù...". E' lampante, da questi passi, come San Pompilio sia partito da Montecalvo con le idee già chiare sul suo futuro. Un futuro che lo ha coronato Santo ; certo, dopo una vita eroica, impervia, zeppa di ostacoli, ma che non ha ricevuto brusche impennate, o deviazioni, da quando, nel 1726, lasciò il paese. Ciò dimostra che è stato a Montecalvo che San Pompilio ha seminato, per così dire, la sua santità. Questo patrimonio di ricordi e di affetti era ben vivo in San Pompilio ed egli non disgiunse mai gli onori acquisiti dalla Casa dalle persone che li produssero. I suoi antenati, defunti nel corpo, appaiono a lui vivi nella dimensione dello spirito. Impressionante è quanto scrive in merito, al padre, il 13 giugno del 1734 : "... Vegga poi di soccorrere a tutte le anime dei nostri antenati, e specialmente all'anima del suo padre Giuseppe Pirrotti, quale, ancorché da me non conosciuto, sempre mi si presenta alla memoria con sembianza di venerando vecchioone tanto nel memento della messa, tanto nelle mie altre occupazioni e mi spinge a soffragarlo con particolari soccorsi. Faccia ancora la carità di dire alla signora Giuseppa Panari, mia zia, ed a Crescenzo Bozzuti, che suo padre Lorenzo Bozzuti, mio zio, desidera suffragi. Io procuro suffragarlo, perché mi tormenta tenacemente la fantasia in quella sembianza, appunto, nella quale lo vidi sul letto moribondo. Così è : Iddio vuole che noi non ci dimentichiamo dei nostri antenati...". E ad essi egli vi si rivolge nei momenti di difficoltà, come avviene nell'infausta occasione di una grave ferita incidentalmente occorsa al fratello Pompilio nel 1731, e per essi prega perché il Signore li accolga in Paradiso. In merito all'incidente che interessò il fratello Pompilio ecco come si esprime nella lettera che il sei agosto di quell'anno scrisse al padre da Melfi : "... La ferita di Pompilio mi trapassò il cuore da parte a parte, onde subito nella medesima mattina che ricevei l'infauista, secondo la carne, novella, faci cantare le litanie agli scolari e feci applicare ancora la loro comunione e diedi due messe alle anime dei nostri Antenati acciocché pregassero, nel modo che potessero, il Creatore per la Casa nostra e loro parenti...". Dal contenuto della stessa epistola si evince che, oltre alla feritra del fratello, altri problemi attanagliavano la sua famiglia . San Pompilio incoraggia il padre a superarli ricordandogli che "...Oramai è vicino il tempo della nostra salute, e la chiara luce di Dio ci illuminerà nell'oscura notte di questo mondo, e dopo la tempesta ci si rasserenerà il cielo...Allegramente ! Questa vita è brieve, se siamo oggi non saremo dimane. Allegramente ! Nel Paradiso voglio sforzarmi di fabbricare un Palazzone per tutti i nostri Parenti. Allegramente ! Là godremo ; qu1 solo si patisce. Perseveranza !...". Questa lettera fu scritta nel 1731, quando San Pompilio aveva appena ventun 'anni. Man mano che accresce la sua santità, egli allarga il concetto di parentela attribuendole un significato ed un valore universali "avendo", come dirà il trenta agosto del 1741, "unico desiderio che cooperare alla salute delle anime ; e Dio", dice sempre San Pompilio, "me ne ha concesso ogni talento". Egli aveva figli spirituali in tutta Italia ; nel corso della sua vita ha scritto e ricevuto migliaia di lettere. Padre Osvaldo Tosti ne ha pubblicate più di mille, ma si pensa che quelle realmente scritte siano molte di più, forse il doppio, per destinatari romagnoli, emiliani, abruzzesi, marchigiani, campani, pugliesi, ma , quasi a suggellare la sua origine ed i suoi affetti umani più cari, la prima e l'ultima, scritte rispettivamente il 15 aprile del 1726 e nel 1766, a pochi giorni dalla morte, si chiudono con l'invocazione della protezione divina su Montecalvo e con l' arrivederci in Paradiso a tutti i Montecalvesi. Sarebbe un errore ritenere che San Pompilio abbia lasciato i genitori, i fratelli, la casa tutta ed il paese con leggerezza e senza dolore. Lo fece con decisione, è vero, ma solo per seguire la sua vocazione. "... Non stimerete per mancanza alcuna", scrive ai genitori nell'occasione della fuga da casa, "la mia fuga senza vostra licenza, imperocché nell'evangelo è scritto che se il padre si ponesse sopra la soglia della porta per impedire al figlio a fuggirsene per servire Dio, può senza alcun peccato calpestarlo, e fuggire al servizio di Dio". Questo tanto per ribadire la sua irrevocabile decisione di entrare nelle Scuole Pie. Quindi chiarisce ed afferma i suoi affetti : "... ciò però rimanendo alla vostra considerazione, domando da Voi la Benedizione paterna, dalla mia madre la benedizione materna, dai miei fratelli e sorelle la benedizione fraterna, dai miei parenti, zii, ed amici, la benedizione da parte dell'Altissimo, dai miei vicini e vicine il perdono di qualche ingiuria, inimicizia, e domando poi da voi, o mio padre, dalla mia Madre, fratelli, sorelle, zii, e specialmente dal mio zio sacerdote Antonio Bozzuti, il perdono d'ogni mancanza. Lascio a tutti di casa, zii, vicini e vicine questo solo ricordo < Deum qaerite ; et nullum laedite> e per finire mi getto ai vostri beatifici piedi, e gli ritorno a domandare la santa benedizione...". E' superfluo sottolineare l'affetto di San Pompilio nei confronti dei genitori, ma appare doveroso, per chiarire l'atteggiamento del padre di fronte alla vocazione religiosa del figlio, inquadrare bene la situazione in cui si trovava allora Geronimo Pirrotti. La sua opposizione non era alla vocazione sacerdotale del giovane Domenico. Il professor Pirrotti non era affatto preoccupato che il figlio volesse diventare sacerdote, anzi di questo era felice, ma era avvilito nel vedere che il quarto figlio maschio, dopo due femmine, voleva abbandonare la casa. Nessuna opposizione, infatti, muoverà successivamente alla vocazione del figlio Carlo che, canonico in Montecalvo continuerà ad abitare la casa paterna. Quella di San Pompilio non fu, dunque, una fuga da un ambiente ostile e tanto più dovette essere dolorosa quanto più egli amava, come dice, " padre, madre, fratelli, sorelle, zii,, amici, vicini e vicine". Oltre ai genitori egli lasciò in casa la sorella Giuseppa, che allora aveva ventisette anni, la sorella Monica, che ne aveva diciotto, il fratello Carlo di nove anni, il fratello Pompilio di sette ed il fratello Michele di appena tre anni. Gli altri due fratelli erano già in convento : Francesco era chierico dei francescani riformati e in quel periodo studiava nel convento di S. Antonio in Montecalvo, Bartolomeo era in un convento domenicano, non è dato di sapere se già in quello di Montemiletto, ove sarà più tardi, e di lì a qualche anno sarebbe stato ordinato sacerdote. Oltre ad essi, San Pompilio aveva avuto altri tre fratelli. Pompilio, di cui prenderà il nome ; Giovan Battista ed un altro Carlo. Nel 1726, anno della cosiddetta "fuga", essi erano già morti. Gli ultimi due in tenera età ( Giovan Battista a quattro anni e Carlo ad otto mesi) ; il primo a diciannove anni a Montecalvo, nel palazzo Pirrotti, e non nel seminario di Benevento, come quasi tutte le biografie del Santo riportano. In memoria di questo fratello, morto nel 1719 in odore di santità e seppellito nella chiesa collegiata di Santa Maria, San Pompilio tramutò il nome di Domenico appunto in quello di Pompilio. San Pompilio soffrì la lontananza da Montecalvo, anzi, come accade solo agli innamorati della propria terra, la lontananza avvolge i ricordi in un alone più caro ed il desiderio del ritorno diventa struggente. Scrivendo al padre da Francavilla Fontana ( Brindisi) nel 1734, dice tra l'altro : "... stii allegra insieme con tutti di casa, e non si costerni un jota imperciocché se io tanto lontano sto col corpo dal Paese, mi raggiro però col pensiero ogni momento intorno alle muraglie della casa paterna e baciandole coll'affetto, ringrazio Dio e prego per i trapassati, e prego per i viventi ". Ed ancora, il 23 agosto dello stesso anno : "... Né mi dimentico della casa e dei parenti nostri, tanto vivi, quanto morti. Nessuno dei miei penserà tanto a me, quanto io penso a ciascuno di loro quotidianamente e li raccomando a Dio", ma ancora più toccante è un'espressione che aveva rivolto al padre nella lettera scritta da Turi il 13 marzo del 1733 : "...La prego a scusarmi se ho scritto alla carlona, mentre la fretta e la malinconia hanno così permesso", anche se poco dopo, quasi pentito di questo slancio che tradiva un attaccamento a suo giudizio forse pericoloso perché solo Dio doveva dominare i suoi pensieri, aggiunge : "... non pensino a me in quanto al corpo, essendo , ed al Valente uomo ogni paese è patria...". Pur affidandosi ciecamente alla volontà di Dio, egli con piacere si sarebbe avvicinato a Montecalvo. Le sue lettere ai familiari sono piene di questa speranza, anche se ogni volta che ne fa cenno espressamente dichiara che lo avrebbe fatto solo se la volontà divina lo avesse voluto. Nella lettera del 23 agosto 1734, riferendo al padre le premure usategli dal signor don Pietro Gambacorta di Ariano, giudice in Lecce, dice che il magistrato arianese "... si è offerto d'impegnarsi a farmi partire da Francavilla, o per meglio dire, vuole che in tutti i modi io m'industri a rimpatriarmi ; questo però sta nelle mani di Dio. Fiat voluntas Dei, bona, beneplacens et perfecta. Mi son fatto religioso per spogliarmi affatto della propria volontà, per abbracciarmi totalmente colla volontà divina..." ed ancora, scrivendo da Lanciano, il 10 giugno del 1745 : "... Di me non so ancora cosa vorrà fare il caro Dio, mentre già mi chiama ; onde raccomandatemi al caro Bene, e fatemici raccomandare specialmente da quelli religiosi di Sant' Antonio, cioè dalli riformati, acciocchè in me si possa eseguire la divina volontà ; e possasi da me operare il tutto a gloria sua..." !, quindi saluta " ... parenti, amici e vicini..." ; e il suo pensiero certamente vola alle frequenti passeggiate che fino al convento di Sant' Antonio soleva fare con il padre e va al fratello francescano padre Giuseppe, prima studente e poi sacerdote in quel convento e che la divina volontà non aveva voluto morisse a Montecalvo, con grande dispiacere di San Pompilio che il 13 febbraio del 1734 aveva scritto al padre : "... Ricevei una stimatissima sua colla data delli otto novembre colla quale mi dava avviso della morte religiosissima del mio fratello fra Giuseppe Riformato : per dire il vero, grandissimo rammarico ne ho sentito, ma a dismisura mi sono rammaricato perché non è morto a Montecalvo, come avrei desiderato...". Più che mai vive e sentite in lui sono le devozioni che gli sono state inculcate a Montecalvo. Oltre a quella per Sant' Antonio ritornano costanti quelle a San Niccolò da Tolentino, a San Gaetano, a "Mamma bella dell'Abbondanza" e a San Felice. A San Niccolò da Tolentino era dedicato l'altare dell'oratorio privato della famiglia Pirrotti, culto di chiara derivazione agostiniana e San Pompilio, il cui nome religioso completo era Pompilio Maria di San Niccolò, aveva ricevuto un grandfe influsso dai padri agostiniani che da due secoli officiavano la chiesa di Santa Caterina, vicina al palazzo Pirrotti. La devozione a San Gaetano gli era stata trasmessa direttamente dalla madre, oltre che dallo zio sacerdote don Antonio Bozzuti. La chiesa di San Gaetano, situata nel giardino del palazzo Bozzuti, con l'entrata in via Dietro Corte, ai piedi del castello, era di patronato della famiglia della madre. In essa, ancora oggi, riposa il corpo del rev. Antonio Bozzuti, lo zio "affezionatissimo" di San Pompilio "... specialmente al quale..." come dice lo stesso Nipote "... ho sempre rimirato con occhio più furbo per la sua carità che verso la mia madre e sua sorella esso lui portò, ed al presente porta..." All'altare di San Gaetano, scalpellato agli inizi del 1700 dal maestro d'arte Menichello, ad una anno dalla morte, San Pompilio celebrerà l'ultima messa al popolo in Montecalvo, "spiegando", come scriverà egli stesso nel diario di viaggio da Ancona a Campi Salentina, "... a molta gente l'evangelio della pecorella smarrita". Scrivendo da Francavilla il 23 agosto del 1734 San Pompilio dice al padre : " ... Raccomandatemi a San Gaetano..." e poco dopo aggiunge : "... Non si dimentichi di raccomandarmi a San Gaetano e a San Filippo Neri nella chiesa del Santissimo... ". Quest'ultima sorgeva nell'ampio spiazzo che oggi costituisce la piazza San Pompilio. Oltre all'altare di San Filippo Neri ne aveva altri dodici e tra questi quello di San Lorenzo nella cappella dei Pirrotti. Qui era la tomba di famiglia ed in questa cappella, per ordine del cardinale Orsini, dato in Montecalvo il 13 ottobre del l693, il professor Geronimo Pirrotti aveva posto una lapide in memoria della prima pietra posta per l'ampliamento della chiesa nel 1586 dal suo antenato mons. Pompilio Pirrotti, vescovo di Guardialfiera. Qui saranno sepolti il padre e la madre del Santo, morti, rispettivamente, il 30 settembre 1750 ed il 17 settembre del 1756. Dopo che era stata restaurata, a seguito di numerosi terremoti, la chiesa fu rasa al suolo dopo il sisma del 23 luglio 1930. In questa circostanza fu riesumato il corpo della madre del Santo, secondo varie testimonianze trovato incorrotto, e traslato al cimitero di Montecalvo ove quindi, con ogni probabilità, dovrebbe oggi trovarsi. Altra devozione montecalvese di San Pompilio fu quella per la Madonna Dell'Abbondanza. Il tempio, fondato da Scipione Pirrotti, sorgeva nella contrada Tignano, meglio conosciuta, appunto, con il nome dell'Abbondanza. E' noto l'amore filiale che San Pompilio nutriva verso la Madonna e quello dell'Abbondanza è stato il primo titolo con cui l'ha amata e venerata. La tradizione vuole che l'antenato del Santo, fondatore della chiesa, avesse avuto varie apparizioni della Madonna che, espressamente, gli avrebbe chiesto di costruirle un tempio in quel luogo. Leggenda o no la cosa influenzò grandemente il piccolo Domenico che oltre alla normale devozione ala Madonna dell'Abbondanza, avrà sempre, di quella chiesa, un ricordo allargato a tutta la comunità montecalvese che sin dal 1621 vi si recava processionalmente due volte all'anno : la prima domenica di maggio e l'otto settembre. Nella prima circostanza vi si prelevava la statua della Madonna e la si portava in paese. Qui, dopo una solenne novena, si esponeva il Santissimo, quindi si invocava la pioggia e si impetrava la benedizione divina sui campi. Al termine delle funzioni una nuova processione riaccompagnava la statua in campagna. L'otto settembre, a spese della famiglia Pitrrotti, si teneva la festa, e questa volta la gente accorreva non solo da Montecalvo, ma anche dai paesi vicini. Un quadro raffigurante la Madonna dell'Abbondanza etra quello che, secondo la tradizione, San Pompilio, ancora bambino, trovò in soffitta e portandolo alla madre profetizzò che sarebbe stato esso un giorno venerato con culto pubblico. Alla stessa sacra effigie sono legati fatti prodigiosi, tutti regolarmente giurati dai testi nei processi per la beatificazione, che testimoniano fino a che punto era sentita la devozione dei Pirrotti per la madonna dell'Abbondanza. Ecco in proposito cosa dice San Pompilio al fratello Michele nella lettera del 12 aprile del 1764 : "... Vorrei, se mai potessi, avvantaggiare il beneficio di Mamma Bella dell'Abbondanza e mettere in doveroso culto di venerazione quella sacra immagine, che dovrebbe essere a cuore a noi altri di tal discendenza, avendo avuta la situazione dai nostri Antenati, che furono divoti di Maria Vergine, e poner vollero tutta la discendenza nostra sotto la protezione e guardia di Maria Vergine, di modo che la cappella domina tutta la casa nostra, scovrendosi quella venerabile cappella, come ben mi ricordo, dalle finestre del quarto di sotto e dell'altro quarto, o sia appartamento...". Queste affermazioni, oltre a confermarci l'amore di San Pompilio per la Madonna ed ancora una volta l'attaccamento alle sue origini formative, ci presentano un uomo che materialmente lontano dalla sua patria, corre con la mente a quei luoghi, sacrificati per un ideale più alto, e si sofferma a guardare ciò che la vista gli avrebbe offerto dalle finestre della casa natale . Ogni lettera ai familiari si conclude con la preghiera a scrivergli e ad informarlo di ogni cosa. Si interessa di tutti. Si complimenta con il fratello Carlo del canonicato che ha ricevuto a Montecalvo e gli dà preziosi consigli, sia spirituali : "... Procuri fuggire le male conversazioni dei preti libertini e scandalosi, con imitare i buoni. Procuri non essere prete di piazza, ma prete di camera, coll'uscire recto tramite dalla casa alla chiesa e dalla chiesa alla casa..." sia consigli di ordine pratico : "... Procuri che la casa, se ha fatto la spesa, se la rifaccia con la sua economia ; e badi al risparmio nel vestire, nel conversare, nel mangiare e in tutto ; e badi a conservare il danaro, mentre lei ben sa", e quindi anche lui era bene informato, " quante case povere si sono arricchite in Montecalvo col semplice canonicato, accompagnato dall'economia...". E' dispiaciuto per il padre che non attraversando un buon periodo economico ha fatto sacrifici notevoli per il matrimonio della figlia Monica con il dottor Domenico Peluso : "... Mi dispiace al sommo la rovina cagionatale dal matrimonio..." : E' preoccupato del fatto che i fratelli non studiano come il padre avrebbe voluto : "...mi affliggo dalla lontananza mia dalla casa : mi cruccio a dismisura che i miei fratelli non si avanzano nello studio, ed è segno che non si avanzano nel timore di Dio. Questo pensiero mi avrà da farmi divenire pazzo ; perché piango notte e giorno, e piango amaramente...". A Montecalvo egli non scrive solo ai familiari e le notizie gli giungono anche da altra fonte. Scrivendo al padre nel 1734 dice :"... Consideri con un occhio solo suo, almeno fin tanto che io m'avvicini, è molto necessario per sostenere le rovine dell'afflitta casa la quale ben so quanto vada a male essendovi un da Montecalvo che mi scrive...". Scherzosamente si intromette nelle vicende ereditarie dei parenti : "... Mi saluti il signor Francescantonio De Nucibus ed il signor Don Antonio Bozzuti e Crescenzo, ma vorrei che non si mangiassero da soli i fichi e l'eredità di Livio Bozzuti : a poco a poco...". Esprime il desiderio di tornare a Montecalvo "...così nel prossimo mese di ottobre (siamo nel 1741) potrei certamente avere la consolazione di venire in Montecalvo...", ed ancora, scrivendo alla madre, nel 1747, : "... Circa il venire poi a baciare tanto a Vostra Signoria, quanto al Signor Padre, la mano, secondo l'impiego e secondo l'incombenza che avrò. Mentre ho già scritto in Roma per questa licenza...". Non passano inosservati alla sua sensibilità i giorni che a Montecalvo contano di più. E' in quei momenti che la lontananza accende la malinconia a dismisura. Il 30 agosto a Montecalvo è festa grande. L'urna con i resti mortali di San Felice prete e martire che papa Clemente X aveva donato nel 1673 al duca Carlo Pignatelli, è solennemente portata in processione. Il paese è in festa. I canonici, in pompa magna, ed il numeroso clero sfilano con il popolo. La casa ducale assicura la banda e i fuochi d'artificio e San Pompilio è lontano. Nel 1741, in quel giorno, era ad Ortona a Mare e scrive : "... Io adesso, in questo giorno appunto dedicato al glorioso San Felice, protettore di Montecalvo, ho voluto eseguire un atto di sottomissione tanto con Vostra Signoria, quanto con tutta la casa, specialmente alla povera Signora Madre, alla quale io conservo tutto l'amore filiale con cui mi partii dalla patria la prima volta. Dio sa, però, che pena ho sentito e sento nel considerare me tanto lontano dalla casa ; ma da me non dipende la vicinanza o la lontananza, specialmente adesso che mi trovo ad Ortona a Mare,... esposto a fatiche e a stenti che mi hanno fatto perdere sul fiore la salute. Ma perché si fatica ? per la gloria di Gesù e per la salute delle anime ; per questo io soffro e tollero..." . San Pompilio era incapace non solo di offendere, come del resto asserisce un altro motto della sua famiglia ancora oggi leggibile nel cortile di casa Pirrotti, " Potius Mori Quam Foedari" ; ma era incapace, addirittura, di non amare qualunque persona avesse fatto la sua conoscenza. Per Montecalvo, oltre all'affetto che aveva per i suoi abitanti, e l'ultima lettera della sua vita qui inviata ce ne darà la conferma, nutriva un'attrazione filiale proprio per il paese, cioè per le strade, per i vicoli, per le case, per i panorami che vi si godevano, per la sua storia. Il 6 dicembre del 1736 scrive da Brindisi al padre : "... Avevo scritto che volevo certe notizie intorno e al giorno del mio nescimento e della mia fanciullezza e intorno allo stato della casa. E ora soggiungo che oltre di esse bramerei notizia intorno alla fondazione di Montecalvo...". E a Montecalvo ebbe, come egli stesso dice, "...la consolazione " di ritornare pochissime volte. Di tre se ne ha la certezza, forse possiamo aggiungerne qualche altra, anche se non ancora ben documentata, ma furono veramente poche, anche se intense. Tra le altre ricordiamo l'ultima che si protrasse dal 30 maggio al 17 giugno del 1765, esattamente a tredici mesi dalla morte. Di essa abbiamo un diario giornaliero compilato dallo stesso San Pompilio. Egli proveniva da Ancona ed era diretto a Campi Salentina. Alle sue qualità umane univa quelle dottrinarie. Nel 1731 aveva scritto al padre : "... Ricuso però, di essere o santo solo, o dotto solo, ma santo e dotto insieme..." e la sua fama, appunto di santità e dottrina insieme, fece sì che durante il viaggio fosse trattenuto da vescovi, autorità civili e popolazioni delle terre che toccava cosicché da Ancona a Campi impiegò ben tre mesi. I diciassette giorni che trascorse a Montecalvo e che furono per lui gli ultimi, lasciarono un segno indelebile nei Montecalvesi che ebbero modo di sperimentare concretamente la sua santità. Di quella visita abbiamo varie testimonianze ; innanzitutto quella del Santo che ne redasse un piccolo diario, e poi quelle raccolte nell'istruzione del processo di beatificazione aperto a Montecalvo da mons. Gioacchino Pecci, poi papa Leone XIII. San Pompilio non viene a Montecalvo per chiudersi nel suo palazzo, o per rinserrarsi in un ascetismo avulso dal contatto sociale ; pur nella riservatezza spirituale che lo contraddistingue, egli si apre al paese e ai compaesani. Montecalvese tra i Montecalvesi e con questi, riconoscente a Dio di quell'ultimo dono terreno, condivide l'aria natìa. Alla data dell'8 giugno annota sul suo diario : "... Babbo mio, fu giorno vostro ; ed io per adempiere la volontà vostra mi trattenevo in Montecalvo, e dissi messa nella chiesa di Santa Maria, collegiata dove io fui battezzato e dissi messa all'altare del gran San Felice prete e martire, protettore della terra...". I suoi ricordi, quindi, si ravvivano ispirati dalla materialità delle strade che percorreva, dagli incontri con le persone che avevano conosciuto i suoi genitori e i suoi fratelli defunti, dalle affettuose conversazioni che, finalmente, poteva effettuare con Pompilio e Michele, unici fratelli superstiti. Un anno prima aveva scritto a Michele : "... Ecco, soli tre fratelli stan vivi di tanti nati da Geronimo Pirrotti e da Orsola Bozzuti ; e chi sa per quanto tempo averem da tenere noi gli occhi aperti. A lungo andare averemo da morire ancora noi...". E' immaginabile, quindi, con quale gioia San Pompilio li riabbracci in quest'ultima visita e con quale soddisfazione veda i nipotini Geronimo, Orsola e Camilla, figli del fratello Michele. Il 31 maggio si reca a dir messa nella chiesa di Mamma Bella dell'Abbondanza, il primo giugno vi ritorna, il due giugno si reca nella chiesa del Santissimo, il quattro giugno è anche lui, come tutti i Montecalvesi, pellegrino a Valleluogo. Il cinque giugno si reca alla chiesa di Mamma Bella del Carmelo, cioè al Carmine ; il sei giugno, festa del Corpus Domini, percorre tutte le strade del paese. Ecco, a proposito, come annota egli stesso sul diario : "... Correva la gran festa del mio caro Sposo Sacramentato, ed era giorno Vostro, o Sposo mio, e celebrai la Santa Messa, e portai in processione per la terra di Montecalvo Voi, Sacramentato mio Amante" ; "il sette giugno", continua nel diario, " fu giorno vostro, o mio Santo Colombino, dissi messa nella chiesa dei Padri Riformati, all'altare di Sant'Antonio...". Il nove giugno si ripeté la processione del Corpus Domini ed ancora una volta San Pompilio attraversa il paese addobbato delle migliori coperte, ricco di altarini e sotto una pioggia di fiori. Il dieci giugno celebra la messa "...all'Altare e Cappella del gran San Gaetano..." ; l'undici giugno scende alla chiesa dell'Angelo Custode, situata ai piedi della via Costa dell'Angelo e lì celebra la messa ; il dodici si reca di nuovo alla chiesa del Carmine attraversando tutta la via Monte, l'odierno Corso Umberto ; il tredici ritorna alla chiesa di San Gaetano. Ogni giorno San Pompilio esce da casa, ogni volta parla alla gente, benedice, trasmette e rafforza nei Montecalvesi culti e devozioni ancora oggi sentiti. Le sue biografie sono unanimi nell'affermare che egli fu uno dei primi araldi in Italia della devozione al Cuore di Gesù e a Montecalvo scrisse una famosa novena fondando un'associazione di pie persone devote del Sacro Cuore, una delle prime nella chiesa universale. Il quattordici giugno del 1765, giorno appunto di tale festa liturgica si trovava a Montecalvo e volle festeggiare la circostanza invitando al suo palazzo il clero e le antiche famiglie montecalvesi amiche della sua casa. Così ancora annota nel suo diario : "... Alli 14, Babbo mio caro, fu il giorno vostro ed io mi trovai a far la festa del Cuore SS.mo di Gesù mio Sposo, essendo il venerdì dopo l'ottava del SS.mo e diedi pranzo ai Canonici ed a molti Galantuomini..." Il quindici giugno scese ancora lungo la via della Costa per fermarsi a celebrare alla chiesa dell'Angelo. Il giorno dopo è in via Dietro Corte per celebrare, nella chiesa di San Gaetano, l'ultima messa davanti ai suoi compaesani. Egli stesso ci dice che il piccolo tempio era gremito a dismisura e con il solito ardore, spiegò la parabola della pecorella smarrita. Fu, quella, l'ultima sua omelia tenuta a Montecalvo. Il giorno seguente proseguì il viaggio per Campi Salentina. Fin qui il diario di San Pompilio, pieno di calore, ma scarno e avaro di particolari. Molto più ricche e colorate sono le testimonianze dei parenti e della gente. A proposito, ad esempio, del pranzo che egli dette in casa il giorno del Sacro Cuore, fatti prodigiosi vengono narrati negli atti del processo di beatificazione. I testimoni narrano di moltiplicazione delle vivande, praticamente inesauribili fino a che, sparsasi la voce, a quelle non attinse l'ultimo montecalvese che volle farlo, sia per mangiarne che per conservarne come reliquia. Dei fatti prodigiosi che, secondo testimonianze giurate, accaddero nei giorni dell'ultima visita di San Pompilio a Montecalvo sono pieni i registri dei processi. Non è il caso di elencarli, né di valutarne i contenuti ; del resto, veri o no, non sono essi la causa della sua santità ; tutt'altro potremmo considerali un effetto della sua intima comunione con Dio ; però è bene ricordarne qualcuno che oltre ad esprimere importanti caratteristiche della sua spiritualità ce lo mostra vivo per le strade di Montecalvo. Racconta la testimone Agnese Chiancone : "... Quando è venuto a Montecalvo il Padre Pompilio Pirrotti l'ho conosciuto perché sentivo dire... < è venuto il padre Santo, presto andiamo in chiesa ché dice messa ! > Io con altre figliuole andavamo nella chiesa dei Signori Bozzuti, sotto il titolo di San Gaetano, e tanta era la devozione che spirava in detta messa che io, benché figliuola allora di circa dodici in tredici anni, uscivo fuori di me... Una creatura, come ero io, non parlava col Santo Padre, lo vedevo scendere per dietro Corte, e se ne andava alla Madonna dell'Abbondanza... vedendolo io coi miei propri occhi quando discendeva per la Costa e quando le donne gli correvano appresso al Santo Padre, e gli tagliavano l'abito...". Ricorda il canonico don Giovan Battista Isabelli : "...in vita mia ho sentito parlare ed ho conosciuto il padre Pompilio Maria Pirrotti, quando veniva a visitare i parenti ; non ci ho parlato con esso, l'ho veduto camminare per le strade, e l'ho sentito predicare alla porta del Santissimo con un grande concorso di gente che stava affollata dentro e fuori di detta chiesa. Allora io ero di diciotto in diciannove anni...". Così ricorda la teste Anna Bellaroba : "... Ero figliuola di circa dieci anni, quando lo vidi camminare per la piazza di Montecalvo, dove era la casa di Tarone, dello speziale ed altri. Io andavo ad accattare il sale,< mentre Padre Pompilio transitava venendo dal Carmine, per andare a Santa Maria... ed io, con altre femmine, ci accostammo a lui per tagliargli l'abito e farmi il vangilio, ossia breve di devozione...". Tutti i testi aggiungono che l'abito di San Pompilio ricresceva all'istante. Tre episodi dell'ultimo soggiorno di San Pompilio a Montecalvo sono perdurati nella locale tradizione orale, si può dire, fino ai nostri giorni. Il primo è legato all'immagine della Madonna di Montevergine collocata sulla facciata del palazzo Pirrotti, il secondo alla scomparsa chiesa del Purgatorio, rasa al suolo dopo il terremoto del 23 luglio 1930, il terzo alla già citata chiesa del Santissimo. Per tutti e tre sono i testimoni che parlano : " ... Quando San Pompilio venne a Montecalvo, la sera... si pose a pregare innanzi la Madonna posta in un angolo della casa Pirrotti, che corrisponde alla Porta della Terra, dove ci era l'arco sopra la strada pubblica, e dinanzi la casa dei Signori Cristini. Io la mattina, da scolariello, passai innanzi a detta immagine e vi trovai che nella pietra,... prima liscia e senza alcuna lettera e scrittura, di poi vi erano incise alcune parole, quali io non lessi per la distanza. Si disse subito allora, che la notte antecedente il Padre Pompilio avesse formato dette parole con le proprie dita, e che tale scrittura fosse avvenuta in tal modo. Quando il Padre Pompilio pregava s'intese salutare dalla Madonna con queste parole : "... ed allora fu che formò l'iscrizione alla Madonna con le dita. E questa fu voce insorta per tutto il paese, e si ritenne per miracolosa, perché un uomo senza scala non poteva arrivare a toccare detta pietra...". Questo fatto, con numerosi altri particolari, è raccontato da molti testi. Il secondo ed il terzo episodio sono da mettere in relazione a quell'aspetto pompiliano in cui tanta parte ebbe il culto verso i defunti e che, insieme alla devozione al Sacro Cuore di Gesù e all'amore per la Madonna, potremmo considerare l'eredità spirituale lasciata ai Montecalvesi. Leggiamo dai processi : "... Il beato Servo di Dio, mentre transitava innanzi il cimitero nel luogo detto il Piano, dentro l'abitato del paese ( si tratta della chiesa del Purgatorio, fondata allo scopo di cimitero nel 1736 sul sito dell'attuale Piazza Vittoria) si metteva in orazione e recitava un Pater, Ave, e Requiem alla vista di tutti quelli abitanti ( cioè davanti a tutti) ; di poi, nell'alzarsi, il beato Servo di Dio pronunciava : < Sia lodato Gesù e Maria> ; e si sentiva ripetere da quei teschi, esposti alla vista del pubblico, e difesi dalla cancellata di ferro : . In un giorno, al solito saluto del Beato Servo di Dio i teschi non risposero. Il servo di Dio allora disse : < foste voi mai qualche cosa di più della Vergine Santissima ?>. Allora s'intese una voce concorde dei medesimi teschi, che con voce più forte del solito pronunciarono le riferite parole : < Oggi e sempre>. Quindi i medesimi teschi furono dal Servo di Dio benedetti...". Leggendo sempre dagli atti dei processi : "... Quando il Padre Pompilio veniva in Montecalvo, si raccoglieva tutta la popolazione per andargli appresso ; e lo accompagnava alla chiesa del Santissimo, dove si portava di primo slancio :...una volta appena entrato in chiesa si pose genuflesso sopra la porta della sepoltura di detti suoi genitori, e si divulgò ancora che il padre Pompilio parlasse con i medesimi genitori, i quali rispondevano dalla sepoltura. Questo asserivano mio padre ( così dice il teste), mio fratello ed altra gente che frequentava la mia bottega, dicendo di averlo inteso con le proprie orecchie nell'atto che il Padre Pompilio, stando genuflesso in detta sepoltura, essi gli tagliavano l'abito...". Fino al terremoto del 1930 sono perdurate, sulla facciata della chiesa del Purgatorio, due lapidi commemorative di questi eventi. Nella stessa chiesa mons. Gioacchino Pecci, poi papa Leone XIII, aprì in Montecalvo il processo per la beatificazione. Quell'occasione maturò, nell'animo del futuro pontefice, una grande ammirazione per lo scolopio Pompilio Maria Pirrotti, ammirazione che divenne venerazione allorché egli stesso, divenuto papa, il 26 gennaio 1890 lo elevò agli onori dell'altare decretandolo beato. L'amicizia tra Montecalvo e Leone XIII può essere considerata un altro dono di San Pompilio al suo paese natale. Dall'Osservatore Romano del 30 marzo 1962 : " Una somma venerazione il futuro Leone XIII aveva sempre concepito per San Pompilio Pirrotti. Montecalvo, il pittoresco paesino dell'Irpinia, era ben conosciuto dal Pecci, ancora giovane sacerdote e poi prelato. Più tardi Leone XIII non nascose la sua venerazione per il Santo compaesano. Il Pontefice, infatti, volle mantenere sempre con quella terra a lui cara intime relazioni ed ebbe amico don Pompilio Pirrotti, arciprete di Montecalvo e pronipote del Santo, ultimo discendente di quella famiglia, tanto che lo nominò Prelato Domestico. Fu così che un giorno, era l'otto maggio 1899, arrivò a Montecalvo il segretario particolare del papa, Monsignor Rinaldo Angeli : Leone XIII mandava in dono trenta fogli scritti in bellissima calligrafia : erano i versi latini che il Papa aveva composti su San Pompilio Pirrotti. E uno di tali fogli recava la firma autografa di Leone XIII, che desiderava fossero i suoi omaggi nell'oratorio privato del Pirrotti in segno di onore al Beato e in ricordo di una visita avvenuta sessant'anni prima". L'articolo poi continua riportando i quatto distici che il papa dedicò a San Pompilio e a Montecalvo. Tra questi il papa scrisse "Noster in Montem Calvum adventus" in cui ricorda la sua venuta a Montecalvo. Il 17 giugno del 1765 una grande folla, come risulta dagli atti dei processi, accompagnò San Pompilio fino al convento di Sant'Antonio. Da qui, sarebbe partito senza far più ritorno a Montecalvo. La lettera con la quale, nel lontano 1726, San Pompilio confidava per la prima volta a qualcuno l'idea di abbracciare la vita sacerdotale, si chiudeva con l'invocazione Dio guardi Montecalvo ; la mattina di quel 17 giugno, come se avesse già saputo che non sarebbe più ritornato salutò i Montecalvesi con un Arrivederci in Paradiso. Il 12 luglio giunse in Campi Salentina da dove, il 15 luglio del 1766, sarebbe volato in Paradiso. Mancavano pochi giorni a questa data ed inviò una lettera al fratello Michele in Montecalvo. Essa sottolinea più di ogni altro suo scritto il legame affettivo che, nel corso dell'intera vita, tenne stretto San Pompilio alla terra natìa. In un'alternanza di nomi di persone vive e di amici scomparsi, con un ritmo che si fa via via incalzante, San Pompilio vuol sapere di tutto e di tutti ; saluta tutti e per tutti prega . Quasi preoccupato di poter dimenticare qualcuno, in un impeto di affetto spirituale, abbraccia tutto il paese "...cominciando da Mamma Bella del Carmine, fino a Santa Maria, e da Santa Maria fino all'Angelo, e dall'Angelo fino al grande Sant'Antonio, come se io vi nominassi ; e sempre più al mio caro Sposo raccomando tutti, e tutto il Paese...". Quindi lascia l'ultimo saluto : "... Vi abbraccio in Dio, e in Dio vediamoci...".

Montecalvo, 24 ottobre 1999


Giovanni Bosco Maria Cavalletti




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